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Un assistente virtuale in grado di colloquiare con noi

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A un passo da Her: “Adesso l’intelligenza artificiale ascolta come noi”. L’hanno realizzata i ricercatori del Mit, allenandola grazie a centinaia di clip audio della durata di due secondi.ANCORA non parla come noi. Ma come noi ha imparato ad ascoltare. I neuroscienziati del Massachusetts institute of technology hanno sviluppato un’intelligenza artificiale che per la prima volta riesce a replicare le capacità di un essere umano nella comprensione della musica e di un discorso. Un risultato dalla portata storica, quello pubblicato sull’edizione di aprile della rivista Neuron. Perché avvicina la realtà alla fantasia. Al futuro delineato sul grande schermo dal film Her (Lei), in cui parleremo con le macchine come con una persona. Niente più fraintendimenti tra noi e Siri, o qualsiasi altro assistente vocale: ci capiranno al volo.
Tutto grazie a una rete neurale alla cui base c’è il deep learning, ossia quella tecnologia d’apprendimento automatico, sviluppata a partire dagli anni Ottanta, che mima il comportamento dei neuroni umani. I ricercatori del Mit l’hanno allenata per eseguire due compiti: da una parte, capire le parole dette nel mezzo di una conversazione di due secondi, dall’altra riconoscere il genere di una canzone attraverso un audio di durata altrettanto breve. In entrambi i casi, sono stati inseriti dei rumori di sottofondo per rendere l’impresa ancora più difficile e realistica. Proprio come se la macchina in questione si trovasse ad ascoltare ciò che diciamo mentre ci troviamo in un ambiente affollato.

Dopo aver sentito centinaia di registrazioni ad esempio, l’intelligenza artificiale ha acquisito le stesse capacità di un essere umano a svolgere gli esercizi. Anche quando si tratta di commettere degli errori: tende a fare più strafalcioni nelle clip in cui pure una persona in carne ed ossa commette maggiori sbagli. “Gli sviluppi nel campo dell’apprendimento automatico sono un’entusiasmante opportunità per le neuroscienze”, ha commentato Alexander Kell, uno degli autori principali dello studio. “Ora possiamo creare dei sistemi in grado di fare alcune delle cose che noi riusciamo a fare, mettere alla prova il modello e compararlo al nostro cervello”.

Infatti, la ricerca è anche servita a comprendere meglio la struttura della corteccia uditiva umana, suggerendone un’organizzazione gerarchia: differenti aree cerebrali risponderebbero a diversi tipi di informazioni man mano che arrivano. Un meccanismo ben documentato nella corteccia visiva: la corteccia visiva primaria reagisce a stimoli semplici, per esempio i colori o l’orientamento, le altre zone si occupano di compiti più complessi come il riconoscimento degli oggetti. Ma di cui si hanno poche evidenze quando si parla del modo in cui elaboriamo i suoni. In parte, perché fino ad ora non erano stati messi a punto modelli abbastanza buoni da replicare il comportamento umano, sostengono gli scienziati.

Ora il modello c’è: un’intelligenza artificiale con un orecchio umano che apre nuovi scenari nel campo dell’interazione uomo-macchina. Un tema di grande interesse. Perché è nell’allenare al linguaggio naturale i sistemi che si nascondono dietro le quinte dei social, dei nuovi chatbot, al pari degli assistenti vocali smart, che si stanno concentrando gli sforzi dei big dell’hi-tech. Si parla di un mercato di seimila miliardi di valore. Per riuscirci, Google ha dato in pasto al proprio sistema d’apprendimento automatico 2865 romanzi rosa, mentre piccoli e grande aziende tecnologiche hanno iniziato ad assumere scrittori, saggisti e poeti. L’obiettivo è rendere le conversazioni con i device che ci offrono il più colloquiale possibile. Ne sentiremo delle belle.
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