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Giochi con la matematica a 3 anni? Andrai meglio a scuola

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Secondo uno studio Usa promuovere l’alfabetizzazione matematica nei bambini piccoli migliora le performance successive. Se tre anni vi sembran pochi per parlare a vostro figlio di questioni matematiche forse lo state già condannando a scarse performance scolastiche nella scienza dei numeri. O comunque vi giocate un’occasione. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista della Society for Research in Child Development favorire l’alfabetizzazione matematica e rafforzare le competenze numeriche di bambini di 36 mesi, in particolare attraverso concetti legati alla stima di piccole quantità di oggetti, è un elemento predittivo di performance migliori nel corso dei primi anni delle scuole elementari. Il che non è affatto male: perché scacciare, magari per sempre, lo spauracchio della matematica dalla propria storia scolastica è un vantaggio di per sé, e anche perché, come ricordano gli autori dell’indagine, secondo altri studi chi è più bravo in matematica da piccolo ha più probabilità di guadagnare da adulto. Insomma, i genitori sono avvisati: con poco impegno, magari giocando con i numeri, c’è davvero tanto da guadagnare. In ogni senso, anche letterale.

L’importanza di saper contare. I ricercatori del Boston College hanno studiato le interazioni di 140 madri di diverso stato socioeconomico e origine etnica con i loro bambini di 36 mesi, arruolati nel NICHD, Study of Early Child Care and Youth Development, un’indagine longitudinale del governo Usa. Con modalità diverse di valutazione hanno analizzato filmati di momenti di gioco libero tra madri e i figli, seguendo poi i bambini fino al primo anno delle scuole elementari. Le madri rafforzavano le abilità matematiche dei figli in modi diversi: contando oggetti a voce alta, identificando insieme a loro numeri scritti (questo segno è un 2, questo invece è un 5). Ma i bambini che, qualche anno dopo l’avvio dell’indagine, riuscivano meglio nei test matematici prescolari e nelle sottrazioni e addizioni all’inizio della scuola elementare, erano quelli che erano stati supportati dai genitori nelle stime delle quantità, cioè nel dare un valore numerico a piccoli set di oggetti.
Beth Casey, professore di Psicologia applicata allo sviluppo e all’educazione alla Lynch School of Education del Boston College e primo autore dello studio ha spiegato che “molti bambini piccoli sanno contare fino a 10 senza però comprendere il significato dei numeri”. E che invece “può essere importante per i genitori sottoporre ai loro figli piccoli gruppi di uno, due, tre oggetti indicando di quanti oggetti si tratta”, (guarda, abbiamo due mele nella sporta della spesa, quattro libri sullo scaffale, tre fragole nel piatto…)   E incoraggiare i bambini a dare loro stessi una quantità a piccoli set di cose (puoi darmi 3 caramelle?). Secondo gli autori, aiutare i bambini ad apprendere come dare una misura o un numero a un insieme di oggetti aiuta a elaborare un concetto cruciale: comprendere che l’ultimo numero detto quando si contano cose, rappresenta la quantità dell’intero set di cose. Questo passaggio (che a ben pensarci non è affatto immediato per un bambino) rappresenterebbe il fondamento per lo sviluppo di più complesse abilità numeriche.

L’esperto. “La stima di quantità è legata al senso profondo del numero, non stupisce che rappresenti un efficace rinforzo per il rendimento”, commenta Alessandro Antonietti, docente di Psicologia dell’apprendimento e dell’educazione alla Cattolica di Milano. Ma stime numeriche a parte, questo studio sul rafforzamento precoce delle competenze numeriche contraddice quello di cui molti sono convinti, e cioè che la matematica sia un po’ come il senso artistico: ci si è portati o no. “Anche se ci sono diverse predisposizioni e meccanismi cerebrali che potrebbero favorire o meno apprendimento e rendimento, la matematica non è come l’arte. La ragione per la quale molti hanno problemi con questa disciplina è che ha a che fare col pensiero logico-astratto, che non è pratica di tutti i giorni. Inoltre c’è una questione di educazione: molti sistemi scolastici sono stati basati in passato, e lo sono tuttora, sulla trasmissione di regole, aspetti formali, enunciati che favoriscono l’automatismo e non stimolano il ragionamento. Anche in Italia si sta cominciando a lavorare con i bambini anche molto piccoli utilizzando supporti analogici, esperienze visive, e si sta rivalutando il metodo Montessori che utilizza oggetti, giochi. Si lavora invertendo i problemi: ai bambini diamo dati, risultati, e chiediamo di arrivare alla domanda, questo elimina il rischio di automatismi, che neutralizzano il ragionamento”.

Le nuove generazioni e la mancanza di stimoli a ragionare. La questione dell’apprendimento e dell’insegnamento della matematica è un argomento dolente in Italia, che ai periodici test di valutazione degli studenti non dà il meglio di sé in logica-matematica, specialmente in alcune regioni del Sud. “La questione non è italiana ma internazionale – ragiona Antonietti – ovunque registriamo un calo delle capacità di apprendimento delle cosiddette Stem, le scienze matematiche ingegneristiche e tecnologiche.  La questione è legata al fatto che le nuove generazioni hanno la possibilità di accedere a strumenti che risolvono problemi al posto loro, dalle app ai navigatori satellitari. E sono sovraesposti a un eccesso di stimoli sensoriali che non favoriscono il pensiero astratto. Manca la motivazione e l’allenamento a ragionare in termini astratti. Per quanto riguarda l’Italia e i risultati ai test di valutazione dei nostri studenti, non aiuta la nostra tradizione didattica, però va detto che nemmeno aiutano i sistemi di valutazione utilizzati a livello internazionale, che sono costruiti su test cosiddetti a crocetta, a cui ragazzi di altri paesi sono abituati, i nostri meno”.

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