Fondi per crescita Ue, muscoli verso la Cina: l’agenda delle tre signore dei mercati.
Lo scontro
Con il passare degli anni, l’Unione europea si è sempre più calata nel ruolo di un’anziana maestra travolta da una classe di teenager fuori controllo. Più da Bruxelles arrivano appelli al rispetto delle regole internazionali del ‘900, più le nuove potenze o le vecchie potenze con leader di nuovo tipo — per prima l’America di Donald Trump — perseguono rumorosamente i propri interessi.
Senza riguardo per nessuno. L’anarchia e il ricorso alla legge del più forte sono tali che la maestra inizia a chiedersi se non sia tempo di cambiare approccio e unirsi anche lei al caos. Gli esempi sono più numerosi di quanti possano entrare in un solo articolo. Mentre l’Unione europea continuava ad appellarsi alle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, gli Stati Uniti e la Cina si sono lanciati in una guerra a colpi di dazi unilaterali su beni per oltre 800 miliardi di dollari.Mente la Ue applicava severamente le proprie norme della Concorrenza sugli aiuti di Stato e le concentrazioni fra imprese, a Pechino il regime a partito unico finanziava a fondo perduto colossali conglomerati ormai presenti in Europa. E mentre l’europarlamento approvava la norma più avanzata al mondo sulla tutela dei dati personali, grandi gruppi americani (Facebook, Google) e tutti i Big Tech cinesi hanno usato a loro piacimento — in modo legale o no — informazioni riservate sui loro clienti.
Gli strumenti per la competizione
L’Europa, quanto a questo, è rimasta in minoranza nel governo dell’economia internazionale. Il fronte dei governi legati al multilateralismo nel governo dell’economia mondiale oggi rappresentano un terzo del Prodotto interno lordo e un quinto della popolazione del G20. A Bruxelles, Berlino e Parigi questo nuovo rapporto di forza non sfugge. Per questo l’avvio di una nuova stagione europea — la Commissione Ue guidata dalla tedesca Ursula von der Leyen, la Banca centrale europea affidata a Christine Lagarde a cui si aggiunge Kristalina Georgieva, incoronata dal Fmi unica candidata al vertice dopo Lagarde — coincide con un ripensamento. Bruxelles continuerà a difendere i mercati aperti e le regole del multilateralismo. Intanto però la Commissione Ue svilupperà anche un proprio «sovranismo» su base continentale.
L’idea di fondo è che anche l’Unione europea da ora in poi possa dotarsi di strumenti per resistere nella ruvida competizione di questi anni fra grandi sistemi. Del resto, sono ovunque gli indizi di una ricerca di mezzi nuovi di autodifesa e ritorsione.
Il portafoglio Growth di Ursul
Von der Leyen creerà nella Commissione un portafoglio «Growth» — forse da affidare alla commissaria francese Sylvie Goulard — che include le politiche per la crescita, le imprese, gli investimenti verdi e buona parte dello sviluppo tecnologico. Sarà una cabina di regia delle politiche industriali. Sia a Berlino che a Parigi si pensa a una profonda revisione su questo fronte, inclusi strumenti per escludere imprese non europee controllate dai loro governi (vedi alla voce Cina) dagli appalti degli Stati della Ue.
In questo momento la presidenza di turno dell’Unione spetta alla Finlandia, un piccolo Paese da sempre aperto al libero scambio e dipendente più che mai dall’export. Ma persino il suo ministro al Commercio, Ville Skinnari, riconosce che l’approccio europeo sta cambiando. Nelle intenzioni non dev’esserci più un’Europa che viene da Venere — secondo il vecchio cliché — mentre gli Stati Uniti e la Cina vengono da Marte. «Siamo a favore di un sistema multilaterale basato sulle regole — ha detto Skinnari al Financial Times —. Ma siamo pronti a reagire con il fuoco al fuoco».
Un freno a chi non separa politica ed economia
È prudente non portare mai la metafora bellica troppo lontano, ma la riflessione a Bruxelles su come calare la Ue nel ruolo di potenza sovranista sta andando avanti anche su altri fronti. Proprio in questi giorni lo European Council on Foreign Relations (Ecfr) e il centro studi bruxellese Bruegel hanno pubblicato un rapporto rivolto alla nuova commissione.
Lo firmano, fra gli altri, studiosi molto noti e molto ascoltati dai principali governi europei come Mark Leonard, Jean Pisani-Ferry e Guntram Wolff. Si legge nel rapporto: «In gioco c’è la sovranità economica dell’Europa» perché «la Cina e gli Stati Uniti non separano i loro interessi economici dai loro interessi geopolitici come fa la Ue». L’accusa è molto circostanziata: dalle guerre commerciali sancite a colpi di dazi unilaterali, a Trump che taglia fuori dagli Stati Uniti le imprese europee che fanno affari con l’Iran, ai sussidi e agli obiettivi politici delle acquisizioni in Europa dei grandi gruppi di Pechino.
Esami più stringenti allo shopping di Pechino in casa nostra
Pisani-Ferry e colleghi presentano una lista di suggerimenti alla Commissione e ai governi.
Fra questi l’idea di sottoporre a esami più stringenti sugli aiuti di Stato le imprese cinesi attive in Europa e l’idea di un robusto vaglio a livello europeo ogni volta che un gruppo di Pechino acquisisce asset in un Paese europeo. Il rapporto di Bruegel e dell’Ecfr propone anche che l’Alto rappresentante della politica estera europea possa impedire all’Antitrust di Bruxelles di fermare una fusione fra grandi imprese europee, se ci sono ragioni di ordine geopolitico che la giustificano. Solo proposte, per il momento. Ma rivelano che il clima e cambiato e l’Europa vorrebbe dotarsi di qualche muscolo in più. A patto che trovi le proteine per crescere.
Lascia un commento