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Un chip per la simbiosi cyborg del cervello umano

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Un chip per la simbiosi cyborg del cervello umano
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“Un chip nel cervello per una mente super”. Il futuro è dei cyborg. Bryan Johnson è il fondatore di Kernel lavora a impianti cerebrali per integrare l’intelligenza umana e quella artificiale.

Ha un passato da missionario mormone, di cui conserva l’aspetto curato, il tono profetico e il mantra che lo guida: “Migliorare la vita di tutti”. Anche se oggi Bryan Johnson abbraccia un’altra fede: la tecnologia. “L’intelligenza è la nostra più grande e potente risorsa”, ci spiega. “Dalla sua naturale simbiosi con quella artificiale passa il futuro dell’umanità”. Benvenuti nella mente dell’ideatore di una delle startup hi-tech del momento. Si chiama Kernel, è nata lo scorso anno a Los Angeles e punta a sviluppare un piccolo chip da impiantare nel cervello, disegnato per acquisire, interpretare e modificare i segnali elettrici generati durante l’attività cerebrale. E consentire quindi una comunicazione diretta tra noi e il computer.

Un piano da 100 milioni di dollari, tanto per cominciare, emblema di una nuova febbre che sta contagiando i visionari della Silicon Valley: la febbre degli uomini cyborg. Super intelligenti, ricettivi, sani e un domani – forse – immortali. È il sogno degli scrittori di fantascienza e una realtà possibile sia per Elon Musk, il fondatore di Tesla e PayPal che da poco ha annunciato una società dai propositi simili (Neuralink), sia per Johnson.

Johnson, come ha avuto questa idea?
“Ho passato gli ultimi quindici anni della mia vita a chiedermi: “Qual è il contributo più importante che posso dare al futuro dell’umanità?” Ho prima fondato Braintree, una compagnia per i pagamenti che è stata acquisita da PayPal nel 2013 per 800 milioni di dollari, poi ho creato OS Fund: un fondo d’investimento in cui ho personalmente speso 100 milioni di dollari. Ha l’obiettivo di curare le malattie legate all’invecchiamento ed estendere l’aspettativa di una vita sana a oltre 100 anni. Infine, mi sono messo al lavoro sull’intelligenza umana”.

Perché?
“L’intelligenza, in tutte le sue forme, è la risorsa più grande e potente esistente nell’universo conosciuto. È alla base di ogni nostra attività. E lavorare in questo campo è l’equivalente odierno di prepararsi ad andare sulla Luna. Dalla naturale simbiosi tra l’intelligenza umana e quella artificiale passa il futuro dell’umanità”.

Può spiegarci cosa fa Kernel e quali sono i suoi obiettivi?
“Non scendo nei dettagli tecnici, ma stiamo costruendo delle interfacce neurali avanzate e studiando una grande varietà di applicazioni. Il primo passo è aiutare chi soffre di patologie neurologiche come Alzheimer, Parkinson, epilessia e depressione. Mentre nel lungo termine, il nostro focus sarà mettere a punto piattaforme e strumenti che ci aiuteranno a incrementare le nostre capacità cognitive ed esplorare le potenzialità umane”.

Gli ostacoli maggiori?
“Il funzionamento del nostro cervello è ancora, in buona parte, misterioso. Voglio arrivare al punto di poter scrivere e leggere il codice neurale – grazie a cui gli impulsi nervosi vengono interpretati come percezioni, ricordi, significati e intenzioni – nello stesso modo in cui oggi scriviamo e leggiamo il codice informatico”.

Quando tutto questo sarà alla portata di tutti?
“Difficile dirlo, però ipotizzo che le persone senza delle particolari problematiche di salute avranno “diritto” a un aumento delle facoltà cognitive in dieci o quindici anni”.

Fino ad ora i tentativi di far accettare dispositivi hi-tech più intrusivi non hanno sempre funzionato, basti pensare al flop dei Google Glass. Crede che il trend cambierà?
“Sì, gli esseri umani utilizzeranno gli strumenti che meglio risponderanno alle loro esigenze, indipendentemente dall’invadenza”

Da Elon Musk a Bill Gates, in molti hanno paura degli sviluppi incontrollati dell’intelligenza artificiale. Anche lei?
“La situazione si sta evolvendo molto rapidamente e ora non abbiamo idea di quale possa essere lo scenario futuro. Ma tentare di potenziare l’intelligenza umana, integrandola con quella artificiale, mi sembra la migliore risposta da dare alle emergenti opportunità e ai potenziali rischi. Una fusione che consentirà agli esseri umani di lavorare, giocare e amare in modi mai immaginati prima”.

Ma lei si farebbe impiantare un chip nel cervello, se ne avesse bisogno?
“Certo. E lo farei anche se non ne avessi bisogno, semplicemente perché lo voglio”.

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