Cellule staminali in cerca di identità. Le ricerche condotte negli ultimi anni hanno chiarito che le cellule dell’organismo hanno capacità rigenerative molto più importanti e diversificate rispetto alle attese, mettendo in discussione l’idea che la staminalità sia appannaggio solo di una limitata e ben definita popolazione cellulare
Negli ultimi tre anni, i ricercatori dell’Istituto Hubrecht, nei Paesi Bassi, hanno catalogato e mappato scrupolosamente tutte le cellule proliferanti trovate nel cuore di topi, alla ricerca di cellule staminali cardiache. Le sfuggenti cellule dovrebbero teoricamente essere in grado di riparare il muscolo cardiaco danneggiato, quindi la posta in gioco nel trovarle è alta. In effetti, questa ricerca, che ha coinvolto molti laboratori nel corso di decenni, è stata segnata da un acceso dibattito e, di recente, da una richiesta di ritrattazione di oltre 30 articoli per dati falsificati. Tuttavia, i “Proceedings of the National Academy of Sciences” hanno annunciato i risultati del lavoro del gruppo dell’Istituto Hubrecht: nessuna prova di cellule staminali cardiache.
Questa conclusione, che conferma un vecchio sospetto tra esperti del settore, pone di fronte a una questione più profonda: che cosa significa essere una cellula staminale. Poiché una tecnologia più sofisticata ha rivelato quanto le popolazioni di cellule possano essere plastiche ed eterogenee, alcuni ricercatori sono passati dal vedere la “staminalità” come un tratto che definisce una categoria di cellule a vederla come una funzione a cui molti tipi di cellule possono assolvere o contribuire.
Le cellule staminali sono state identificate e caratterizzate per la prima volta nel midollo osseo negli anni cinquanta e sessanta, nel tentativo di comprendere e trattare le conseguenze dell’esposizione alle radiazioni dopo la seconda guerra mondiale. Queste staminali del sangue erano rare, lente nel dividersi e capaci sia di auto-rinnovarsi sia di differenziarsi in uno qualsiasi dei tipi cellulari più specializzati del sangue. Esse mantenevano le riserve corporee di cellule del sangue e aiutavano il corpo a reagire ai danni.
Quando venivano irradiate, morivano e l’organismo non riusciva sostituirle, anche se i trapianti di midollo osseo (che contenevano cellule staminali) permettevano al sistema di rigenerarsi.
Per la loro rilevanza nella guarigione e nella ripresa, le cellule staminali di altri tessuti sono diventate premi ambiti tra studiosi e medici che sono alla ricerca di metodi per trattare ogni sorta di disturbo e di malattia.
Poi la storia si è fatta più complicata. Le staminali sono state individuate in altri tessuti adulti in tutto il corpo: nella pelle, nei follicoli piliferi, nell’intestino e, alcuni mesi fa, nelle ossa. Anche queste potevano auto-rinnovarsi e dare origine alle varie linee cellulari dei loro tessuti. Ma per altri aspetti, apparivano molto differenti dalle cellule staminali del sangue. Esprimevano geni diversi, esibivano proteine e marcatori di superficie diversi e si dividevano con modalità diverse e a tassi diversi.
Negli anni novanta, gli scienziati hanno isolato le cellule staminali embrionali, che sono persino più potenti di quelle dei tessuti adulti, perché hanno la capacità di diventare qualsiasi tipo di cellula nel corpo. Più o meno nello stesso periodo, gli scienziati hanno iniziato a esaminare il ruolo che le staminali tumorali potrebbero svolgere nella crescita dei tumori. E nel 2006, alcuni ricercatori sono riusciti a trasformare cellule differenziate del tessuto connettivo in cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC), che avevano la versatilità delle cellule staminali embrionali. Quel risultato mostrava che la staminalità avrebbe potuto essere indotta.
Tuttavia, secondo il genetista molecolare Hans Clevers, coautore del nuovo articolo sulle cellule staminali cardiache, a incombere su queste scoperte c’è la supposizione che le cellule staminali in tutto il corpo siano “un’entità innata, preziosa, magica” come quelle nel midollo osseo. Infatti, ha sottolineato, quelle prime informazioni ottenute dalle staminali del sangue hanno plasmato il modo in cui gli scienziati pensano alle cellule staminali in altri tessuti, a volte in modi che sono stati profondamente limitanti.
Molti percorsi per la riparazione dei tessuti
Un punto spesso sottovalutato è che “tanti tessuti possono ripararsi in modi molto ingegnosi”, ha detto Clevers. “Non esiste una strategia definita”. Nel sangue, la piccola popolazione di cellule staminali è l’unico mezzo di rigenerazione, ma nei tessuti solidi, non sempre è così. Le stesse cellule staminali sono diverse: tendono a dividersi più rapidamente, per esempio, e poiché presentano profili molecolari unici, devono essere identificate con metodi specifici. Il dover affidarsi a marcatori specifici dei tessuti (che non sono sempre rigorosi) è una delle ragioni per cui c’è stato un dibattito ampio sul fatto che esistano o meno cellule staminali cardiache e per cui rimane così difficile individuare altri tipi di staminali.
Inoltre, quando le cellule staminali nei tessuti solidi sono distrutte, le cellule più specializzate in quei tessuti possono spesso tornare a uno stato simile alla staminalità per assumere le funzioni di riparazione autonomamente. Le cellule sono quindi molto più plastiche di quanto si pensava possibile in precedenza, con identità meno fisse. “Sempre più prove affermano che i nostri corpi possono rispondere al danno indipendentemente da ciò che considereremmo una classica popolazione di cellule staminali”, ha affermato Jonathan Hoggatt, ematologo e ricercatore in cellule staminali alla Harvard Medical School e al Massachusetts General Hospital.
Questo è stato dimostrato in diversi organi, tra cui reni, polmoni, stomaco e intestino. Forse il dato più sorprendente è che alcuni tessuti (oltre il cuore) non sembrano avere una popolazione di staminali. Il fegato adulto – il paradigma della rigenerazione efficiente degli organi – non ha cellule staminali; le sue cellule differenziate possono agire come cellule staminali quando necessario. “In sostanza – ha detto Clevers – ogni cellula del fegato ha il potenziale per comportarsi come una cellula staminale”.
E così “è più utile scoprire come un particolare tessuto svolge la sua funzione staminale piuttosto che identificare singole cellule staminali”, ha affermato. Il modo in cui le varie cellule contribuiscono al mantenimento di un tessuto costituisce la staminalità, non qualche tipo o entità cellulare. Attenersi alla definizione più dogmatica di che cosa dovrebbe essere una “vera” cellula staminale, invece di considerare che esse ricadono entro uno spettro più nebuloso, ha ostacolato i progressi.
In realtà, i ricercatori hanno scoperto che anche le “vere” cellule staminali variano in potenza e comportamento. “Stiamo imparando che c’è molta più eterogeneità in quelle che pensavamo fossero popolazioni piuttosto omogenee”, ha detto Hoggatt.
Cellule staminali dubbie, trattamenti fasulli
Poiché è sempre più difficile distinguere le cellule staminali da altre che hanno già iniziato a impegnarsi in un destino differenziato, potrebbe essere necessario rivedere la ricerca più datata. Pamela Robey, biologa dei National Institutes of Health che si occupa dell’apparato scheletrico, pensa che le cellule staminali scheletriche recentemente identificate possano in realtà essere cellule progenitrici: la recente, leggermente più differenziata progenie di cellule staminali. Le effettive staminali scheletriche, sostiene, sono ancora più rare e devono ancora essere identificate. “È molto facile ingannarsi nel pensare di avere una vera cellula staminale – ha detto Robey – quando potrebbe non essere così”.
Tutto questo a volte porta a controversie, in particolare quando si parla di cellule staminali mesenchimali, una categoria diversificata e multipotente estratta dal midollo osseo, che non produce globuli rossi. Attualmente, la maggior parte dei ricercatori non le considera affatto staminali (e molti hanno smesso di chiamarle così), ma la storica confusione su quello che sono e quello che fanno le ha rese “mature per lo sfruttamento”, ha detto Robey. Le cliniche di cellule staminali non approvate hanno approfittato del loro status controverso per trattare migliaia di persone con terapie inefficaci, non comprovate e potenzialmente pericolose. In realtà, solo una manciata di trattamenti con cellule staminali, che usano staminali certificate, è permessa dalla Food and Drug Administration, e tutte implicano una qualche versione del trapianto di midollo osseo o di cellule del sangue.
Ma per gli scienziati che osservano le normative vigenti, una definizione più ampia per le cellule staminali potrebbe essere una buona notizia per la medicina: significherebbe che i trattamenti rigenerativi non devono usare solo le popolazioni di staminali, che in alcuni casi potrebbero non esistere. Invece, potrebbero usare cellule più differenziate che soddisfano criteri di staminalità. Alcuni ricercatori hanno deciso di non considerare del tutto la staminalità come un fattore determinante quando si presentano nuovi farmaci che coinvolgono cellule viventi. “Rende la vita più facile”, ha detto Clevers.
“Dobbiamo essere più aperti, ha proseguito, accettando il fatto che, in linea di principio, qualsiasi cellula può essere una cellula staminale”.
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato il 4 dicembre 2018 da QuantaMagazine.org, una pubblicazione editoriale indipendente online promossa dalla Fondazione Simons per migliorare la comprensione pubblica della scienza. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)
Lascia un commento