La situazione e le prospettive dell’economia e del mercato automobilistico Italiano

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Iniziamo, come sempre, questa conferenza stampa con alcune considerazioni sul quadro economico internazionale ed italiano. Nel 2017 la ripresa dell’economia mondiale si è rafforzata grazie anche all’espansione del commercio internazionale ed al buon andamento sia delle economie emergenti che di quelle avanzate e ciò anche se il quadro politico mondiale è tutt’altro che privo di tensioni e di pericoli.

Nel nostro Paese la ripresa dell’economia, iniziata a cavallo tra il 2013 e il 2014, ha subito nell’ultimo anno una chiara accelerazione, come emerge dall’andamento del PiI trimestrale negli ultimi cinque trimestri (slide 2) che ha visto il tasso di crescita tendenziale passare dallo 0,9% del terzo trimestre 2016 all’1,8% del terzo trimestre 2017. Secondo l’Istat l’accelerazione della ripresa in atto porterà la crescita del Pil nel 2017 all’1,5% con un notevole miglioramento rispetto allo 0,9% fatto registrare nel 2016. Un contributo apprezzabile all’accelerazione della ripresa è venuto dalla produzione industriale (slide 4) che nel 2016 aveva un gap rispetto ai livelli ante-crisi del 20,8% e che nel 2017 sta crescendo con un tasso del 2,4% sostenuta dalla spinta degli investimenti, dai superammortamenti e da un clima di fiducia in crescita sia nelle imprese che nelle famiglie (slide 5). Anche i livelli di occupazione hanno tratto vantaggio da questa situazione. In particolare il tasso di disoccupazione è sceso fino 1,1% rimanendo però al di sopra della media della UE (slide 6), mentre il tasso di crescita del Pil nel 2017, nonostante l’accelerazione di cui si è detto, resterà al di sotto della media dell’UE e della maggior parte dei paesi economicamente avanzati.

Andiamo quindi peggio che nell’intera UE sia per l’occupazione che per il tasso di crescita del Pii. Nonostante l’accelerazione della ripresa in atto, l’Italia continua a perdere terreno nel contesto internazionale. Non bisogna poi dimenticare che la crisi economica iniziata con il fallimento di Lehman Brothers 11 15 settembre 2008 per il nostro Paese è stata più grave della crisi del 1929 (slide 7). Rispetto al 2007, a fine 2016, il Pil italiano era ancora al di sotto del 6,9%, mentre per tutti gli altri paesi economicamente avanzati i livelli ante-crisi sono stati raggiunti e superati nel giro di qualche anno ed anche la Spagna, che, come l’Italia, ha dovuto subire i vincoli dell’Unione Europea all’adozione di una politica economica espansiva, nel 2017 (slide 8) sta superando i livelli ante-crisi.

L’accelerazione della ripresa italiana è certamente un dato positivo, ma non può far dimenticare il fatto che il declino del nostro Paese non si è esaurito. Per misurarne la dimensione economica (che non è la sola) il Centro Studi Promotor ha proposto come indicatore il rapporto tra il Pil pro capite del Paese e quello dell’intera Unione Europea. Nel 2001, cioè nell’anno che ha preceduto l’adozione dell’euro da parte dell’Italia, fatto 100 il Pil pro capite dell’Unione Europea, il valore italiano era pari a 118,8, mentre nel 2016 il valore corrispondente era pari a 95,9, e nel 2017 e calerà ancora perché la crescita del nostro PII sarà inferiore a quella dell’Unione Europea. Se calcoliamo lo stesso indicatore per la Germania vediamo che a fronte di un valore di 125,6 nel 2001, vi è un valore di 128,1 nel 2016 (slide 9). li divario economico tra i paesi dell’Unione Europea si sta dunque allargando e si può affermare che all’Italia nell’Unione Europea sta succedendo quello che è successo con l’unità d’Italia al sud del nostro Paese che dell’unificazione sta ancora pagando il prezzo anche se l’Italia unita non ha mai imposto alle regioni meridionali l’abbattimento del patrimonio zootecnico, l’abbandono di colture agricole, il set-aside o la demolizione di fabbriche.

L’analisi della situazione economica italiana è sicuramente necessaria per comprendere l’evoluzione della domanda di autovetture nel nostro Paese durante la crisi e per formulare previsioni per i prossimi anni. Interessante in questo quadro è valutare l’impatto della crisi sui principali aggregati economici ed in particolare sul Pii, sulla produzione industriale e sulle immatricolazioni. Come mostra il grafico 10, considerando i dati annuali, rispetto al 2007, la crisi ha determinato cali massimi dell’8,7% per il Pil, del 23,8% per la produzione industriale e del 47,7% per le immatricolazioni di autovetture. A fine 2017 il gap ancora da colmare dovrebbe essere del 5,3% per il Pii, del 16,5% per la produzione industriale e del 21% per le immatricolazioni di autovetture.

Per quest’ultimo mercato va tuttavia considerato che il confronto con il 2007 è per certi aspetti anomalo perché in quell’anno vi furono incentivi particolarmente generosi che portarono ad un record assoluto di immatricolazioni. Non è escluso che questo livello eccezionale possa essere nuovamente raggiunto in futuro. Sarebbe però sbagliato ritenere che la crisi dell’auto nel nostro Paese finirà soltanto con il superamento del livello del 2007. In effetti saremo fuori dalla crisi già con il raggiungimento del livello fisiologico per il nostro mercato che oggi può essere stimato in 2.200.000 immatricolazioni.

L’analisi delle cause della caduta e dei fattori che hanno sostenuto la ripresa del mercato dell’auto italiano è stata da noi più volte fatta nelle conferenze stampa in apertura del Motor Show. Non torniamo quindi dettagliatamente sull’argomento. Aggiungiamo solo alcune considerazioni che ci sembra utile fare anche in questa occasione. La prima che vogliamo richiamare è che, come si ricorderà, il crollo delle vendite di auto durante la crisi aveva acceso le speranze di coloro che pensavano di sostituire l’automobile con altre soluzioni di mobilità e che si sono talora abbandonati a “sogni” di un mondo senza auto. Si è parlato così di demotorizzazione, di abbandono dell’auto da parte dei giovani, di cali del numero delle patenti, di auto come prodotto obsoleto (da parte di un Ministro in carica), di giovani che preferivano il tablet all’automobile e di altre sciocchezze. La realtà è molto diversa. Non vi è stata alcuna demotorizzazione. II parco circolante ha continuato a crescere salvo per due marginali riduzioni nel 2012 (-0,1 %) e nel 2013 (-0,3%) a cui hanno fatto seguito nuovi incrementi sostenuti, non solo dalla domanda di sostituzione, ma anche dalla domanda per nuova motorizzazione per la prima, la seconda e la terza auto della famiglia (slide 11 e 12).

Le ragioni del fatto che il parco circolante italiano sia uno dei più importanti del mondo in relazione alla nostra popolazione e abbia ancora un potenziale di crescita non vanno ricercate soltanto nella passione degli italiani per l’automobile. Vi sono infatti soprattutto motivazioni legate ad esigenze molto più concrete. E la prima è il fatto che l’offerta di trasporto pubblico è inadeguata alle esigenze del Paese e soprattutto alle esigenze di coloro che devono fare quotidianamente spostamenti casa-lavoro e lavoro-casa (slide 13, 14). La seconda ragione, che non consente agli italiani di rinunciare all’automobile è il fatto che in Italia la dispersione della popolazione sul territorio è decisamente elevata per l’esistenza di molti piccoli centri abitati. L’importanza di questi elementi è così forte che con l’avvento dell’alta velocità ferroviaria, l’utilizzo del treno è molto aumentato, ma ben pochi hanno abbandonato l’auto che rimane indispensabile per la mobilità a corto raggio e non solo. D’altra parte, non si può non sottolineare che lo sviluppo dell’alta velocità ha coinciso con un forte peggioramento della situazione dei trasporti pendolari e questo peggioramento colpisce soprattutto il sud e alcune aree urbane molto importanti (tra cui Roma), come è emerso molto chiaramente dall’ultimo rapporto “Pendolaria” di Legambiente.

Per chi volesse ancora sostenere la crescente disaffezione degli italiani dall’automobile basti considerare che proprio durante questa crisi il numero delle patenti è passato da 31.959.019 del 2010 a 35.755.912 del 2016 con una crescita dell’I 1,9% (slide 15). É vero che per molti giovani il conseguimento della patente non è più la cosa da fare subito appena compiuti i 18 anni, ma questo non deriva tanto da una disaffezione dall’automobile, quanto dal fatto che, in un Paese in cui durante la crisi la disoccupazione giovanile ha toccato il 43,6% molti giovani l’auto non possono neppure sognarla. Durante la crisi dunque l’interesse degli italiani per l’automobile non è calato e la propensione all’acquisto neppure, anche se sull’effettiva trasformazione in acquisti del desiderio di acquistare hanno influito le ben note difficoltà del quadro economico. D’altra parte dalle rilevazioni dell’Isfort scaturisce con grande chiarezza che il mezzo di trasporto preferito dagli italiani è sempre l’auto (slide 16). E dunque durante la crisi gli italiani hanno comprato molto meno auto, ma non hanno rinunciato all’auto per la semplice ragione (tra le altre) che non hanno potuto permetterselo. il parco circolante è così fortemente invecchiato. L’anzianità media delle vetture è cosi fortemente salita con punte molto più elevate al sud. Il rinvio di molti acquisti da tempo maturi ha determinato la formazione di un formidabile serbatoio di domanda di sostituzione arretrata che ha iniziato a scaricarsi sul mercato quando gli italiani hanno cominciato a pensare che il peggio fosse ormai dietro le loro spalle ed hanno gradualmente recuperato fiducia nel futuro e con la fiducia hanno ripreso ad attingere ai loro risparmi ed anche al credito al consumo per sostituire le loro auto ormai mature per la demolizione ed anche per acquistare vetture aggiuntive per nuove esigenze delle loro famiglie. Questo meccanismo è alla base della ripresa a due cifre del 2015 e del 2016 (+16% in entrambi gli anni), sta sostenendo la ripresa nel 2017 con tassi più contenuti, ma significativi, e, complice anche l’accelerazione della nostra economia, riporterà il nostro mercato su “livelli fisiologici” nel 2019.

Ci sono altri due aspetti della crisi dell’auto da cui stiamo uscendo che meritano attenzione. Il primo è l’ambiente e il secondo è l’impatto della crisi a livello territoriale. Per quanto riguarda la scelta di auto con alimentazioni alternative la crisi non ha impedito un notevole miglioramento. Confrontando la struttura delle immatricolazioni del 2007 e quella del 2017 emerge che vi è stato un sostanziale miglioramento in quanto la quota delle “verdi” è passata dal 3,7% del 2007 al 11,4% del gennaio-ottobre 2017 (slide 17). Non è ancora sufficiente, ma si è proceduto nella direzione giusta anche senza incentivi. Va comunque segnalato che la crescita delle alimentazioni verdi è avvenuta a scapito esclusivamente della benzina, mentre il diesel ha leggermente incrementato la sua quota ed oggi è ancora la soluzione di gran lunga più importante nelle flotte e negli altri impieghi professionali ed è decisamente molto gradito anche dai privati. Le ragioni sono note. E’ una soluzione che coniuga il risparmio con le prestazioni e che oggi deve subire una sorta di guerra di religione basata su motivazioni ideologiche ed irrazionali. L’auto elettrica alla fine prevarrà anche sul diesel, ma nella transizione all’auto elettrica il diesel avrà ancora un grande ruolo da giocare. Se sul piano ecologico tra il 2007 e il 2017 il quadro è migliorato, la stessa considerazione non vale sul piano territoriale. Durante la crisi, a fronte di un calo massimo delle immatricolazioni rispetto al 2007 che nell’intero Paese è stato del 47,7% (nel 2013), nell’Italia meridionale vi è stato un calo del 58,01 % e in quella insulare del 63,72%. Il recupero è stato poi molto più lento al sud che nel resto del Paese e a fine 2016, a fronte di un calo sul 2007 del 26,48% per l’intero Paese, per l’Italia meridionale il gap sul 2007 è del 40,73% e per l’Italia insulare è del 48,97%.

Il nostro sud è da sempre la discarica per le auto usate del nord non ancora pronte per la rottamazione e in non pochi casi anche già pronte. La penalizzazione quantitativa e qualitativa del sud nella dotazione di automobili è ovviamente soltanto un aspetto della questione meridionale, ma non è marginale come potrebbe sembrare perché significa più morti sulle strade, più inquinamento e peggior qualità della vita. Ci sembra quindi utile, anzi indispensabile, richiamarla in questa conferenza stampa perché se il Governo, come sembrerebbe, ha intenzione di introdurre incentivi per l’auto non deve dimenticare di prevedere un trattamento di particolare favore per il sud.

Venendo al 2017 e alle previsioni, va detto che l’anno che sta per finire ha proceduto fino a settembre con il tasso di crescita previsto, mentre nell’ultimo trimestre alcuni marchi stanno puntando più sui risultati economici che sulle immatricolazioni e hanno quindi diminuito l’impegno nelle promozioni, negli sconti ed anche nella pratica dei km zero. La conseguenza è che l’obiettivo di due milioni di immatricolazioni non dovrebbe essere raggiunto, ma soltanto sfiorato. Le immatricolazioni dovrebbero infatti toccare quota 1.970.000. Per il 2018 il nostro modello econometrico dà però una previsione di 2.048.000 immatricolazioni, mentre nel 2019 dovremmo raggiungere quota 2.203.000, toccando cosi i livelli fisiologici (slide 19). 11 tasso di crescita del 2018 sarà quindi dimezzato rispetto al 2017. Le ragioni di fondo di questo rallentamento della ripresa sono essenzialmente due. La prima è che dovrebbe continuare la politica delle case varata nell’ultimo trimestre 2017, e cioè più profitti e meno immatricolazioni. Negli ultimi 4 anni le vendite sono cresciute del 51 %. Lo sforzo economico delle case auto e dei concessionari per sostenere questo recupero è stato imponente tanto che ora pensano di tirare il fiato e di mettere fieno in cascina. La seconda ragione del rallentamento della crescita nel 2018 è il fatto che nel secondo semestre dell’anno verranno meno i super ammortamenti che sono stati un eccellente strumento per sostenere la domanda di auto delle aziende. Non si deve però pensare che il calo del tasso di crescita del 2018 preluda ad un’inversione di tendenza. Non sarà affatto così perché nel 2019 il tasso di crescita tornerà ai livelli del 2018 e ciò anche perché il mercato dell’auto sta crescendo in tutto il mondo senza sosta. Nel 2017 si venderanno 73 milioni di autovetture (slide 20) e (considerando anche i veicoli commerciali e industriali) nel 2019 si sfonderà per la prima volta la soglia psicologica di cento milioni di autoveicoli venduti. L’auto a guida autonoma, l’auto elettrica, la prospettiva di incidenti zero sulle strade, il crescente interesse per il noleggio piuttosto che per la proprietà, l’affermarsi di soluzioni come il car sharing, il car pooling, il ride sharing, il maturare di molte altre idee e soluzioni fortemente innovative aprono scenari di eccezionale interesse. Per l’auto e la mobilità quella che è alle porte è una fantastica rivoluzione. Questa rivoluzione e già in atto e procede autonomamente anche in Italia. Nel secolo scorso qualcuno ha detto che l’automobile è stata la macchina che ha cambiato il mondo. Nel nostro secolo l’automobile lo cambierà ancora e in maniera radicale e meravigliosa.

Prima di chiudere questa relazione per maggiore chiarezza, vorremo fare alcune considerazioni sui km zero, sul concetto di livello fisiologico del mercato e sulle prospettive per l’auto elettrica.

La prima considerazione riguarda i km zero ed in particolare l’annosa polemica sui km zero che falserebbero i dati di mercato. Sulla questione abbiamo preso più volte posizione sia per dovere di chiarezza che per la semplice ragione che diffondere gratuitamente pessimismo sulle prospettive del mercato non giova al mercato e non giova all’economia in quanto il pessimismo non è il motore dello sviluppo, ma la rovina del mercato e degli Stati. Anche nel 2017 vi è chi sostiene che la crescita del mercato è fittizia perchè si sono fatti molti “chilometri zero”, che come tutti sappiamo, sono vetture immatricolate ai concessionari per essere vendute nelle settimane successive con forti sconti, secondo una prassi che non è solo italiana perché si usa in moltissimi altri mercati. Per quello che riguarda in particolare il 2017, come mostra il grafico 21, i km zero saranno il 10,67% delle immatricolazioni, mentre nel 2016 erano stati 1’8,06%. Facendo la differenza tra queste due percentuali emerge che la pretesa crescita fittizia nel 2017 sarebbe stata dell’2,61%. Un’inezia o quasi. In effetti, però, non vi è stata alcuna crescita fittizia. Chiariamo ancora, e spereremmo una volta per tutte (ma non sarà così), che i km zero, da almeno tre lustri, sono diventati un nuovo canale di vendita in cui il cliente, se si accontenta di un’offerta più limitata per quello che riguarda colori, equipaggiamenti e versioni, può avere subito una vettura assolutamente nuova ad un prezzo decisamente più contenuto di quello che paga chi acquista sul mercato principale. Il fatto di vendere con prezzi diversi uno stesso prodotto è una strategia di marketing utilizzata anche in altri settori e ha l’obiettivo di massimizzare vendite, ricavi e profitti. Non vi è dunque nessuna ragione di scandalo. Nessuno viene truffato. Chi vuole avere un’ampia possibilità di scelta paga il prezzo di listino (con gli sconti d’uso) e attende che la vettura arrivi dalla fabbrica, chi invece si accontenta di una scelta più limitata, paga meno (anche molto meno) e riceve subito la vettura. Il consumatore, dunque, ci guadagna e a conti fatti ci guadagnano anche gli operatori. Certo gli operatori preferirebbero vendere ai prezzi di listino e senza sconti. Se adottano una politica diversa Io fanno perchè si vende di più e si guadagna di più vendendo Io stesso prodotto a prezzi diversi e coinvolgendo quindi una clientela più ampia. Stando così le cose, il mercato dell’auto è in buona salute, nonostante i km zero, anzi proprio anche per i km zero e i dati sulle immatricolazioni riflettono la sua situazione effettiva. Se all’interno del sistema di vendita la politica dei chilometri zero (o dei prezzi differenziati) ha affetti negativi sulla ripartizione del margine tra i vari operatori della filiera, questa è una questione interna alla filiera e qui va risolta. Come si è già detto sopra, ma repetita iuvant (si spera), lanciare messaggi che mettono in discussione l’affidabilità dei dati ufficiali sulle immatricolazioni penalizza il mercato perché influisce negativamente sulla propensione all’acquisto.

Veniamo alla seconda questione. Abbiamo affermato che nel 2019 il mercato dell’auto italiano raggiungerà il “livello fisiologico”. Questo non significa che raggiunto questo livello le immatricolazioni non cresceranno più, anzi. E questo perché il mercato dell’auto ha un andamento ciclico, cioè è caratterizzato da un periodo di diversi anni in cui le vendite crescono, a cui segue un periodo, sempre pluriennale, in cui le vendite calano, una fase di stabilizzazione (ancora pluriennale), una nuova fase di crescita e poi un nuovo calo che innesca un altro ciclo (slide 22). Raggiungere il livello fisiologico significa che la fase di crescita ha toccato un livello che, (fatto salvo l’intervento di fattori eccezionali) è destinato a continuare ancora per alcuni anni prima che si inneschi un nuovo ciclo. I diversi cicli per l’auto si sono succeduti intorno a una linea di tendenza, cioè intorno a un trend (per chi ama i linguaggi barbarici) di lungo periodo che finora è stato ascendente. In prospettiva, comunque, fermo l’andamento ciclico il trend potrà assumere un andamento piatto e l’intera linea avrà sempre più l’aspetto della curva che gli statistici chiamano logistica o di saturazione.

Per concludere veramente diciamo dell’auto elettrica. Molti sono scettici sull’effettiva possibilità che l’auto elettrica si affermi perché le vendite in Italia e all’estero sono ancora su livelli infimi e perché ci sono ancora problemi da risolvere non indifferenti, come quello della produzione di energia elettrica, della sua distribuzione, del contenimento dell’inquinamento legato alla sua produzione, dello smaltimento delle batterie, dei tempi di ricarica, etc. Ma l’auto elettrica si affermerà perché vi sono due ragioni di fondo perché questo succeda. La prima è una ragione di carattere etico e la seconda è una ragione di carattere economico.

La prima ragione poggia sul fatto che nel mondo vi sono già un miliardo di autoveicoli. Vi è cioè un autoveicolo ogni 7 abitanti. Abbattere e possibilmente eliminare l’inquinamento nelle zone in cui le persone vivono è dunque un imperativo etico ineludibile. L’auto elettrica lo consente, anche se non elimina l’inquinamento, ma Io sposta nelle aree in cui viene prodotta l’energia, rendendolo però meno nocivo, più controllabile e più facilmente contenibile soprattutto se si utilizzeranno maggiormente fonti rinnovabili e se si aumenterà ancora la sicurezza della produzione con centrali nucleari. La seconda ragione, che è molto importante anche per il suo impatto sull’occupazione e quindi sul tenore di vita della gente, risiede nel fatto che attraverso il lancio dell’auto elettrica in un periodo congruo l’industria automobilistica, che sta investendo massicciamente sull’auto elettrica, si prepara a sostituire con molto anticipo sui ritmi del passato un miliardo di autoveicoli. Quale operatore del settore può perdere un’occasione simile?

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