Maranza, microcriminalità o fenomeno di costume?

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Dei maranza non abbiamo capito niente. Piccoli criminali, spacciatori e in cerca di guai. E se i maranza fossero solo un fenomeno di costume?

“Ora ho un sogno solo, vorrei diventare come uno di loro. Un maranza con la tuta del Barça che gira per Milano in quattro sopra un Sh”. Cantano Fabio Rovazzi e Il Pagante nell’ultimo brano intitolato Maranza che racconta il nuovo trend dei ragazzi – e qui cito – con il borsello per le strade che se passa la Locale scappano.

Una visione, però, un po’ distorta che ha creato un’aura attorno a questi gruppi di giovanissimi accomunati per lo più dallo stile di abbigliamento. Sì perché c’è molto di sbagliato nei racconti e nell’uso di questo termine che ci costringe ad analizzare meglio il fenomeno e fare delle distinzioni importanti.

Look di dubbio gusto, ma con delle caratteristiche univoche ed essenziali distinguono le mandrie di maranza che bivaccano in Duomo e girano per le strade di Milano e dell’hinterland, anzi forse soprattutto dell’hinterland.

Capelli gellati, tute in acetato super lucide o jeans sgualciti e l’immancabile borsello. I maranza si spostano in gruppo e prediligono t-shirt e accessori di lusso, Gucci, Versace e Philip Plein. Anche se a volte ‘taroccati’. Quello che però non abbiamo capito è che il maranza altro non è che l’evoluzione del paninaro. Eresia? Pensiamoci.

Negli anni Ottanta Milano era invasa dai paninari, un fenomeno esploso tra gli adolescenti che si ritrovavano il pomeriggio e nel fine settimana tra San Babila, dove c’era lo storico fast food Burghy, e piazza del Duomo.

Erano assolutamente distinguibili per l’abbigliamento e, in genere, per lo status sociale. Bomber, consumismo e mito degli States il tutto super griffato, super costoso e con regole molto rigide per entrare nella cerchia. E via di Timberland, Naj-Oleari, Moncler, Levi’s e cinture El Charro. Tutti brand di un certo peso, specialmente all’epoca, che richiedevano un portafoglio gonfio, quello dei genitori chiaramente.

I paninari si sono estinti definitivamente con la fine del secolo, ma hanno segnato indubbiamente un’epoca influenzando moda, costume e società. E così i maranza. L’errore sta nell’interpretazione. Il maranza non è necessariamente quello che spaccia, che ruba, che picchia. È, di certo, quello che presidia le discoteche milanesi ogni sabato sera (se ha l’età giusta).

Rovazzi e Il Pagante
Rovazzi e Il Pagante

Nel capoluogo meneghino siamo in un periodo in cui gli occhi sono puntati su ogni singolo fatto di cronaca, un’attenzione meticolosa che in qualche modo ha amplificato la visione dei fenomeni di cronaca spicciola e che ha consacrato Milano come Gotham City, a favore delle forze politiche d’opposizione.

Alle aggressioni, allo spaccio e alla piccola criminalità la risposta della destra cittadina è – dopo aver ringraziato le forze dell’ordine – un mash up tra maranza e delinquenza, come se uno fosse il sinonimo dell’altro o quanto meno in un rapporto di causa effetto.

Ma se negli anni Ottanta c’erano i paninari, negli anni Novanta c’era la moda grunge e le top model e nella prima decade del 2000 – me li ricordo molto bene – c’erano i truzzi, nella seconda decade…

E ciò è dimostrato dalla penetrazione del fenomeno tra i giovanissimi, influenzati dallo stile dei trapper, evoluzione dei rapper. Ragazzini di 12-13 anni che prediligono quello stile lì.

Non vedremo maranza di 30 anni, come non avremmo visto paninari di 40. Ogni epoca ha le sue mode, i suoi fenomeni che influenzano la società. Il maranza si estinguerà, come si sono estinti i suoi antenati. La criminalità, purtroppo, no.

Dall’Accademia della Crusca: “Maranza: Ragazzo o, meno frequentemente, ragazza, che appartiene a gruppi di giovani che condividono e ostentano atteggiamenti da strada, particolari gusti musicali, capi d’abbigliamento e accessori appariscenti e un linguaggio spesso volgare”.

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