Esperimenti nucleari, il direttore dell’Infn: «Seguiremo tutte le norme di sicurezza». Laboratori del Gran Sasso, lo scienziato Stefano Ragazzi esclude che possano esserci problemi di contaminazione dell’ambiente: «Per ora solo simulazioni di trasporto».
«E’ tanto, tantissimo». Il direttore dei Laboratori del Gran Sasso Stefano Ragazzi non nasconde l’entità della quantità di sorgente radioattiva che dovrebbe entrare nei laboratori del Gran Sasso se tutto l’iter di «una serie di operazioni esecutive» dovesse andare bene. Quei 100/150 mila curie sono quello che sono. Tutto schermato, spiega Ragazzi dal suo studio di Assergi, da quella “pillola” di «50 centimetri di diametro» mai prodotta prima, e che ha pareti di quasi 20 centimetri di spessore per schermare le radiazioni gamma.
D’altra parte la sua è una posizione complicata che sta a metà tra uomo di scienza che deve portare avanti progetti di ricerca enormi e fondamentali e responsabile di uno dei luoghi della scienza più prestigiosi al mondo, un ruolo pubblico che gli impone, d’altro canto, di tutelare la salute dei suoi uomini e dell’ambiente circostante. Ragazzi preferisce soffermarsi il meno possibile su ipotesi che restano ancora nell’alveo del «futuribile». «Per dire di più dovrei entrare in ipotesi prese per vere». Invece qui siamo nella fase primordiale: il carico “in bianco”, senza alcun materiale radioattivo al suo interno, arrivato secondo programma ieri dalla Francia dà l’avvio a una simulazione che «è soltanto la primissima di una serie di verifiche, procedure, autorizzazioni, per cui se esistono condizioni di sicurezza adeguate, si fa, altrimenti no. E per condizioni di sicurezza intendo dire rischio zero», precisa Ragazzi. Insomma, «è anche possibile che quella pastiglia qui dentro non ci arriverà mai», aggiunge. «E se anche arrivasse, starebbe all’interno di un contenitore cilindrico di tungsteno a sua volta contenuto in una capsula di acciaio. Sì, ma stiamo pur sempre parlando di una quantità enorme di materiale radioattivo, che preoccupa e non poco. E il pensiero va a Fukushima. «Il problema di Fukushima», spiega ragazzi, «è la dispersione nell’ambiente, avvenuta perché lì c’era un impianto attivo che qui non esiste. E la captazione dell’acqua? «Il sistema idrico è escluso», sostiene il direttore dei laboratori, «e quindi non è contemplato il protocollo per la sicurezza del sistema idrico del Gran Sasso», da poco sottoscritto dai vari soggetti che con esso hanno a che fare. «Quando parliamo di movimentazione di materiale radioattivo», specifica, «vuol dire che si attivano protocolli che escludono le contaminazioni ambientali». È una norma di legge che coinvolge i ministeri dell’Ambiente, della Salute, dell’Interno, del Lavoro e dello Sviluppo economico. Il rigore, in questo caso, non è in mano agli scienziati, bensì a procedure tecnico-normative consolidate nel mondo e in Italia».
C’è da stare tranquilli? «Nel momento in cui questo cilindro», ipotizza Ragazzi, «venisse collocato nella sua posizione finale, non ci sarebbe alcuna zona del laboratorio in cui le persone verrebbero tecnicamente esposte a radiazione. E nemmeno l’acqua, che è fuori dai laboratori». In poche parole, è proprio il percorso dal punto di partenza, in Francia, fino al Gran Sasso, è essere il più complicato, così come tutte le operazioni successive d’introduzione nel cuore del Gran Sasso. Ecco a cosa servono i test in corso di «simulazione della meccanica del processo con delle condizioni al contorno intenzionalmente gravose e difficili», come le ha definite Ragazzi. Non finisce qui: «Tutte le prove saranno verificate dagli esperti dell’Ispra, come da autorizzazione ministeriale». In base alla legge che vieta di stoccare sostanze radioattive nelle vicinanze dei punti di captazione degli acquedotti, questo materiale al Gran Sasso non ci dovrebbe mai arrivare. «Faremo tutte le verifiche del caso», assicura lo scienziato, «la mia prima preoccupazione è non violare la legge».
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