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Le imprese come sostituti d’imposta anche per l’IVA

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Le imprese come sostituti d'imposta anche per l'IVA
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Iva, rischio di liquidità per le imprese, se a pagare sarà l’acquirente. Dal primo luglio prossimo, il versamento dell’Iva all’erario, per circa il 20 dell’ammontare totale del sistema, non spetterà più al venditore o fornitore ma all’acquirente. E’ questo il senso delle due misure battezzate in inglese split payment e reverse charge. I “fornitori” non potranno più contare sulla liquidità dell’Iva incassata e dovranno attendere il rimborso di quella pagata.

Per il semplice consumatore, almeno per ora, non cambierà nulla: farà il suo normale acquisto al supermercato, 100 euro più il 22 per cento di Iva al quale spesso non fa neppure caso, e getterà lo scontrino fiscale nel primo cestino appena uscito dal negozio. Ma per il mondo del B2B, cioè del business to business, insomma il mondo degli affari, fatto di un intreccio di acquirenti e fornitori, dal 1° luglio prossimo si prospetta una vera e propria rivoluzione. Il versamento dell’Iva all’erario, per circa il 20 dell’ammontare totale del sistema, non spetterà più al venditore o fornitore ma all’acquirente. E’ questo il senso delle due misure battezzate in inglese split payment e reverse charge: sulla riuscita della prima misura, lo split payment, scommette per poco meno di un terzo, circa 1 miliardo già dal 2017, la manovrina di primavera appena approdata in Parlamento.

Qual è il portentoso meccanismo in grado di tagliare l’erba sotto i piedi all’evasione? E’ la cosiddetta compliance fiscale, in sostanza la fedeltà al fisco: secondo i dati portati dalla relazione tecnica del governo e alla base della filosofia dell’inversione dell’onere del versamento, chi compra è meno incline ad evadere di chi vende. Così una serie di categorie si sono aggiunte alla pubblica amministrazione che già da un paio di anni adotta con successo per l’erario lo split payment trattenendo l’Iva dei propri fornitori di beni e servizi e versandola direttamente allo Stato. Fin qui niente di fenomenale: è ovvio che la pubblica amministrazione, dalle Asl alle Università, ha poco interesse ad evadere.

Ma oggi la lista dei versatori fedeli di Iva si allunga: con la manovrina saranno chiamati a trattenere l’imposta sul valore aggiunto e a versarla all’erario una serie di soggetti definiti “ad alta affidabilità fiscale”: le società controllate dallo Stato, dagli enti locali e le loro controllate dirette ed indirette, le società private quotate in Borsa all’indice Ftse Mib e le loro controllate. La lista dei fornitori si allarga da luglio anche ai professionisti, dall’avvocato all’architetto, che fanno una prestazione di servizi ad uno dei soggetti obbligati allo split payment. Insomma fornitori, lasciate stare: a versare l’Iva all’Erario ci pensano i contribuenti affidabili, Stato e grandi imprese private; non è un affare per voi.

Le proiezioni della relazione tecnica alla manovrina danno risultati stupefacenti: nel 2018 l’Iva che sarà sottoposta a split payment ammonterà a 5,4 miliardi, con un recupero di evasione pari a un miliardo. Se si somma l’intero ammontare di Iva che a regime sarà sottoposta a split paymnent, si arriva a quasi 18,5 miliardi, circa il 20 per cento degli interi versamenti Iva che ammontano a circa 108 miliardi. Un costume che cambia, un modo di calcolare che si dovrà adeguare alle nuove norme. Con qualche problema. I fornitori, siano professionisti o venditori di materie prime o semilavorati o altro, fino ad oggi incassavano l’Iva e tramutandosi in esattori per conto dello Stato la versavano all’erario. Tuttavia mentre la liquidità entrava, il versamento al Fisco vero e proprio spesso si riduceva anche di molto: perché i fornitori sono a loro volta acquirenti, cioè pagano l’Iva ai propri fornitori e poi la scaricano, cioè la ottengono indietro dal fisco.

Il problema, segnalato dalle organizzazioni delle categorie coinvolte, e dal M5S che parla di “prestito forzoso”, è che ora i “fornitori” non potranno più contare sulla liquidità dell’Iva incassata e dovranno attendere il rimborso di quella pagata. Il problema era già stato sollevato per i rimborsi Iva che sono spesso in ritardo. A complicare la questione è che la compensazione tra crediti e debiti Iva è stata resa più onerosa dalla manovrina. Naturalmente per colpa dei contribuenti disonesti che ne hanno abusato, ma per ora per compensare cifre sopra i 5.000 euro bisogna ottenere un visto di conformità dal commercialista che, dicono gli addetti ai lavori, può costare fino a 1.000 euro. Il rischio, dicono gli interessati, è che tra perdita di liquidità e oneri amministrativi, i prezzi aumentino.

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