L’industria della Difesa raddoppia gli incassi, l’insicurezza globale rende. 52 miliardi di dollari di flussi di cassa all’anno: questi gli incassi previsti per il 2026 dalle quindici principali compagnie della Difesa a livello globale, un valore doppio rispetto al risultato del 2021.
Sono queste le rilevazioni di Vertical Research Partners, azienda di analisi dedicata agli studi del mondo corporate e induistriale, che hanno mostrato la salute finanziaria e produttiva del sistema globale della difesa. La ricerca di Vrp, commissionata dal Financial Times, mostra la salute finanziaria e industriale del sistema e, soprattutto, il fatto che le operazioni sottostanti al riarmo sono destinate a entrare a pieno regime.
Un mondo sempre più dinamico
In quest’ottica, è necessaria una breve premessa di carattere aziendale: concentrarsi sui flussi di cassa piuttosto che sui fatturati, pensabili come la somma degli ordini “cantierati” in un preciso arco temporale, mostra il dinamismo dell’industria. Un flusso di cassa operativo impone consegne di sistemi d’arma, dai lanciamissili ai caccia, dai carri armati ai droni, ai committenti pubblici, l’effettivo svolgersi del rapporto clienti-fornitori nell’industria della Difesa con pagamenti di commesse ai fornitori. Quindi, un processo di riarmo che si sposta dalla programmazione alla messa in atto dei programmi.
A trainare le commesse, chiaramente, le aziende occidentali che stanno sperimentando flussi di ordini crescenti per l’onda lunga dell’aumento delle spese militari oltre 2.200 miliardi di dollari l’anno su scala mondiale.
A questo si aggiungono le indubbie prospettive aperte dalla procedura di fornitura d’armi all’Ucraina che, più che sdoganare ampi flussi di cassa e fatturati, ha mostrato i colli di bottiglia industriali che il sistema doveva superare.
Fornendo utili lezioni sullo snellimento delle procedure per riattivare politiche di produzione che dovranno funzionare virtuosamente per consentire ai principali Paesi europei e occidentali di condurre i loro programmati riarmi.
Nascono, inoltre, nuove prospettive per gli attori, come si è scritto su True-News: “di recente il segretario uscente della Nato, Jens Stoltenberg, ha aggiunto l’idea di istituire un fondo da 100 miliardi di dollari legato all’Alleanza Atlantica per sostenere l’Ucraina.
Tale fondo dovrebbe garantire approvvigionamenti militari a Kiev per cinque anni. Surriscaldando ulteriormente la domanda”. Un esempio di quanto succede a livello pubblico sulla cogenza delle politiche di riarmo, a cui il Financial Times aggiunge il discorso sui nuovi assetti dell’ecosistema della Difesa globale che vede una nuova dinamicità del settore in campo finanziario e borsistico e, al contempo, i capitali delle aziende di maggior successo operare per consolidare le filiere.
Gruppi come Saab, Leonardo, Rheinmetall, Indra, Thales hanno raccolto decine di miliardi di euro di valore borsistico spinti da ottimi risultati operativi e prospettive di crescita e al contempo nella Difesa gli extra-profitti stanno attivando un processo di consolidamento che ricorda quello del campo biomedicale e farmaceutico dell’era post-Covid o del settore finanziario nell’ultimo biennio.
Gli affari che scaldano il settore
Gli affari sono sempre più numerosi nel settore Difesa. In Italia Leonardo sta ridefinendo il suo business: ha ceduto a Fincantieri il business subacqueo Underwater Armaments and Systems e sta cercando di entrare nel business dei carri armati in sinergia con le aziende tedesche.
Dalle parti di Berlino, Rheinmetall si consolida come una delle aziende più strategiche d’Europa, come già dimostrato nel 2023 con l’avvio delle joint venture in Ucraina per riparazione di veicoli e assemblaggio di sistemi. Il gruppo tedesco, nota il Ft, “all’inizio di questo mese ha annunciato un accordo da 950 milioni di dollari per il produttore di componenti per veicoli militari con sede nel Michigan Loc Performance”.
E non è l’unico deal ad essersi avviato: “Czechoslovak Group sta presentando un’offerta per il business delle munizioni dell’americana Vista Outdoor. La scorsa estate BAE Systems ha pagato 5,6 miliardi di dollari per Ball Aerospace, un fornitore di sistemi spaziali mission-critical. Ha finanziato l’affare tramite denaro contante esistente e nuovo debito estero”.
Il nodo della conflittualità tra Stati
Tutta questa vivacità è destinata ad aumentare nei prossimi anni. Crescono le commesse, crescono gli investimenti, crescono gli affari: e nel frattempo, mentre il mondo si prepara all’economia di guerra, il processo di keynesismo militare consente agli Stati di utilizzare la spesa in Difesa come leva per pompare liquidità pubblica nella crescita economica e occupazionale.
Al contempo, però, va tenuto d’occhio un dettaglio fondamentale: quale sia il punto di flesso oltre cui l’investimento in Difesa, da spesa per la sicurezza, la deterrenza e la stabilità capace di creare valore prima ancora che essere un costo, diventi la base di una corsa alle armi potenzialmente capace di auto-alimentarsi è difficile dirlo. Perché, in fin dei conti, la crescita della Difesa riflette innanzitutto la crisi del sistema globale a cui si rimedia con la più vecchia delle prescrizioni strategiche: si vis pacem, para bellum.
Ma oltre a riarmarsi, sono le nostre classi dirigenti pronte a gestire il clima di conflittualità tra potenze? Gli ultimi anni sembrano dare una risposta poco confortante a questa domanda.
Arsenali di qualsiasi taglia in mano a leader accorti non spaventano. Al contrario, depositi d’armi sempre più pieni affidati a leader senza visione strategica possono risultare potenzialmente pericolosi. E di questo non bisogna affatto scordarsi.
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