VERSO la Luna e oltre, con l’obbiettivo dichiarato di arrivare su Marte entro i prossimi decenni. E poi chissà. È il piano della Nasa, un progetto ambizioso che dovrà superare moltissime avversità prima di vedere realmente la luce: limiti di budget, tecnologie da rifinire o inventare di sana pianta, problemi teorici e pratici da superare. Non ultimo, quello dei rifornimenti: in un viaggio che potrebbe durare mesi, se non anni, servirebbero probabilmente più alimenti, utensili e pezzi di ricambio di quanti gli astronauti possono portare con sé da terra. Come fare? Alcuni scienziati pensano che la soluzione sia il riciclaggio, e in una forma abbastanza estrema: sfruttare ogni molecola, ogni essudazione dell’equipaggio per produrre sostanze e strumenti necessari. E se può sembrare fantascienza, in realtà i primi risultati stanno già iniziando ad arrivare.
“Se manderemo degli astronauti in missioni della durata di anni sarà essenziale individuare un sistema che permetta di riutilizzare e riciclare ogni cosa che portano con sé”. È l’opinione di Mark Blenner, biologo della Clemson University che con il suo gruppo di ricerca lavora da tempo per trasformare questa intuizione in realtà. E che ha appena presentato i primi risultati di questo lavoro nel corso del recente congresso annuale della American Chemical Society.
Per farlo, è necessario trasformare i prodotti di scarto presenti su un’astronave in sostanze necessarie per la crescita dei lieviti: azoto e carbonio. Per quanto riguarda il primo elemento, i ricercatori hanno scoperto che i lieviti possono sopravvivere estraendo l’azoto direttamente dall’urina umana (ricca di questo elemento sotto forma di urea). Mentre per il carbonio è possibile utilizzare un altro prodotto di scarto del nostro metabolismo: l’anidride carbonica creata durante la respirazione. I lieviti non riescono ad utilizzarla direttamente, ma i ricercatori hanno individuato la soluzione perfetta: cianobatteri e alghe, organismi fotosintetici che degradano l’anidride carbonica e producono carbonio assorbibile dai lieviti.
In questo modo è possibile mantenerli in vita, e utilizzarli per la produzione di sostanze necessarie agli astronauti. Uno dei ceppi studiati da Blenner è in grado ad esempio di produrre Omega 3, acidi grassi essenziali che non possono essere conservati per più di un paio di anni, e che andranno quindi prodotti durante il viaggio in caso di missioni spaziali particolarmente lunghe.
Un altro ceppo produce invece polimeri, macromolecole che compongono i materiali sintetici come il nylon. In particolare il lievito ingegnerizzato da Blenner è in grado di produrre poliestere, che teoricamente in futuro potrebbe essere caricato all’interno di una stampante 3D, e utilizzato per produrre una vasta gamma di strumenti, utensili e pezzi di ricambio.
Attualmente l’efficienza del processo è ben lontana da quella necessaria – per produrre una chiave inglese in poliestere attualmente serve una colonia di lieviti che riempirebbe una vasca da circa mille litri – e per pensare ad un utilizzo reale di queste tecnologie bisognerà aumentare notevolmente le tipologie di materiali che possono essere prodotti. Ma Blenner è convinto di essere sulla strada giusta: non sarà oggi, e magari neanche domani, ma in futuro colture di lieviti produrranno vitamine, acidi grassi, materie plastiche e tutto il necessario per mantenere in vita i nostri astronauti durante l’esplorazione del Sistema Solare. Chiedendo in cambio solo un po’ di urina, anidride carbonica, o qualche altra sostanza di scarto cui facciamo volentieri a meno. Sarà davvero possibile? Che dire, staremo a vedere.
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