Perché invecchiamo? Al Centro di biotecnologie di Torino la scoperta pubblicata su Science delle due proteine che ci “mantengono giovani”Lo studio universitario su PI3K-C2alpha e VPS36 promette per ora importanti applicazioni su cataratta, tumori, Covid-19. E sviluppi imprevedibili in futuro.
Cresce la conoscenza sui processi che portano all’invecchiamento e che, sulla vista, causano uno dei fastidi maggiori della terza età, la cataratta. E sempre più la ricerca si conferma l’unica arma per progredire rapidamente con terapie sempre più innovative. Uno studio dei ricercatori del Centro di Biotecnologie Molecolari dell’Università di Torino, guidati da Emilio Hirsch, svela nuovi elementi e apre altri fronti di ricerca. E lo studio, pubblicato su Science, può avere ricadute imprevedibili: dalla comprensione dei meccanismi del cancro al contrasto al Covid-19.
La domanda sulle ragioni dell’invecchiamento è un tema chiave della biologia molecolare, ma una risposta precisa non c’è ancora, Non si sa se l’invecchiamento sia incontrastabile o se invece si possa mitigare. Le cellule del nostro corpo possono seguire un programma di cambiamento, chiamato senescenza, che se attivato porta all’invecchiamento prima a livello cellulare e poi dell’organismo intero. Chiarire cosa scateni questo fenomeno è fra le sfide maggiori della medicina.
I ricercatori del Centro di Biotecnologie Molecolari dell’Università di Torino hanno aggiunto un sostanziale tassello alla soluzione di questo enigma, in uno studio i cui risultati sono stati pubblicati su Science. Lo studio, sostenuto da Fondazione Airc per la ricerca sul cancro, parte da precedenti risultati ottenuti nell’ambito della ricerca sul cancro e suggerisce per la prima volta che la senescenza può essere scatenata da specifici difetti della proliferazione cellulare.
Due proteine, PI3K-C2alpha e VPS36, sono state identificate come elementi necessari perché una cellula possa dividersi in due cellule figlie. Quando la concentrazione di queste proteine diminuisce, le cellule si duplicano con difficoltà, rallentando i tempi di separazione necessaria perché le due cellule prodotte dalla duplicazione si stacchino l’una dall’altra, tanto da diventare due entità autonome. Federico Gulluni e Lorenzo Prever, insieme al gruppo di ricerca guidato da Emilio Hirsch, hanno scoperto che se il fenomeno di separazione rallenta, come quando PI3K-C2alpha e VPS36 sono meno abbondanti, si scatena il programma di senescenza e le cellule entrano in un nuovo stato, tipico dell’invecchiamento.
Il cristallino dell’occhio è risultato uno dei tessuti più sensibili alla diminuzione delle due proteine. Se ciò avviene, le cellule della lente scatenano il processo di senescenza causando la cataratta. Il cristallino, la lente che all’interno dell’occhio ci permette di mettere a fuoco le immagini del mondo circostante, si opacizza. Negli anziani è fortemente invalidante e, se non opportunamente trattata, è causa di grave impedimento visivo e disabilità. Nonostante la chirurgia offra delle soluzioni più che eccellenti, riuscire a prevenire questo fenomeno è un traguardo finora mai raggiunto, perché le cause dell’opacizzazione del cristallino non sono ancora chiare.
I dati pubblicati su Science aggiungono elementi volti a una più completa comprensione di questi meccanismi, indicando una strada mai precedentemente percorsa. I risultati ottenuti nascono dalla sinergia tra diverse esperienze di biologia cellulare e genetica e hanno coinvolto ricercatori in tutto il mondo, inclusi gli Stati Uniti, la Germania e Israele. L’idea centrale nasce dall’osservazione di una rarissima condizione genetica in una famiglia i cui bambini, nati con una deficienza genetica di PI3K-C2alpha, mostrano segni di invecchiamento precoce, tra cui la cataratta infantile.
L’osservazione è stata poi confermata in pesci zebrafish (Danio rerio) geneticamente modificati che, sviluppando la cataratta, hanno dimostrato quanto questo meccanismo descritto per la prima volta sia radicato anche in organismi evolutivamente distanti dagli esseri umani.
Ma al di là dell’ambito oftalmologico, la ricerca torinese chiarisce un processo fondamentale dell’invecchiamento che potrà avere ampie ricadute. Lo studio potrà aiutare a capire anche nuovi meccanismi del cancro, una malattia associata all’invecchiamento. Emilio Hirsch, che è anche direttore scientifico della Fondazione Ricerca Molinette, spiega : “È evidente che la ricerca sull’invecchiamento non può che essere multidisciplinare. Come questo studio dimostra pienamente, i risultati della ricerca di base hanno ricadute imprevedibili e per questo finanziare la ricerca di eccellenza in questo settore è fortemente necessario”.
Le malattie dell’invecchiamento – espressione che comprende varie patologie, da quelle oncologiche a quelle neurodegenerative – aggiunge “hanno sempre alla base i meccanismi di invecchiamento cellulare. Per questa ragione la Fondazione ha focalizzato la propria missione proprio su queste malattie, promuovendo un bando per favorire lo sviluppo di ricerca traslazionale di eccellenza a Città della Salute e della Scienza”.
Le potenziali implicazioni di questa scoperta non sono ancora esaurite: chiarendo il ruolo delle proteine PI3K-C2alpha e VPS36 nella separazione delle membrane cellulari, si potrebbero aggiungere nuove ipotesi di lavoro nel contrasto del Covid, anche lui in grado di riprodursi proprio grazie alle stesse proteine in questione.
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