Il Bambino Gesù di Roma coordina una sperimentazione internazionale. I piccoli pazienti soffrivano di deficit immunitari. Ma il metodo è stato applicato anche a leucemia e talassemia. Il medico, Franco Locatelli: “Il trapianto di midollo da genitore ora può essere esteso a molte più malattie”.
Il concetto è quello della bomba telecomandata. Inserendo un “gene suicida” nelle cellule dei linfociti del donatore, il trapianto di midollo diventa meno rischioso. La reazione immunitaria – quando avviene – può essere infatti disinnescata azionando il “detonatore”. E il trapianto può essere usato più spesso, nei bambini, anche quando il donatore non è perfettamente compatibile e il campione di midollo viene prelevato da mamma o papà.
All’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma hanno usato per la prima volta la tecnica del gene suicida sui bambini con gravi malattie immunologiche, curandone venti. “Soffrivano di deficit del sistema immunitario. Tutti oggi sono guariti” spiega Franco Locatelli, direttore del dipartimento di oncoematologia pediatrica e coordinatore di una sperimentazione che coinvolge vari centri in Europa e America del Nord. I risultati saranno presentati al prestigioso congresso dell’American Society of Haematology che sarà inaugurato a San Diego il 2 dicembre.
“Negli anni passati il trapianto del midollo di un genitore era molto rischioso. Circa un terzo dei pazienti non sopravviveva” spiega Locatelli. Perfino i fratelli di un bimbo malato hanno solo il 25% della possibilità di essere perfettamente compatibili, e quindi di poter donare le loro cellule staminali. “Altrimenti – prosegue il medico e ricercatore – bisogna sperare di trovare un midollo adatto nei registri internazionali dei donatori, che contengono circa 28 milioni di nomi. Ma non è facile, la ricerca ha successo solo per il 60% dei pazienti e i tempi sono a volte troppo lunghi per malattie che richiedono un trapianto urgente”.
Franco Locatelli e la sua équipe
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