Vaccini per il coronavirus attualmente in produzione

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A che punto sono gli altri vaccini contro il coronavirus. Si parla soprattutto di quei tre, ma ce ne sono molti altri: diversi promettono bene, alcuni potrebbero rivelarsi inutili. La campagna vaccinale più grande degli ultimi tempi è iniziata da quasi due mesi per provare a rallentare la pandemia da coronavirus, ma le vaccinazioni negli ultimi giorni hanno subìto rallentamenti e i programmi sono stati rivisti, tra le altre cose per i ritardi nelle consegne delle dosi.

La domanda è del resto molto alta e i produttori non riescono ancora a soddisfarla, anche se stanno lavorando per potenziare i loro impianti di produzione. Nei prossimi mesi la situazione dovrebbe migliorare non solo grazie alle maggiori consegne dei vaccini già autorizzati, ma anche grazie all’arrivo di nuovi vaccini ora nelle ultime fasi di sperimentazione o per i quali sono state avviate somministrazioni per particolari fasce della popolazione.

A che punto sono gli altri vaccini contro il coronavirus Pfizer-BioNTech e Moderna

Sono stati i primi due vaccini a ricevere un’autorizzazione di emergenza da parte delle autorità di controllo per i farmaci negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, che di solito fanno da punto di riferimento per le altre organizzazioni simili in giro per il mondo. Sono basati sull’RNA messaggero e nei test clinici hanno fatto rilevare un’efficacia del 95 per cento nel proteggere dalla COVID-19, mentre non è ancora chiaro se riducano il rischio di contagio e in che misura (ci sono comunque indizi incoraggianti). Sono i due vaccini più somministrati contro il coronavirus e per ora ritenuti tra i migliori disponibili: richiedono la somministrazione di due dosi a distanza di 3 settimane nel caso di Pfizer-BioNTech e di 4 nel caso di Moderna.

AstraZeneca

Sviluppato dall’azienda britannico-svedese AstraZeneca in collaborazione con l’Università di Oxford (Regno Unito), questo vaccino ha avuto una storia piuttosto travagliata soprattutto durante la sua sperimentazione, con alcuni errori nella gestione dei dosaggi che hanno portato a dati di difficile interpretazione sulla sua efficacia. A seconda del dosaggio e di altre circostanze è efficace al 62-90 per cento, e richiede la somministrazione di due dosi a distanza di 4 settimane. I ricercatori lo hanno sviluppato partendo da un virus che non crea particolari problemi (adenovirus) nel quale sono state innestate le informazioni genetiche della proteina che si trova sulle punte del coronavirus, in modo che il sistema immunitario impari a contrastarla.

Il vaccino è stato da poco autorizzato nell’Unione Europea, ma è somministrato da inizio gennaio nel Regno Unito (e da qualche settimana in Ungheria). AstraZeneca ha però comunicato che potrà fornire all’Unione meno dosi di quanto promesso nel primo trimestre di quest’anno, a causa di alcuni problemi di produzione. L’annuncio ha portato la scorsa settimana a un duro scontro con la Commissione Europea, e a successivi annunci di AstraZeneca di volere ridurre i disagi, con minori riduzioni delle consegne.

Johnson & Johnson

È uno dei vaccini più attesi perché richiede la somministrazione di una sola dose ed è più pratico da conservare, senza la necessità di potenti congelatori come nel caso delle soluzioni di Pfizer-BioNTech e Moderna.

Nell’ultima fase (su 3) di test clinici ha fatto rilevare un’efficacia media del 66 per cento nel prevenire la COVID-19, con un’efficacia fino all’85 per cento contro le forme più gravi. Il dato sull’efficacia è variato molto a seconda delle aree geografiche dove è stata eseguita la sperimentazione: 72 per cento negli Stati Uniti, 66 per cento nel Sudamerica e 57 per cento in Sudafrica, dove una variante che rende il coronavirus più contagioso ha probabilmente influito sui risultati.

Johnson & Johnson ha comunicato questi risultati alla fine della scorsa settimana e potrebbe ricevere un’autorizzazione di emergenza negli Stati Uniti entro la prima metà di febbraio. Il governo statunitense lo scorso agosto aveva stretto un accordo da 1 miliardo di dollari per 100 milioni di dosi del vaccino. Anche nell’Unione Europea il vaccino è atteso, con la Commissione Europea che nei mesi scorsi aveva contrattato la fornitura di almeno 200 milioni di dosi, con un’opzione per acquistarne altri 200 milioni. Anche se l’efficacia è minore rispetto ai vaccini a mRNA, la soluzione di J&J (basata su un adenovirus come quello di AstraZeneca) potrebbe contribuire sensibilmente a ridurre gli effetti della pandemia, perché più economico e pratico da somministrare.

Novavax

La scorsa settimana la società di biotecnologie statunitense Novavax ha comunicato che il suo vaccino ha un’efficacia dell’89,3 per cento. Il risultato è basato sui dati dei test clinici svolti nel Regno Unito (fase 3 su 3) e in Sudafrica (fase 2 su 3), ma è preliminare e c’è attesa per la diffusione di informazioni scientifiche più complete.

Il vaccino di Novavax utilizza un metodo piuttosto collaudato e già impiegato in altri vaccini: imita il comportamento della proteina sulle punte dell’involucro esterno del coronavirus, che questo impiega per legarsi alle cellule del nostro organismo e iniettarvi all’interno il proprio materiale genetico per replicarsi. Grazie al vaccino il sistema immunitario può imparare a contrastare la proteina senza entrare in contatto con il coronavirus vero e proprio. Nel caso di una seguente infezione, può usare le conoscenze acquisite per impedire al virus di penetrare nelle cellule e fare danni.

Come le soluzioni di altri produttori, anche il vaccino di Novavax richiede due somministrazioni a distanza di tre settimane. L’azienda dice di poter arrivare a produrre 2 miliardi di dosi di vaccino all’anno, grazie a una collaborazione con il Serum Institute dell’India, che ha una grande capacità produttiva. Se il vaccino dovesse essere autorizzato nei prossimi mesi, Novavax dovrebbe essere in grado di consegnare almeno 100 milioni di dosi negli Stati Uniti e decine di milioni di dosi nel Regno Unito, in Canada e in Australia. Per ora non ci sono accordi formali con la Commissione Europea.

Gamaleya

L’Istituto di ricerca Gamaleya, che dipende dal ministero della Salute russo, ha sviluppato nei mesi scorsi il vaccino Sputnik V e alla fine dello scorso anno ha dichiarato una sua efficacia del 91,4 per cento. È basato su due adenovirus ed è stato sperimentato sulla popolazione a partire dalla scorsa estate, ricevendo poi un’autorizzazione al suo utilizzo in Russia ancora prima che fosse terminata l’ultima fase di test clinici. La scelta ha attirato critiche da medici ed esperti, considerato che un’autorizzazione così precoce avrebbe potuto influire sull’esito della sperimentazione ancora in corso.

La somministrazione delle prime dosi è stata comunque molto limitata e dedicata a particolari categorie a rischio. Nell’autunno del 2020 è iniziata una campagna vaccinale di massa in Russia, con qualche esitazione da parte della popolazione a causa della rapidità dell’autorizzazione in assenza di dati definitivi, che devono essere ancora pubblicati su una rivista scientifica. La vaccinazione richiede due somministrazioni, a distanza di tre settimane.

Il governo russo ha nel frattempo avviato contatti all’estero con diversi paesi, usando il vaccino come strumento per migliorare i propri rapporti diplomatici o mantenere una certa influenza. L’utilizzo di emergenza del vaccino è consentito in numerosi paesi come Serbia, Venezuela, Iran, Argentina, Bolivia e Bielorussia.

Vector

Prodotto dall’istituto di ricerca russo Vector, il vaccino ha un’efficacia ancora sconosciuta, ma ha già ricevuto un’autorizzazione di emergenza da parte del governo russo. I test clinici di fase 3 sono iniziati lo scorso autunno, ma non ci sono informazioni chiare sul suo andamento e nemmeno dati preliminari attendibili sull’efficacia.

Sinopharm

Il vaccino di Sinopharm è stato sviluppato in Cina e secondo l’azienda ha un’efficacia del 79,3 per cento, sulla base dei dati della fase 3 di sperimentazione, in larga parte ancora da rendere pubblici. Il governo cinese ne ha autorizzato l’utilizzo di emergenza nel corso della scorsa estate, iniziando una campagna vaccinale che ha coinvolto funzionari statali, personale sociosanitario e altri particolari gruppi di persone.

La vaccinazione richiede due somministrazioni a distanza di 3 settimane e il vaccino è basato su una versione “inattivata” del coronavirus, tale da suscitare una risposta immunitaria, ma non da replicarsi nelle cellule causando un’infezione vera e propria. L’impiego dei vaccini con virus inattivati è diffuso da tempo, ma ci sono dubbi sull’efficacia della soluzione cinese. La Cina ha intanto iniziato a diffondere le dosi in altri paesi, dove il vaccino ha ricevuto le prime autorizzazioni. Tra questi ci sono Emirati Arabi Uniti, Egitto e Ungheria.

Sinovac

L’azienda farmaceutica cinese Sinovac ha sviluppato un vaccino con coronavirus inattivato che si chiama CoronaVac e sul quale ci sono diversi dubbi legati all’efficacia. Sulla base dei test clinici condotti in diversi paesi, sembra che sia efficace al 50,4 per cento, di pochi decimi sopra alla soglia minima del 50 per cento indicata dalle autorità sanitarie in diversi paesi. È uno dei dati più bassi sull’efficacia, tra i vaccini finora autorizzati, ma nonostante ciò CoronaVac inizia a essere impiegato in diversi paesi come Brasile, Cile, Turchia e Indonesia. È autorizzato anche in Cina, dove per ora è stato utilizzato solo in alcune province.

L’azienda confida di arrivare a produrre 600 milioni di dosi all’anno, ma i dubbi sull’efficacia per ora hanno influito sugli ordini da parte di diversi paesi, soprattutto in Occidente. La vaccinazione richiede la somministrazione di due dosi, a un paio di settimane di distanza.

CanSino

L’azienda di biotecnologie cinese CanSino ha sviluppato il Convidecia, attraverso una collaborazione con l’Accademia militare delle scienze mediche in Cina. Il vaccino è basato su un adenovirus e ha dato risultati definiti promettenti nelle prime fasi di sperimentazione tra la primavera e l’estate dello scorso anno. Tra l’estate e l’autunno del 2020, CanSino ha avviato test clinici di fase 3 in diversi paesi, compresi Pakistan e Messico, ma è stato già impiegato saltuariamente in Cina. Per ora non ci sono dati sulla sua efficacia, ma l’azienda è ottimista, soprattutto perché il vaccino richiede la somministrazione di una sola dose, a differenza di buona parte delle altre soluzioni autorizzate o in fase di sviluppo.

Bharat

Il vaccino Covaxin è stato sviluppato dall’azienda di biotecnologie indiana Bharat in collaborazione con alcuni dei principali centri di ricerca dell’India. È basato su una versione inattivata del coronavirus e la fase 3 è stata avviata alla fine di ottobre del 2020. Esiti ed efficacia non sono ancora noti, ma il governo indiano ha comunque autorizzato l’uso di emergenza del vaccino a inizio gennaio, suscitando polemiche e perplessità. Si attendono ora i dati sulla fase 3 per valutare quanto sia effettivamente efficace il vaccino, che richiede due somministrazioni a distanza di 4 settimane.

CureVac

L’azienda tedesca di biotecnologie CureVac ha realizzato un vaccino a mRNA che sembra essere promettente, anche se è entrato solo da poco nella fase 3 di sperimentazione, con oltre 36mila volontari in Germania. Anche se la sua efficacia non è ancora nota, c’è un discreto ottimismo intorno al vaccino considerato i buoni risultati degli altri basati su mRNA. La Commissione Europea ha prenotato 225 milioni di dosi e l’azienda prevede di riuscire a produrne circa 300 milioni quest’anno, nel caso in cui fosse autorizzato.

CureVac sostiene inoltre che il suo vaccino può essere mantenuto in frigorifero e non in potenti congelatori, come richiesto per i vaccini di Pfizer-BioNTech e Moderna. Potrebbe quindi essere un ulteriore vantaggio per la sua gestione. Di recente, l’azienda farmaceutica Bayer ha annunciato che ne sosterrà lo sviluppo e la produzione.

Altri

Diverse altre aziende farmaceutiche e centri di ricerca sono al lavoro per sviluppare o sperimentare vaccini contro il coronavirus. Non è chiaro quanti di questi proseguiranno le loro attività, man mano che diventeranno disponibili nuovi vaccini. Al lavoro ci sono sia realtà più piccole, sia alcune delle più grandi e importanti aziende farmaceutiche.

La multinazionale francese Sanofi, per esempio, sta portando avanti lo sviluppo di due diversi vaccini, ma ha incontrato difficoltà che stanno rallentando le ricerche. L’azienda ha confermato di non volere rinunciare ai progetti, ma non prevede di arrivare a qualcosa di concreto prima della fine dell’anno.

Il 25 gennaio scorso, l’azienda farmaceutica Merck ha annunciato di avere abbandonato due progetti per la realizzazione di vaccini contro il coronavirus, dopo i risultati deludenti dei primi test.

In Italia, intanto, l’azienda di biotecnologie ReiThera ha ricevuto un investimento da 81 milioni di euro da parte di Invitalia, l’agenzia pubblica per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa, per proseguire nello sviluppo di un vaccino basato su adenovirus. Nonostante gli annunci, a oggi la sperimentazione è ancora agli inizi e non è chiaro come l’azienda potrà organizzare in tempi rapidi un test clinico di fase 3, che solitamente coinvolge migliaia di volontari.

Nel complesso, il 2021 sarà l’anno dei vaccini: con il passare dei mesi capiremo quali funzionano meglio e quali, in attesa di approvazione, si dimostreranno più promettenti. Una maggiore disponibilità di tipi di vaccini dovrebbe ridurre i problemi sulle consegne in ritardo, ma la domanda continuerà a essere più alta rispetto alla capacità di produzione di diverse aziende almeno fino all’estate.

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