Proteggere i bambini in gravidanza con gli Omega 3

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Assumere integratori derivati dall’olio di pesce abbatte il rischio di ammalarsi. Lo sostiene uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine. Secondo lo studio assumere omega 3 in gravidanza protegge il bambino dal rischio di ammalarsi di asma.

Integrare la dieta con 2,4 grammi di omega-3 dell’olio di pesce al giorno nell’ultimo trimestre di gravidanza ridurrebbe del 30 per cento il rischio di ammalarsi di asma e respiro sibilante dei bambini. Lo  indica uno studio condotto su oltre 700 donne e pubblicato sul  New England Journal of Medicine da ricercatori danesi del COPSAC Copenaghen Prospective Studies on Asthma in Childhood e dell’università canadese di Waterloo.

“Da tempo si sospettava l’esistenza di un rapporto tra le proprietà antinfiammatorie dei grassi polinsaturi a catena lunga omega-3, la loro limitata presenza nella dieta occidentale e la prevalenza crescente di asma nella popolazione pediatrica”, ha dichiarato in una nota per la stampa Hans Bisgaard, professore di pediatria all’Università di Copenaghen, responsabile di COPSAC e primo autore della ricerca. “Questo studio prova in maniera definitiva e significativa che le cose sono collegate”, ha detto. Aggiungendo tuttavia, leggiamo sulle colonne del NY Times, che sono necessarie ulteriori e più approfondite indagini per raccomandare oggi integratori di omega-3 in gravidanza.

Olio di pesce, la differenza. Gli autori hanno arruolato 736 donne alla 24ma settimana di gravidanza. Le hanno suddivise in maniera randomizzata, casuale, in due gruppi: quelle alle quali hanno somministrato placebo (olio d’oliva, in questo caso) e quelle che invece hanno assunto quotidianamente un supplemento di 2,4 grammi di acidi grassi polinsaturi a catena lunga dell’olio di pesce, in particolare EPA e DHA. Lo studio è stato del tipo “a doppio cieco”: né le donne che vi hanno partecipato né i ricercatori che lo hanno pensato e condotto erano al corrente di chi esattamente avesse assunto cosa: se placebo o olio di pesce.

695 bambini. Il passo successivo è stato di inserire i bambini di 695 donne in un trial per testarne la salute respiratoria. Il risultato? Nei figli delle donne  trattate con olio di pesce il rischio relativo di sviluppare asma o bronchite asmatica (wheezing in inglese e anche respiro sibilante in italiano) è stato pari al 16,9 per cento, mentre quello misurato nei bambini nati dal gruppo di controllo è stato del 23,7 per cento. Il che equivale a una riduzione del rischio del 30,7 % nei primi tre anni di vita associato all’assunzione di omega-3. A beneficiare di più dell’integrazione con olio di pesce sarebbero state le donne che all’avvio dello studio avevano i livelli ematici più bassi di EPA e DHA: per i loro bambini la riduzione del rischio relativo di ammalarsi di asma avrebbe raggiunto il 34,5 %.

L’esperto. “Lo studio di Bisgaard è entusiasmante perché è un lavoro sulla prevenzione primaria dell’asma, una malattia che nella popolazione pediatrica dagli anni 70 ad oggi è passata da un 7 per cento di prevalenza a un 13 per cento: praticamente raddoppiata. E della bronchite asmatica, o respiro sibilante o wheezing come dicono gli anglosassoni, che oggi affligge ¼ del bambini nei primi tre anni di vita”, commenta lo studio Renato Cutrera, presidente Simpi, Società italiana di medicina respiratoria infantile e responsabile della Broncopneumologia del Bambino Gesù di Roma. “Si tratta  – continua l’esperto – di numeri alti e di incrementi sensibili in tempi così brevi che non possono evidentemente spiegarsi con un’ipotesi genetica. Ad essere cambiata non è la genetica evidentemente, ma l’ambiente nel quale i bambini si sviluppano, lo stile di vita anche delle madri, e la modulazione del sistema immunitario, che si evolve oggi in contesti sempre più ‘puliti’ e che di conseguenza tende a svilupparsi in senso allergico e autoimmune”.

“Siamo da 10 anni alla ricerca di qualcosa da dare alle madri per studiare gli effetti sui figli in termini di prevenzione delle patologie respiratorie pediatriche  – riprende Cutrera –. Lo stiamo facendo anche con i probiotici, per esempio. Questa pubblicazione suggerisce che modificando l’ambiente nel quale si sviluppano i bambini sia possibile intervenire sul rischio di asma. L’asma è una patologia multifattoriale, nella quale concorrono molte questioni: familiarità, ambiente di sviluppo anche nutrizionale, come questo studio suggerisce”.

Il commento. “La pubblicazione apre la strada ad ulteriori indagini sul meccanismo che sta alla base della trasmissione madre-figlio degli effetti antinfiammatori dei polinsaturi a catena lunga omega-3. E della durata nel tempo di questi benefici: un aspetto importante, questo della durata, qui si parla di rischio relativo nei primi tre anni di vita – spiega Andrea Ghiselli, dirigente di ricerca al Crea-Alimenti e nutrizione – . Gli omega-3 le cui proprietà antinfiammatorie sono ben note, sono contenuti sostanzialmente nei pesci d’acqua fredda: sardine, aringhe,  salmone. Non siamo in grado di produrceli in autonomia, almeno non in maniera efficiente, vanno quindi assunti con la dieta”.

Ne assumiamo troppo pochi. Ne assumiamo in quantità adeguata? “Ne consumiamo pochi, certamente non alle dosi, alte, utilizzate nella ricerca di Bisgaard. Ma il punto è che ne consumimao pochi  rispetto ai grassi saturi. Più che aumentare i grassi omega-3 – spiega Ghiselli –  dovremmo ridurre i saturi: va da sé che riducendo i grassi saturi si alza la proporzione dei polinsaturi e di conseguenza aumentano i benefici in termini di salute. Questa pubblicazione è importante: apre la strada ad altre indagini che potranno portare a risultati interessanti. Ma non va interpretata oggi come  un invito a supplementare le donne in gravidanza con omega-3″.

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