Il Capitalismo ha fatto il bene del mercato ma non della gente

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Chi è stato il padre del capitalismo? Adam Smith nel ’700 teorizzò un libero mercato di uomini liberi. Una formula che avrebbe dovuto garantire ricchezza e felicità a tutti. Riscoperta nel ’900, fu però travisata e fraintesa.

Il capitalismo è nato con l’economia moderna. Il suo padre nobile è il filosofo scozzese Adam Smith (1723-1790), che ai posteri ha lasciato un’opera destinata a cambiare il mondo: Indagine sulla natura e la causa della ricchezza delle nazioni (1776). Cinque volumi che tentavano di rispondere a una domanda centrale della modernità: Stato e mercato che rapporto devono avere?

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Adam Smith, filosofo scozzese. Secondo lui una società prospera solo se ognuno persegue il proprio personale interesse, perché sulla somma dei singoli interessi vigila poi una “provvidenza”: la mano invisibile del mercato che regola tutto. | WikiMedia

Stato e mercato. Come abbiamo raccontato in dettaglio nel (lontano) numero 90 di Focus Storia (aprile 2014) la risposta del filosofo era stata: nessuno, o quasi. Perché lasciato libero di agire, e governato da una sorta di “provvidenza”, il mercato innesca un circolo virtuoso capace di produrre ricchezza per tutti.

Illuminista, coinvolto nel fervente dibattito dei suoi anni, Smith visse le trasformazioni della prima, embrionale rivoluzione industriale. Viveva in una realtà fatta di piccoli centri economici in espansione, grandi certezze e ingombranti gerarchie politiche e religiose (era il secolo della crisi delle monarchie, in Francia spazzata via dalla Rivoluzione del 1789).

Smith notò come gli affari d’oro della Compagnia delle Indie – il braccio commerciale dell’Impero Britannico – erano figli di una cultura poco moderna e di una visione monopolistica: si scagliò così contro caste, lobby e conflitti di interessi, invocando un mercato libero.

Libertà vo cercando… Come tutti gli illuministi, Smith voleva che al centro ci fosse la libertà – degli uomini e del pensiero. Elaborò quindi la sua profetica intuizione: la sfera politica, disse, non può essere svincolata dalla dimensione economica, e men che meno da quella etica. Al centro del dibattito andava messo allora “il problema dei problemi”: come produrre ricchezza per la collettività (oggi diremmo come far crescere l’economia), e soprattutto… Perché? A quale scopo?

Tanti egoismi, tanto benessere. La questione era enorme: si trattava di definire la destinazione d’uso del denaro, proprio nel momento in cui i soldi iniziavano a girare. Smith optò per una soluzione in cui lo Stato si asteneva dall’intervenire. Secondo lui una società prosperava solo se ognuno perseguiva il proprio personale interesse, perché sulla somma dei singoli interessi vigila poi una “provvidenza”: la mano invisibile del mercato che regola tutto.

A monte della società ci sarebbero quindi tanti egoismi. Ma possono tanti egoismi rendere tutti felici? Vale a dire, si può stare in un modello capitalistico e considerare i bisogni di tutti?

Smith riteneva di sì. L’uomo, secondo lui è dotato di empatia. Ovvero si mette nei panni degli altri per capire come comportarsi. Il modello capitalistico, gestito da uomini per natura attenti al prossimo, avrebbe quindi giovato al benessere di tutti.

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Il Crystal Palace di Londra, dove nel 1851 si tenne la Grande Esposizione, al culmine della rivoluzione industriale. | J.Mc Neven /WikiMedia

Smentito dai fatti. Quando la Rivoluzione industriale giunse a compimento, un secolo dopo, emersero però contraddizioni che né lui né i filosofi precedenti avevano immaginato.

Nella seconda metà dell’800 ci si rese conto che l’economia era sì cresciuta, ma la crescita economica aveva accentuato le disuguaglianze sociali e le ingiustizie.

L’economia e la ricchezza delle nazioni, a differenza da quanto aveva sperato Adam Smith, non garantivano la felicità. E nemmeno assicuravano quel perfezionamento morale dell’uomo che i filosofi illuministi avevano teorizzato.

E oggi? Il pensiero di Adam Smith nel Novecento è stato ripreso dalla scuola economica austriaca e poi da quella di Chicago, che ispirò la deregulation neoliberista degli Anni ’80. Ma ogni attribuzione diretta tra le politiche moderne e il filosofo scozzese secondo molti studiosi è indebita.

Più che un economista potrebbe allora dirsi che Smith fu un filosofo morale. Un uomo a cui stava a cuore un problema (ancora oggi) centrale, figlio della modernità: come conciliare economia e sviluppo dell’individuo?

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