Draghi dice addio al Quantitative easing. Cosa succede ora per l’Italia. Da ottobre acquisti ridotti a 15 miliardi al mese. Stop da dicembre.
A fine anno Mario Draghi spegnerà il bazooka del Quantitative easing. Quel prezioso paracadute aperto dalla Bce sui titoli pubblici, che ha protetto dalla febbre dello spread soprattutto i Paesi più indebitati d’Europa come l’Italia, si chiuderà ancora un poco a partire da ottobre, con gli acquisti di bond dimezzati da 30 a 15 miliardi di euro al mese. Poi, a dicembre, verrà ripiegato del tutto. Con buona pace dei tedeschi che da mesi ne invocano la fine, intravedendo nel Qe un aiuto “non convenzionale” all’Italia e ai Paesi del Club Med. Tradotto: prepariamoci a cavarcela da soli.
Certo, la politica monetaria della Banca centrate europea resta ancora accomodante, il costo del denaro resterà al minimo storico almeno fino all’estate del 2019, ma il mostro dello spread adesso lo dovremo tenere a bada senza l’aiuto di Super Mario. La decisione non era scontata, alcuni si aspettavano infatti un’indicazione di massima dalla riunione di oggi, e una tabella di marcia definita solo il mese prossimo.
Cosa succede adesso? In teoria, nell’immediato, nulla. Per quanto riguarda l’Italia dipenderà dalla forma che prenderanno le politiche economiche del governo, da quanto i conti pubblici sbanderanno rispetto al sentiero stretto tracciato dall’ex ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan e, soprattutto, dai toni che assumerà il confronto con l’Europa per ottenere più flessibilità sul deficit in cambio di riforme. L’Italia paga ogni anno tra i 50 e i 60 miliardi di interesse sul suo elefantiaco debito pubblico che pesa quasi il 132% del Pil, lo scorso anno il calo dello spread ci ha consentito di risparmiare l’1,7% di questa spesa, ma con 72 miliardi di debito da rifinanziare nelle aste da qui a settembre il conto potrebbe essere salato.
Basta dare un’occhiata a come è andata l’ultima sta dei Btp, che ha segnato un rendimento dello 0,55%, cioè il livello più alto dal 2014. Sulle scadenze a breve termine, i nostri titoli di stato scontano addirittura un rendimento maggiore di quelli greci, ciò significa che è prezzato un maggiore rischio Paese. Un rialzo dello spread significherebbe, dunque, che il debito ci costerebbe di più mentre, per quanto riguarda famiglie e imprese, si alzerebbero i costi di finanziamento per mutui e prestiti. D’altro canto, i risparmiatori potrebbero investire a tassi più alti la propria liquidità. Per ora, comunque, non si sono visti ancora effetti sul costo del credito e, anzi, i tassi sui mutui sono ancora ai minimi storici.
Il quantitative easing è una misura di politica monetaria che serve a immettere liquidità nel sistema. La Banca centrale, in questo caso la Bce, ‘stampa’ moneta attraverso l’acquisto sui mercati finanziari di titoli di Stato o di prodotti di altro tipo. Gli effetti del quantitative easing riguardano in primo luogo il cambio: con l’immissione in circolo di più denaro la moneta si deprezza. Le sole attese di una prossima attuazione della misura da parte dell’Eurotower hanno portato l’euro nei giorni scorsi sotto quota 1,15 dollari, fino ai minimi sul dollaro dall’autunno del 2003. Il calo della moneta favorisce l’export. Non solo. Maggiore moneta in circolazione e l’indebolimento dell’euro favoriscono l’aumento dei prezzi.
La Bce ha un obiettivo sull’inflazione annua “sotto ma vicino al 2%”, mentre a dicembre l’andamento annuo dei prezzi dell’eurozona ha fatto registrare una discesa dello 0,2%. Inoltre, con l’acquisto di titoli di Stato, il Qe ha effetto sugli spread sovrani facendo scendere i tassi di interesse. Se infatti la Bce acquista bond pubblici questi tendono a pagare rendimenti sempre più bassi. Anche in questo caso, le sola aspettativa di un utilizzo di quello che viene definito il ‘bazooka’ dell’Eurotower ha fatto scendere lo spread del Btp a 10 anni italiano nei sotto quota 120 punti base. L’effetto si riflette su tutti i titoli bancari e aziendali che a livello di rendimento scontano il cosiddetto ‘rischio Paese’. Questo significa, in parole semplici, che le imprese possono finanziarsi a un costo minore e che anche i prestiti all’economia reale, incluse le rate dei mutui concessi alle famiglie, diventano meno cari.
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