Trovati pianeti abitabili sui quali andare a vivere

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Scoperte due eso-terre potenzialmente abitabili a 16 anni luce da noi. I nuovi pianeti individuati orbitano attorno alla vicina stella GJ 1002, situata a meno di 16 anni luce di distanza dal Sistema solare, in direzione della costellazione della Balena.

Entrambi hanno una massa simile a quella della Terra e orbitano a una distanza dalla loro stella ideale per mantenere l’acqua allo stato liquido, condizione considerata fondamentale per ospitare forme di vita. Un anno su GJ 1002 b, il pianeta più interno, dura solo 10 giorni: tanto, infatti, il pianeta impiega per completare un’orbita attorno alla sua stella. Il secondo corpo celeste del sistema, GJ 1002 c, più distante, percorre interamente la sua orbita in 21 giorni.

«La natura sembra determinata a dimostrare che gli esopianeti simili alla Terra sono molto comuni. Con questi due, ne conosciamo già 7 in sistemi vicini», spiega Alejandro Suárez Mascareño, ricercatore dell’Instituto de Astrofísica de Canarias (Iac), primo autore dell’articolo che riporta la scoperta accettato per la pubblicazione sulla rivista Astronomy & Astrophysics.

«La stella centrale è un astro di bassa luminosità, con solo il 12% della massa del nostro Sole. È una sorella gemella di Proxima Centauri, la stella a noi più vicina, e per questo la regione di abitabilità del sistema è situata nelle sue immediate vicinanze», spiega Alessandro Sozzetti, coautore dell’articolo e primo ricercatore presso l’Inaf di Torino.

Rappresentazione artistica del sistema esoplanetario attorno alla stella GJ 1002. Crediti: Alejandro Suárez Mascareño e Inés Bonet Márquez  
Rappresentazione artistica del sistema esoplanetario attorno alla stella GJ 1002. Crediti: Alejandro Suárez Mascareño e Inés Bonet Márquez

La vicinanza della stella al nostro sistema solare rende entrambi i pianeti, GJ 1002 c in particolare, ottimi candidati per la caratterizzazione atmosferica attraverso lo studio della loro luce riflessa o dell’emissione termica. «Ci aspettiamo di poter investigare la presenza di un’atmosfera attorno a GJ 1002 c, alla ricerca di ossigeno in particolare, utilizzando lo spettrografo Andes, strumento la cui progettazione è a guida italiana, in cui Inaf e fortemente coinvolto e che opererà in futuro sull’Extremely Large Telescope dell’Eso, il più grande telescopio al mondo con il suo specchio principale di ben 39 metri di diametro, in costruzione nel deserto cileno», spiega Sozzetti. Inoltre, entrambi i pianeti hanno le caratteristiche giuste per diventare obiettivi primari di futuri ambiziosi progetti di missioni spaziali in grado di ottenerne immagini dirette, quali LuvEx, recentemente raccomandato a Nasa da un comitato di esperti americani, o Life, al momento oggetto di studio in Europa nel contesto del programma di lungo termine Voyage 2050 dell’Esa.

Questa scoperta è stata possibile solo grazie alle osservazioni combinate degli strumenti Espresso e Carmenes. GJ 1002 è stata osservata da Carmenes (Calar Alto high-Resolution search for M dwarfs with Exoearths with Near-infrared and optical Échelle Spectrographs), lo spettroscopio installato al telescopio da 3,5 metri di diametro dell’Osservatorio Calar Alto, in Spagna, tra il 2017 e il 2019. Successivamente, tra il 2019 e il 2021, la stella è stata osservata anche con lo spettrografo Espresso (Echelle SPectrograph for Rocky Exoplanet and Stable Spectroscopic Observations installato al Very Large Telescope dell’Eso, sulle Ande cilene.

La combinazione di Espresso e della grande superficie di raccolta della luce messa a disposizione dagli specchi principali del Vlt, ciascuno del diametro di 8 metri, ha permesso di ottenere misure di velocità radiali con una precisione di 30 centimetri al secondo, un risultato fuori dalla portata di quasi ogni altro strumento al mondo. «L’individuazione dei segnali dovuti ai due pianeti nei dati di Carmenes ed Espresso separatamente era tutt’altro che chiara. La loro effettiva combinazione è stata la chiave di volta che ci ha permesso di stabilirne la presenza senza ombra di dubbio. Possiamo ben affermare che in questo caso, grazie all’efficace collaborazione tra gruppi diversi, l’unione fa la forza!», conclude Alessandro Sozzetti.

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