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Salvare dighe, ponti e tesori d’arte con il controllo satellitare

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Dal satellite l’allarme per evitare il crollo di dighe e tesori dell’arte. E’ una tecnologia duttile che nasce dall’incrocio tra immagini da satellite e nuovi algoritmi. In tre siti spagnoli e in Gran Bretagna applicata su dighe e ponti. A Villa Adriana e in altre 4 località italiane sul patrimonio culturale. A Latina sulla rete idrica (sono state scoperte 54 perdite).

E’ un occhio lontano ma non gli sfugge nulla: è capace di misurare spostamenti di pochi centimetri a quasi 800 chilometri di distanza. Grazie alle immagini che vengono dai satelliti Sentinel del progetto europeo Copernicus per il monitoraggio ambientale – interpretate da nuovi algoritmi e confermate da un sensore che costa quanto un cellulare (attorno ai 200 euro) – si potrà evitare il rischio di vedere franare un affresco a Pompei o un pezzo delle mura aureliane a Roma.

Non è solo un annuncio. Grazie a questo sistema di rilevamento, a Villa Adriana, la straordinaria residenza imperiale che è stata una delle tappe d’obbligo del Gran Tour, si è scoperto che dopo il terremoto di Amatrice si era verificato lo spostamento di alcuni centimetri di un muro centrale dell’area archeologica. Ora sono in corso accertamenti per capire se il fenomeno si è concluso o se sono necessari interventi per prevenire danni.

Assieme a Villa Adriana altri quattro siti di importanza artistica o archeologica (Matera; Baia, in provincia di Napoli; Civita di Bagnoregio, in provincia di Viterbo; Gianola, in provincia di Latina) vengono monitorati all’interno del progetto ArTeK (Satellite enabled Services for Preservation and Valorisation of Cultural Heritage) promosso dall’Agenzia spaziale europea. Il progetto durerà due anni e permetterà di misurare l’efficacia del sistema.

L’obiettivo è non solo difendere il patrimonio culturale, ma valorizzarlo attraverso il il monitoraggio del comportamento dei visitatori. Ed estendere l’uso di questa tecnologia ad altri settori. Ad esempio quello idrico. Tra il settembre e il dicembre 2016, Acqualatina ha utilizzato i dati che vengono dallo spazio per identificare gli sprechi nella rete di distribuzione dell’acqua. In 20 giorni sono stati controllati 120 chilometri di rete e scoperte 54 perdite.

“Lo spazio è un’opportunità che non può essere persa dal nostro Paese, che è tra i primi tre in Europa per contributo alla ricerca e alla tecnologia satellitare”, spiega Flavio Lucibello, presidente del Consorzio di ricerca Hypatia e del Ket Lab, una struttura nata dall’incontro tra l’Agenzia spaziale italiana e alcune imprese del settore. “Ma le aziende conoscono ancora poco queste opportunità. E in Italia possiamo essere tra i primi a coglierne i vantaggi anche in termini di occupazione”.

E’ la new space economy che si traduce in nuove opportunità. Ad esempio il monitoraggio delle foreste per misurare lo stato di salute degli alberi e cogliere i primi segnali di una difficoltà legata alle piogge acide o a un attacco di parassiti. “Alla base di questi sistemi c’è la possibilità di leggere le serie di informazioni che negli anni arrivano dai satelliti e di metterle insieme. Così si può ricostruire una sorta di filmato accelerato che sintetizza in pochi minuti un periodo molto lungo: grazie a un ricevitore mono frequenza con trasmettitore sul campo, il rischio può venire segnalato con una precisione anche millimetrica”, spiega Mario Musmeci, ambassador del programma Artes Iap dell’Ente spaziale europeo.

Un’opportunità che si è già cominciato a sperimentare in Inghilterra per tenere sotto controllo dighe, ponti e viadotti. Damming project è il progetto che realizza un prototipo di servizio di monitoraggio delle dighe basato su una doppia tecnologia satellitare (satellite e radar interferometrico). In tre siti spagnoli (diga di Benagéber e di Albarellos e bacino idrico di Arenos) verranno installati i “corn reflectors” che facilitano l’interpretazione dei dati satellitari.

E’ un capitale di tecnologie e dati facilmente applicabile in ambiti che vanno dalla sicurezza alla difesa ambientale, dalla valorizzazione dei beni culturali all’agricoltura di precisione. L’Italia ancora non lo sfrutta pienamente perché la finanza privata partecipa in misura troppo limitata a questo processo: mentre tra il 2012 e il 2014 in Germania sono stati investiti 2 miliardi dal circuito del venture capital, in Gran Bretagna 1,8 miliardi, in Francia 1,7, l’Italia è rimasta ferma a quota 259 milioni di euro. Ma nel 2015 si è registrato un cambio di tendenza: gli investimenti sono cresciuti di altri 500 milioni. Ora le opportunità che si intravedono potrebbero aprire una nuova prospettiva.

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