Coronavirus, scoperta la mutazione che ha reso ‘umano’ il SarsCoV2. Uno studio italiano: ecco come è stato possibile il ‘salto’ di specie, dal pipistrello all’uomo. Mentre si allarga il contagio da coronavirus, i ricercatori fanno un altro passo avanti nella conoscenza del SarsCov2. L’Università Campus Bio-medico di Roma diretto da Massimo Ciccozzi ha firmato uno studio in cui viene ricostruita la mutazione genetica che ha trasformato il coronavirus degli animali in un virus che attacca l’uomo. La ricerca è accessibile online e in via di pubblicazione sul Journal of Clinical Virology. Primo autore uno studente, Domenico Benvenuto.
Dai pipistrelli all’uomo, il salto di specie
I ricercatori italiani sono arrivati a questo risultato analizzando le sequenze genetiche del virus in circolazione in Cina, passandone in rassegna tutte le mutazioni fino a quella decisiva per il ‘salto di specie‘. Mutando infatti il nuovo coronavirus, prima ‘ospite’ dei pipistrelli, è diventato capace di aggredire l’uomo. Nello studio si fa riferimento anche alla data in cui si sarebbe verificato il cambiamento: “Una mutazione molto particolare avvenuta fra il 20 e il 25 novembre“, ha spiegato Ciccozzi.
Mutata la proteina spike
La capacità di mutare non è appannaggio solo del SarsCov2: tutti i virus cambiano per adattarsi al “sistema immunitario ospite”. Prima sono mutate due proteine strutturali del virus: la terza mutazione del coronavirus è stata quella decisiva perché ha interessato la proteine di superficie chiamata ‘spike‘ (punta, spina, vedi foto), che il virus utilizza per aggredire le cellule e invaderle per moltiplicarsi. “È stata la mutazione della proteina spike che ha permesso al virus di fare il salto di specie. È una proteina abbastanza conservata nella storia evolutiva del virus – ha detto ancora Ciccozzi – e questa mutazione le ha permesso di fare il passaggio dall’animale all’uomo, innescando l’epidemia umana”.
Perché le recidive?
Il fatto che il virus muti spiega il verificarsi di recidive, come accaduto in Giappone dove una paziente si sarebbe ammalata due volte. “È probabile e auspicabile – spiega il virologo Francesco Broccolo, dell’Università Bicocca di Milano – che si tratti di reinfezioni causate da un secondo ceppo del virus che non è stato riconosciuto dal sistema immunitario”. Sarebbe quindi una variante virale diversa rispetto a quello responsabile della prima infezione.
“Finora nelle banche genetiche internazionali, come GenBank e Gisaid, sono state pubblicate decine di sequenze genetiche del coronavirus SarsCoV2, che hanno permesso di ricostruire il suo albero filogenetico una sorta di albero genealogico con somiglianze di famiglia tra i diversi aspetti che il virus ha assunto a mano a mano che ha subito delle mutazioni. “Sono comparsi così diversi ceppi, che differiscono in base alle mutazioni – precisa Broccolo – . Queste ultime in alcuni casi possono avere l’effetto di fortificare il virus, cioè renderlo più capace di replicarsi, più capace di resistere alle difese dell’ospite”.
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