Povertà, perdita di ricchezza e soldi pompati da banche centrali e governi: i grandi numeri del Fmi sulla crisi che stiamo vivendo. Secondo il nuovo World Economic Outlook, in 90 milioni rischiano di entrare in grave stato di deprivazione; la perdita di Prodotto interno lordo al 2025 sarà di 28 trilioni e i supporti di banche centrali e governi pompati nell’economia arrivano a 12 trilioni.
Tre cifre danno la dimensione della crisi che stiamo vivendo. Con la solita precisione le illustra il Fondo monetario internazionale che oggi a Washington, ma rigorosamente on line, come avvenne nella primavera scorsa, apre gli Annual Meetings, forse il più importante appuntamento economico internazionale dell’anno. La prima cifra riguarda la povertà: la crisi rischia quest’anno di portare 90 milioni di persone nel globo in grave stato di deprivazione; la seconda riguarda la perdita di prodotto, rispetto alle aspettative prima della pandemia, sarà di 11 trilioni nel biennio 2020-21 e di 28 trilioni nel 2020-25; la terza cifra, cioè i 12 trilioni che banche centrali e governi hanno pompato nell’economia, ci consegna infine un orizzonte di speranza sulla tenuta della cooperazione internazionale e, in particolare, della reazione europea. “Eccezionale risposta politica”, la definisce la capo economista dell’Fmi, Gita Gopinath.
La capacità di reazione, che si misurerà anche nel G20 convocato on line, per domani, per concordare misure di rilancio economico anti-Covid e affrontare la questione dei debiti di molti paesi in via di sviluppo, è stato il punto di forza della comunità internazionale in questi lunghi mesi del 2020. I risultati, come non manca di sottolineare il Fondo, emergono dalle nuove e aggiornate previsioni sull’entità della recessione di quest’anno: oggi sono migliori di quanto ci si aspettasse nel giugno scorso. La contrazione mondiale del Pil è limitata dalle stime appena diffuse al -4,4 per cento, ovvero 0,8 punti rispetto alla proiezione di giugno che, dopo un ricalcolo metodologico, è salita al -5,2 per cento. In parallelo va gettato l’occhio anche al commercio mondiale: la caduta è del 10,6 per cento, e resta paurosa, ma è migliorata di 1 punto e mezzo.
Anche gli Stati Uniti che a giugno venivano dati con un Pil in caduta del -8 ora riducono le perdite al -4,3. Recupera con egual tono anche l’Europa che “ferma” la caduta del Pil dell’area dell’euro al -8,3 per cento, quasi 2 punti meglio di quanto si aspettasse a giugno. L’Italia segue questo trend e il Fondo riposiziona la sua stima al -10,6 per cento, più vicino alle cifre del governo e in miglioramento di 2,2 punti. Solitaria la Cina, dove il virus si diffuse agli esordi: con un Pil in crescita dell’1,9 per cento quest’anno è l’unica nazione con il segno “più” in una triste marea di “meno”.
Tutto ciò è dovuto, un po’ come in Italia, alla buona prestazione del terzo trimestre dell’anno che ha beneficiato di riaperture e ripresa dell’attività e dei consumi in sintonia con il rallentamento dell’epidemia mondiale. Le banche centrali e i governi hanno fatto bene, dice il Fondo, che apprezza gli interventi di assistenza sociale, gli incentivi alle assunzioni e le garanzie dei crediti (menù che rispecchia, bisogna dirlo, quello adottato dal governo italiano).
Tuttavia – è questo il segnale principale che viene da Washington – resta una “tremenda incertezza” e anche gli economisti del Fondo non possono far altro che inserire, come variabile principale delle loro equazioni, la speranza in un vaccino il più presto possibile. Altrimenti l’effetto sull’economia sarebbe duro e le probabilità di una crisi finanziaria si amplificherebbero. Un monito che bisogna tenere ben presente.
Lascia un commento