L’organizzazione sociale e le iterazioni di gruppo favoriscono lo sviluppo del cervello

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Le interazioni sociali richiedono grandi cervelli. A favorire l’evoluzione di un cranio sempre più capiente non fu la necessità di fabbricare strumenti, ma quella di gestire complesse relazioni di gruppo.

Le società moderne premiano chi sa gestire interazioni sociali multiformi e guidare grandi gruppi di persone: basti pensare al consenso di cui godono uomini politici e personaggi pubblici. Intelligenza, carisma, senso dell’umorismo: secondo molti scienziati potrebbero essere stati questi i motivi che hanno favorito l’evoluzione, nell’uomo, di cervelli così grandi.

Mark Maslin, professore di Paleoclimatologia all’University College London, spiega questa teoria in un articolo pubblicato su The Conversation.

UTENSILI? NO, AMICIZIE. Un tempo si pensava che alla base dei nostri mega cervelli ci fosse stata l’antica necessità di sviluppare attrezzi in pietra con i quali cacciare: l’Homo habilis iniziò a produrli 2,5 milioni di anni fa, ma oggi sappiamo che diverse specie animali – non necessariamente primati– sanno utilizzare strumenti per procurarsi cibo.

A che cosa serve, dunque, un cervello così sviluppato? Una teoria accreditata riguarda la gestione dei rapporti sociali. Chi si destreggia nelle relazioni con abilità avrà anche più accesso a risorse per sopravvivere e a partner per riprodursi, e a mano a mano che un gruppo si allarga, crescono anche le difficoltà nel coltivare i rapporti.

LA CERCHIA IDEALE. Il numero perfetto di elementi nella sfera personale di relazioni è 150: è questa la quantità di individui che si pensa popolassero i villaggi dell’Età della Pietra, che si ritrova in censimenti di villaggi medievali ma anche nelle moderne popolazioni di cacciatori-raccoglitori, e persino – come media – nei follower su Twitter.

La schiera delle conoscenze, sempre più allargate: le comunità, reali o virtuali che siano, si attestano sui 150 individui circa. | MARK MASLIN VIA THE CONVERSATION
La schiera delle conoscenze, sempre più allargate: le comunità, reali o virtuali che siano, si attestano sui 150 individui circa. | MARK MASLIN VIA THE CONVERSATION
IL CERVELLO. Nei primati, le dimensioni del gruppo-tipo sono collegate a quelle della neocorteccia, una parte del cervello deputata alla gestione delle abilità sociali. Più piccolo è il gruppo di primati, più piccola sarà la neocorteccia. Questa relazione è molto importante per dedurre l’estensione delle comunità dei nostri antenati, dei quali conosciamo le dimensioni del cranio.

Alcuni milioni di anni fa i gruppi di ominidi dovevano essere composti, nella media, da circa 50 individui. Con l’Homo erectus, 2 milioni di anni fa, si passò a comunità di 100; poi 130 con l’Homo heidelbergensis e 150 con i sapiens. Gruppi, e con essi cervelli, più grandi erano favoriti nella caccia e nella divisione delle prede, ma anche nel parto: il costo di generare prole con una testa più grande – e quindi il maggiore rischio per la madre – fu in parte compensato da una migliore rete a sostegno delle donne, di fatto una maggiore garanzia di sopravvivenza per il bambino.

Fu questo circolo positivo a far uscire dall’Africa un Homo sapiens estremamente adattabile rispetto ad altre specie.

SPEGNITI… DANNAZIONE! Il prezzo da pagare per un cervello così complesso? La competizione fisica ha di fatto lasciato spazio a quella sociale: esaurita la necessità di superare fisicamente altri individui, continuiamo invece a stringere alleanze, rinsaldare relazioni e cercare di sorpassare la posizione sociale altrui. Ecco perché “essere umani” risulta spesso molto stressante.

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