Le fatiche di Ercole, un mitico eroe tutto italiano

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Ercole, il difensore dei popoli dell’Italia antica. Ercole, 2500 anni fa, era venerato come un dio sceso in Terra per aiutare gli uomini, e sulla via sacra a lui dedicata – che attraversava la nostra penisola – nessuno poteva subire ingiustizie.

Cinque secoli prima della nascita di Gesù i popoli dell’Italia antica veneravano un eroe generoso, altruista, sempre dalla parte dei deboli. Anche lui era figlio di un dio (nel suo caso Zeus, il padre degli dei), anche lui era venuto in Terra ad aiutare gli uomini. Era una specie di anticipatore di Gesù (figlio del Dio unico) e del suo sacrificio per noi. Si chiamava Herkle per gli etruschi, Eracles per gli abitanti della Magna Grecia, Hercules fra i Romani (e Ogmios per i Celti). Tanti nomi per dire Ercole, il protagonista delle 12 fatiche. Hollywood l’ha poi presentato come il forzuto che sollevava macigni, anche un po’ donnaiolo ed edonista. Ma per i popoli dell’antichità, soprattutto in Italia, era un personaggio molto serio, l’essenza della virtù, veneratissimo. Lo definivano Difensore, Salutare, Salvatore, l’Allontanatore dei mali.

Lungo la strada. Il vero culto di Ercole in Italia è riemerso dal passato, in tutta la sua importanza, quando, con un gruppo di ricercatori, Focus ha cercato di sciogliere uno degli enigmi dell’antichità: quello della mitica via Heracleia, cioè di Ercole. Esisteva per davvero? Se ne trova notizia in uno scritto attribuito ad Aristotele: «Dicono che dall’Italia, fino alla terra celtica, dei Celtoliguri e degli Iberi c’è una via detta Heracleia, attraverso la quale qualunque viaggiatore, sia esso greco o indigeno, è protetto dagli abitanti del luogo perché non gli sia fatta alcuna ingiustizia; infatti debbono pagare il fio quelli nel cui territorio sia avvenuta un’ingiustizia».

Una strada protetta, dunque, e gli stessi abitanti dei suoi vari tratti ne rispondevano direttamente (con un’ammenda, e forse di più) se fosse capitato qualcosa di spiacevole al viandante. Su di lui, la speciale tutela di Ercole. Questa strada sicura esisteva o Aristotele voleva solo stupire, come potrebbe avere fatto Platone accennando ad Atlantide?

Ercole cattura il cane Cerbero, il guardiano infernale: le dodici fatiche erano compiute. Shutterstock
Ercole cattura il cane Cerbero, il guardiano infernale: le dodici fatiche erano compiute. Shutterstock

In effetti, esisteva: partiva dalla Sicilia, toccava molte località della Calabria, proseguiva per Campania, Lazio e Toscana; tagliava lo stivale verso le Marche e proseguiva in Veneto e Friuli, poi piegava a ovest per la Pianura Padana, attraversava Piemonte e Liguria e superava le Alpi fino alla colonia greca di Marsiglia, l’antica Massalia fondata dai Greci di Focea. Per questa ricostruzione gli archeologi non si sono basati sulle evidenze concrete di una vera strada lastricata (anche se in certi tratti era così), ma su fonti letterarie antiche, ritrovamenti di oggetti di culto, sorgenti e santuari dedicati a Ercole.

La via sacra: Heracleia. I santuari erano in un certo senso gli autogrill e i motel dell’antichità: si faceva tappa sempre lì per sostare, rifocillarsi, fare un’offerta e mantenere la rotta giusta. Reti secondarie di sentieri si snodavano da questa via principale. La via si può immaginare come un insieme di sentieri, ma anche tratti più definiti, che furono battuti nel Medioevo dai pellegrini diretti in Terrasanta. Per esempio, la via Burdigalense, che partiva da Bordeaux e passava anche dall’attuale Lombardia. In Liguria, la via Romana Iulia Augusta seguiva proprio il tracciato della via Heracleia.

Come ha avuto origine la strada di Ercole? «Quando, in età preromana, si viveva soprattutto di pastorizia, l’eroe era venerato dagli allevatori delle varie stirpi italiche», spiega Giorgio Arnosti, del Gruppo Archeologico Cenedense di Vittorio Veneto: «le loro transumanze aprirono i primi percorsi della via, in cui dovevano essere bandite le razzie di bestiame e altri atti di violenza. In Veneto abbiamo trovato reperti riferiti a Ercole, statuette e iscrizioni di fonti sacre che confermano il clima di fiducia fra comunità anche lontane.»

Simbolo di virtù e giustizia. La Penisola era percorsa dai commercianti, anche provenienti dalla Grecia e diretti alle colonie del Nord come Marsiglia. L’idea che Ercole tutelasse i viaggiatori si rivelò così ancora più importante. «Ercole in Italia era visto come più giusto, saggio e generoso di quanto non lo fosse in Grecia, dove era nato il suo mito», spiega Ferruccio Bravi, del centro Studi Atesini di Bolzano: «un eroe sempre dalla parte della virtù e non del vizio, che difendeva i deboli, sfidando le forze del male e della natura.» Una figura che ha sì diverse analogie con Gesù Cristo, ma che certo non usava porgere l’altra guancia, in un’epoca in cui l’inganno e la sopraffazione venivano praticati prima di tutto dagli stessi dei. Nato dalla relazione illegittima di Zeus con Alcmena, Ercole ne passò infatti di tutti i colori. Da piccolo dovette strozzare i serpenti inviati dalla gelosissima Era, moglie di Zeus.

La seconda impresa: Ercole e il leone di Nemea (di Peter Paul Rubens). © P.D., via WikiMedia
La seconda impresa: Ercole e il leone di Nemea (di Peter Paul Rubens). © P.D., via WikiMedia

Da giovane, dopo che dei e semidei gli avevano insegnato a guidare il carro, a usare la spada, a tirare con l’arco e le tecniche del pugilato (ma anche a suonare la lira, il canto e la letteratura), si trovò al celebre Bivio: due dee, una della virtù l’altra del vizio, gli intimarono di scegliere. Lui andò con la prima. Con le sue continue persecuzioni, Era riuscì anche a farlo impazzire nel momento di maggior celebrità, dopo che aveva liberato Tebe dai Mimi e sistemato per bene altri tiranni. Era gli fece uccidere sei figli facendo in modo che lui li scambiasse per nemici. Accortosi dell’errore, dalla disperazione si recò dalla Pizia, l’oracolo di Delfi che, per volere di Zeus, lo mandò a compiere le celebri fatiche su ordine del sovrano-fratello Euristeo che regnava a Tirinto.

Le prime fatiche si svolsero nel Peloponneso, poi in Magna Grecia, Spagna, Francia, nord Africa, Medio Oriente: un palcoscenico di avventure che corrisponde all’espansione del suo culto. Quasi ogni fatica segna un percorso mitico che nella realtà metteva in comunicazione comunità diverse. Una storia su Ercole era un lasciapassare mostrato a chi pure credeva in lui e nei suoi valori. Il racconto avvicinava le persone, dava origine a santuari, fonti sacre, alle sicure strade di Ercole.

Un dio molto italiano. In Italia, l’eroe del mito compì soprattutto la sua decima fatica. La percorse tutta, tornando dalla Spagna dove aveva sconfitto Gerione, il gigante egoista a tre teste e sei braccia, allo scopo di impossessarsi dei suoi buoi e restituirli agli uomini. Il percorso italiano non fu per Ercole una passeggiata: Strabone racconta che l’eroe, nell’area vulcanica dei Campi Flegrei, si sia scontrato con i Giganti Leuterni e abbia dato origine, presso Pozzuoli, al Lago Averno, chiudendo un golfo. Preparò vicino al lago una strada, la stessa che oggi costeggia il mare, che Diodoro e Properzio chiamavano strada Heracleia. Questa passava presso Cuma, città che gli archeologi ritengono sia stato il punto iniziale di diffusione del mito in Italia e dove si credeva che esistessero le spoglie del tremendo cinghiale di Erimanto, catturato da Ercole. Del resto, la stessa Ercolano, fondata dai Greci e distrutta insieme a Pompei con l’eruzione del Vesuvio, aveva quel nome in onore dell’eroe.

A Eraclea, in Magna Grecia, gli antichi conservavano presunte impronte di Ercole, ma da quelle parti esisteva anche un macigno sacro che lui avrebbe spostato con un dito. «Ercole era molto legato alle sorgenti termali», spiega lo storico Attilio Mastrocinque: «Santa Cesarea Terme, nel Salento, sarebbe il luogo dove alla fine sprofondarono i Giganti sconfitti. In Sicilia, a Segesta, si pensava che le ninfe avessero fatto zampillare sorgenti per farlo bere, dopo una delle sue imprese. A Siracusa gli fu dedicata la fonte Ciane, dove avrebbe compiuto il sacrificio di un toro. Il suo culto era diffuso anche a Roma, dove in una caverna del colle Aventino, aveva dimorato Caco, un altro mostro che tentò di rubare le mandrie di Ercole e che ebbe naturalmente la peggio. Il culto è attestato anche al tempio della Cannicella, a Orvieto, che aveva impianti di acqua a uso rituale. Presso Cerveteri, in Etruria, si trovava una sorgente di natura vulcanica dedicata a Ercole.»

La sesta impresa: Ercole disperde gli uccelli del lago Stinfalo (di Albrecht Dürer). © P.D., via WikiMedia
La sesta impresa: Ercole disperde gli uccelli del lago Stinfalo (di Albrecht Dürer). © P.D., via WikiMedia

Vegliava anche sulle Alpi. Fu una delle pochissime divinità a far parte, nel VI sec. a. C., in epoca preromana, del pantheon degli antichi Veneti. Sculture di Ercole e luoghi di culto si trovano anche in Friuli: per esempio, a Zuglio e a Cividale. Ercole ispirava sentieri protetti lungo l’arco alpino. Come in Valcamonica (Lombardia) e a Usseglio (Piemonte), dove è stata trovata un’ara votiva. Persino le sorgenti del Po gli erano state consacrate. A La Thuile (Val d’Aosta), c’è un altro santuario, in “memoria” del suo passaggio per l’Alpis Graia. Per monti e boschi, dove i pericoli, anche di banditismo, erano maggiori che altrove, si moltiplicarono i suoi luoghi di culto. Per Strabone, nei boschi sacri anche gli animali smettevano di essere inseguiti dai loro predatori. Le montagne dell’est erano territorio di Ogmios, dio dei Celti, che in realtà era sempre Ercole con un’altra nazionalità.

E ancora: in un documento del II secolo d.C. un interlocutore celta spiega come da loro, in Gallia, Ogmios sia il dio dell’eloquenza e che questi però viene identificato con Ercole. Infatti anche Ogmios veniva ritratto con una clava. La strada pedemontana che parte oggi da Pordenone era un altro tratto della via di Ercole: si trovano statuette di Ercole e poi, in epoca celtica, di Ogmios.

Quest’ultimo era per i Celti un dio “campione” e protettore delle acque, una chiara identificazione con l’eroe greco. Un eroe per tutti, questo Ercole, che riuniva forse una serie di figure senza nome a lui precedenti, che incarnavano, tra i diversi popoli dell’Italia, il lavoro e la fatica quotidiana, il bisogno di giustizia e la volontà necessaria per superare le difficoltà di tutti i giorni. Molto tempo prima che Giustino, filosofo greco di fede cristiana, guardasse a lui come anticipatore di Cristo.

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