Come nascono le allucinazioni? È il cervello che tira a indovinare. Le allucinazioni sarebbero il frutto di un cervello che cerca di interpretare ciò che guardiamo senza avere la necessaria quantità di informazioni, e riempie questo vuoto percettivo basandosi su esperienze pregresse, aspettative e previsioni.
Topi sotto acido
Nel loro studio i neuroscienziati dell’Università dell’Oregon hanno utilizzato dei topi, che sono stati drogati con un potente allucinogeno per osservare quali alterazioni producesse la sostanza nel loro cervello. Gli animali hanno assunto una dose di una droga chiamata Doi (o anche 4-iodo-2,5-dimethoxyphenylisopropylamine), simile per effetti ad allucinogeni come Lsd e psilocibina (il principio attivo dei funghi allucinogeni), e sono poi stati posti di fronte a uno schermo su cui scorrevano delle immagini. Mentre i topi erano alle prese con il loro viaggio psichedelico, presumibilmente sopraffatti da intense allucinazioni visive, i ricercatori hanno quindi monitorato cosa avveniva all’interno del loro cervello.
Nel cervello di un topo
Le analisi hanno mostrato un’alterazione nelle tempistiche con cui i neuroni dei topi si attivavano in risposta agli stimoli visivi ricevuti dalle immagini. E al contempo – particolare interessante – una generale diminuzione dell’attività della corteccia visiva primaria, l’area dove avviene la prima elaborazione delle informazioni trasmesse al cervello dagli occhi. Nel complesso – sottolineano però gli autori dello studio – la quantità di informazioni ricevute dalla corteccia visiva, così come l’organizzazione generale dell’attività in quest’area del cervello, sono risultate invariate rispetto a quelle registrate quando gli animali non erano sotto gli effetti della sostanza.
In qualche modo, i risultati sembrano indicare che le allucinazioni visive emergerebbero quando il cervello presta meno attenzione agli input ricevuti dall’ambiente (come suggerisce la minore attività dei neuroni che se ne dovrebbero occupare), e compensa la risultante mancanza di informazioni aumentando il lavoro di interpretazione più propriamente cognitivo, riempiendo eventuali vuoti percettivi basandosi su esperienze e aspettative pregresse. La percezione che abbiamo del mondo, d’altronde, non è mai un processo neutro: gli input sensoriali vengono sempre interpretati per ottenere un’immagine coerente, ed evidentemente quando le informazioni sono insufficienti il cervello può decidere di fare da sé.
Se il cervello tira a indovinare
“Ci si potrebbe aspettare che le allucinazioni visive siano il risultato di neuroni iperattivi, o di errori nello scambio di segnali neurali. Per questo motivo ci ha sorpreso scoprire che l’utilizzo di sostanze allucinogene produce invece una diminuzione dell’attività nella corteccia visiva”, racconta Cris Niell, neuroscienziato dell’Università dell’Oregon che ha coordinato la ricerca. “Nel contesto dell’elaborazione visiva, però, i nostri risultati hanno molto senso: per comprendere cosa accade nel mondo che ci circonda dobbiamo bilanciare gli input che riceviamo e l’interpretazione che diamo a queste informazioni. E se si dà meno peso a cosa capita intorno a noi, e troppo all’interpretazione dei dati ricevuti, è comprensibile che il risultato possano essere delle allucinazioni”.
Esempi che puntano in questa direzione – ricorda Niell – non mancano di certo: basta pensare ai sogni, così vividi pur in mancanza di qualunque input sensoriale, o alle immagini che iniziano ad apparire nel nostro campo visivo quando ci troviamo per lungo tempo al buio. Ancor più calzanti, forse, sono gli effetti della deprivazione sensoriale: quando un essere umano si trova per un periodo sufficientemente lungo nella totale assenza di input sensoriali, solitamente grazie all’utilizzo di speciali vasche di isolamento che eliminano completamente luci, suoni ed esperienze tattili, il risultato sono infatti potenti allucinazioni, simili per intensità a quelle che sperimenta chi utilizza Lsd o oltre sostanze allucinogene.
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