Virgo e LIGO di nuovo a caccia di onde gravitazionali. Virgo e LIGO, gli interferometri laser che hanno effettuato le prime rilevazioni dirette di onde gravitazionali, riprendono oggi le loro osservazioni, che stavolta dureranno per un intero anno. Grazie all’aggiornamento e al potenziamento degli strumenti, rileveranno centinaia e centinaia di eventi: ecco quali scoperte possiamo aspettarci nei prossimi mesi dal giovanissimo settore dell’astronomia multimessaggera.Un secolo fa, l’astronomo britannico Sir Arthur Stanley Eddington stava avviando i preparativi per affrontare il viaggio verso l’isola di Príncipe, poco lontano dalla costa occidentale dell’Africa, per assistere all’eclissi totale di Sole che si sarebbe verificata alcune settimane dopo, il 29 maggio 1919.
L’occasione era propizia per mettere finalmente alla prova la teoria generale della relatività formulata da Albert Einstein alcuni anni prima, ma rimasta fino a quel momento senza verifiche sperimentali a causa della prima guerra mondiale. L’idea di Eddington era misurare la deflessione della luce proveniente dalle stelle di sfondo – nella circostanza, quelle del vicino ammasso stellare delle Iadi, nella costellazione del Toro – causata, secondo la teoria di Einstein, dal passaggio ravvicinato con la massa del Sole, frapposta in quel caso fra l’ammasso e l’osservatore sulla Terra. I risultati delle osservazioni, per quanto svolte in condizioni meteorologiche non ottimali, dimostrarono per la prima volta a livello sperimentale la bontà delle previsioni offerte dalla teoria della relatività.
Mezzo secolo dopo, era il 1969, il fisico statunitense Joseph Weber annunciò di aver finalmente rivelato le onde gravitazionali, le increspature nel tessuto spazio-temporale che, sempre secondo la teoria generale della relatività, vengono generate in determinate circostanze dall’interazione fra corpi compatti e massicci, come la fusione fra due buchi neri. L’annuncio di Weber fu il frutto di un lavoro decennale – la prima volta che presentò la sua idea di rivelatore di onde gravitazionali (un’antenna a massa risonante ora chiamata “barra di Weber” in suo onore) fu a un congresso nel 1959 – ma non passò molto tempo perché i suoi risultati fossero criticati e abbandonati, anche perché esperimenti successivi non furono in grado di riprodurre i suoi risultati.
Una scoperta aspettata cent’anni
Nonostante il “falso allarme”, Weber è considerato il fondatore della ricerca sperimentale delle onde gravitazionali. Tuttavia, la loro rivelazione diretta – dopo quella indiretta dei fisici Russell Hulse e Joseph Taylor sul sistema binario PSR 1913+16, scoperto nel 1974 e composto da due stelle di neutroni, di cui una è anche una pulsar, che valse loro il premio Nobel nel 1993 – è arrivata solo nel 2015, a un secolo esatto dalla formulazione della teoria che le ha previste.
Per compiere quella scoperta epocale sono stati necessari strumenti molto più complessi e sofisticati delle barre di Weber: gli interferometri laser. Come lo statunitense LIGO (acronimo di Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory), le cui due antenne hanno appunto rivelato il primo passaggio di un’onda gravitazionale, quella denominata GW150914, e l’europeo Virgo, la cui antenna, messa successivamente in funzione in concomitanza con quelle di LIGO, ha permesso di inaugurare un nuovo modo di fare astrofisica: la cosiddetta astronomia multimessaggera, che consiste nell’osservazione di una sorgente celeste non più solo attraverso la radiazione elettromagnetica, ma anche attraverso la radiazione gravitazionale. I due canali combinati offrono infatti informazioni complementari e indipendenti sulla natura della sorgente e sui relativi fenomeni fisici operanti in quel contesto.
Il primo evento osservato in modalità multimessaggera è stata la fusione di due stelle di neutroni, che ha dato origine all’onda gravitazionale GW170817, il cui passaggio è stato rilevato dalle tre antenne interferometriche e di cui è stata osservata la controparte elettromagnetica sia sotto forma di lampo di raggi gamma GRB 170817A grazie ai satelliti per raggi gamma Integral (ESA) e Fermi (NASA), sia sotto forma di transiente astronomico AT 2017gfo in varie altre lunghezze d’onda (visibile, radio, X) da numerosi telescopi a terra.
Proprio grazie all’osservazione della controparte ottica si è potuto scoprire che l’evento si è verificato all’interno della galassia lenticolare NGC 4993, distante circa 140 milioni di anni luce da noi, in direzione della costellazione dell’Idra.
Raddoppiare la distanza
Inattive dalla fine di agosto 2017, le due antenne di LIGO, situate rispettivamente nello Stato di Washington e in Louisiana, e quella di Virgo, ospitata dall’Osservatorio Gravitazionale Europeo (EGO) vicino a Pisa, a cui collabora l’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN), tornano a lavorare proprio oggi, 1 aprile 2019, nel terzo periodo di presa dati, chiamato O3.
Nel frattempo i rivelatori sono stati aggiornati nelle loro diverse componenti (sorgenti laser più potenti, specchi ad alte prestazioni, riduzione del rumore quantistico) e testati, in particolare con l’obiettivo di aumentare complessivamente l’affidabilità e la sensibilità degli strumenti alle diverse frequenze di lavoro.
Il risultato, sia per LIGO sia per Virgo, è che la sensibilità – tipicamente espressa, nel caso di un interferometro per onde gravitazionali, in termini di distanza a cui può arrivare a osservare la fusione di un sistema binario di stelle di neutroni – è praticamente migliorata di un fattore 2. Questo significa che se Virgo, durante il precedente periodo di presa dati, era in grado di arrivare a rivelare eventi del genere fino a una distanza di circa 90 milioni di anni luce, adesso può arrivare a una distanza doppia, aumentando di un fattore otto il volume dell’universo osservabile dallo strumento.
Oltre alla possibilità di incrementare significativamente il numero di eventi osservabili, l’aumentata sensibilità permetterà anche di localizzare con maggiore precisione la posizione delle sorgenti delle onde gravitazionali, grazie alla triangolazione dei dati resa possibile dal fatto che i tre interferometri lavoreranno congiuntamente come un osservatorio globale e saranno tutti contemporaneamente operativi e in presa continua di dati per un intero anno, 24 ore al giorno, sette giorni su sette.
Ma se con i precedenti due periodi relativamente brevi di osservazione LIGO e Virgo hanno osservato dieci fusioni fra buchi neri e un evento di fusione fra stelle di neutroni, che cosa sperano di osservare fisici, astronomi e cosmologi durante questo nuovo periodo osservativo?
Centiniaia di eventi
«In questa nuova campagna di presa dati ci aspettiamo di registrare diverse fusioni di stelle di neutroni e molte fusioni, fino a una a settimana, di buchi neri», spiega a “Le Scienze” Viviana Fafone, titolare della cattedra di onde gravitazionali presso l’Università di Roma Tor Vergata e responsabile nazionale INFN della Collaborazione Virgo. «Oltre a questi eventi, ci auguriamo di osservarne altri inediti, come la fusione di una stella di neutroni e un buco nero. Sarebbe poi entusiasmante poter registrare per la prima volta l’emissione di onde gravitazionali prodotte da un’esplosione di supernova o quelle emesse dalle pulsar, le stelle di neutroni in rapida rotazione».
Finora il numero di eventi osservati – alto, se messo in rapporto con il tempo piuttosto limitato di presa dati degli interferometri – è in buon accordo con le attuali teorie sulla formazione e l’evoluzione stellare. Considerato l’aumento di sensibilità degli interferometri nei prossimi anni e il conseguente numero di nuovi segnali attesi, si prevede, sulla base dei tassi dedotti dalle precedenti sessioni di presa dati, che saranno registrate centinaia di fusioni di buchi neri e decine di fusioni di stelle di neutroni.
Questo perché, sebbene le seconde siano sicuramente più frequenti nell’universo, la maggior massa dei buchi neri fa sì che il segnale emesso durante la loro fusione sia più forte e quindi più facile da rivelare, rendendo le osservazioni delle prime più numerose. Pertanto, l’inventario di queste sorgenti diverrà via via più ricco e consentirà di sondare con sempre maggiore accuratezza i modelli di popolazione stellare.
«Il numero di eventi di fusione fra buchi neri è compatibile con i modelli di formazione stellare, ma l’alta massa di alcuni di essi (circa 30 masse solari) richiede che si formino in ambienti di bassa metallicità », prosegue Fafone. [In astrofisica, la metallicità di una stella o di una nebulosa è una misura dell’abbondanza di elementi più pesanti dell’elio – detti genericamente metalli – rispetto alla quantità di idrogeno ed elio presenti; NdA]
«Non siamo ancora in grado di dire quale sia il canale di formazione preferenziale, se si formano da sistemi isolati nelle galassie o in ambienti densi stellari dove sono importanti le interazioni dinamiche. Con un centinaio di rilevazioni e informazioni più precise sulla distribuzione delle masse e degli spin riusciremo a chiarire questo punto. Sicuramente le fusioni di buchi neri di grande massa hanno fatto capire che la massa persa dalle stelle massicce in determinate situazioni (a bassa metallicità, appunto) è limitata e che possono essere accreditati anche i modelli di supernove fallite, ovvero di supernove dove tutta la massa cade nel buco nero senza esplosione», specifica Fafone.
Uno sforzo collettivo
Per sfruttare al meglio le potenzialità dei tre rivelatori, gli scienziati di LIGO e Virgo hanno anche migliorato i loro sistemi di analisi dati, sviluppando inoltre le procedure di rilascio di messaggi di allerta – chiamati Open Public Alerts – per informare in tempi estremamente ridotti fisici e astronomi quando un potenziale evento di onda gravitazionale viene registrato dagli interferometri.
Il nuovo software è infatti in grado di inviare un’allerta entro cinque minuti dalla rivelazione del segnale dato dal passaggio di un’eventuale onda gravitazionale, permettendone lo studio associato all’emissione di onde elettromagnetiche e, in certe circostanze, anche di neutrini.
«Si tratta di un messaggio inviato in automatico all’intera comunità di fisici e astronomi – chiarisce Fafone – contenente le principali informazioni sul segnale rivelato, come la posizione della sorgente nel cielo e la sua distanza dalla Terra. D’altra parte, GW170817 ha aperto l’era dell’astrofisica multimessaggera e ha mostrato inequivocabilmente l’importanza di studiare i complessi fenomeni all’origine di tali segnali attraverso tutte le loro manifestazioni, dall’emissione gravitazionale a quella elettromagnetica e nel prossimo futuro anche tramite l’emissione congiunta di neutrini. Il sistema di allerta è pertanto fondamentale per lo sviluppo e il consolidamento dell’astrofisica multimessaggera».
Ma il miglioramento della sensibilità degli strumenti sarà cruciale anche per studi di fisica fondamentale, di cosmologia e di astrofisica. La rivelazione diretta delle onde gravitazionali, in particolare lo studio delle loro proprietà, può infatti fornirci informazioni interessanti per la verifica della validità della relatività generale in regime di campo gravitazionale forte e grandi velocità (al momento della collisione i due buchi neri della prima rivelazione si muovevano con una velocità relativa pari a circa la metà della velocità della luce).
Si potranno avere indicazioni anche riguardo a una teoria unificata di tutte le interazioni fondamentali, oltre che sulla natura della materia oscura e dell’energia oscura. Più difficile sarà invece ottenere informazioni sulle onde gravitazionali di origine cosmologica.
«La rivelazione del fondo cosmologico di onde gravitazionali non sembra un obiettivo raggiungibile nell’immediato futuro, poiché questo segnale prodotto nell’universo primordiale ha un’ampiezza troppo piccola per gli attuali rivelatori gravitazionali», conclude Fafone. «Poiché l’ampiezza e l’andamento in frequenza del segnale dipendono dal tipo di modello cosmologico, la rivelazione di un fondo cosmologico di onde gravitazionali potrebbe tuttavia essere alla portata dei futuri interferometri, sia terrestri (quali l’Einstein Telescope) che nello spazio (LISA)». Ma per vedere questi in funzione dobbiamo ancora avere un po’ di pazienza.
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