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Osservato per la prima volta un vortice gravitazionale: così la materia cade in un buco nero

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Osservato per la prima volta un vortice gravitazionale: così la materia cade in un buco nero
Osservato per la prima volta un vortice gravitazionale: così la materia cade in un buco nero
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Due telescopi dell’Esa e della Nasa hanno “visto” un black hole distante 30mila anni luce inghiottire ciò che lo circondava. E un nuovo strumento italiano esordisce scoprendo un buco nero “supersonico”.

Puntando i telescopi a raggi X Xmm-Newton dell’Esa e NuStar della Nasa un team internazionale di scienziati ha osservato e misurato l’effetto di un vortice gravitazionale sulla materia che cade in un buco nero. L’effetto prende il nome dai fisici austriaci Josef Lense e Hans Thirring che lo teorizzarono come conseguenza della teoria della Relatività generale di Einstein.

Il ”canto del cigno” della materia. Prima di sparire oltre l’orizzonte degli eventi, la materia attratta da un buco nero si riscalda, la sua temperatura cresce dell’ordine di milioni di gradi. E comincia a pulsare, emettendo raggi X con una frequenza regolare che aumenta mano a mano che si avvicina al buco nero. Passando da 10 secondi per completare una singola oscillazione (da un massimo a un minimo di intensità) fino a dieci oscillazioni al secondo.

{} Finora, e per 30 anni, la causa di queste “Oscillazioni quasi periodiche” è stata un mistero. La teoria che fosse proprio l’effetto Lense-Thirring a causarla aveva bisogno di prove e ora sono arrivate grazie all’osservazione di H 1743-322, buco nero posto a circa 30mila anni luce da noi. La gigantesca attrazione gravitazionale di H 1743-322 e la velocità di rotazione fanno sì che si crei un vortice che diventa più forte con il diminuire della distanza. I raggi X emessi dal plasma (la materia la cui temperatura è talmente elevata che gli atomi perdono i propri elettroni) colpiscono così il disco di accrescimento, il materiale che ruota attorno a questi giganti e che, per intenderci, fornisce loro il ‘cibò che li alimenta. Gli atomi di ferro del disco reagiscono quando vengono ‘stimolatì dai raggi X emettendo un bagliore, il modo con cui viene emesso questa ‘spia luminosà ha dimostrato la “precessione”, il cambio di orientamento dovuto proprio a questa forza. E che corrisponde al modello di previsione calcolato grazie alla teoria di Albert Einstein.

L’effetto Lense-Thirring si verifica non solo con i buchi neri, ma “per qualsiasi oggetto posto vicino a una grande massa che ruota” ha osservato Adam Ingram, dell’università di Amsterdam, primo firmatario dello studio pubblicato sul Monthly notices of the Royal astronomical society. Nel 2004 la Nasa lanciò la sonda Gravity Probe B per misurare questo fenomeno attorno alla Terra. Anche se debolissimo, fu confermato: la sonda dovrebbe completare un ciclo di precessione, dovuto al trascinamento del vortice gravitazionale terrestre, in circa 33 milioni di anni. Un po’ troppi per aspettare e controllare.

Misurarlo su un buco nero, che la gravità spaventosa rende miliardi di volte più potente, ha permesso dunque di dare nuove conferme alla validità della Relatività generale anche in un contesto di super gravità. E di poter sviluppare per il futuro modelli sempre più precisi che aiutino a comprendere meglio il comportamento della materia in condizioni così estreme.

Battesimo scientifico per Srt. Ma da oggi gli scienziati che studiano i buchi neri hanno anche un altro strumento a disposizione: il Sardinia radio telescope dell’Istituto nazionale di astrofisica. L’Srt al suo esordio ha puntato l’obiettivo su un altro buco nero, questa volta molto più distante, al centro di una galassia ellittica a circa 300 milioni di anni luce dalla Terra. E che viaggia molto veloce. Anche questo pubblicato sul Monthly notices of the Royal astronomical society, è il primo studio con dati raccolti dal nuovo radiotelescopio italiano, un’antenna di 64 metri di diametro, condotto da un team di scienziati dell’Inaf a cui hanno collaborato ricercatori dell’Università di Cagliari.

Un buco nero supersonico. Anche ll buco nero supermassivo osservato dall’Srt sta divorando materia dal materiale circostante ed emette scie di plasma, osservate nello spettro delle onde radio, molto più lunghe della galassia stessa. “Il fenomeno è simile in parte alle scie di condensazione prodotte dagli aerei” – spiega Matteo Murgia, ricercatore Inaf presso l’Osservatorio Astronomico di Cagliari e primo autore dello studio – nel caso di getti associati al buco nero, il ‘carburante incombusto’ consiste di campi magnetici e di elettroni di altissima energia che si raffreddano emettendo onde radio. Confrontando le nuove immagini ottenute da Srt con quelle di altri radiotelescopi abbiamo ottenuto per la prima volta una vera e propria mappa di età di questa radiosorgente, concludendo che il buco nero sta avanzando nello spazio ad una velocità supersonica”.

La velocità del suono cambia a seconda della materia che si trova ad attraversare. Nell’aria è di circa 1200 chilometri all’ora. Nel caso dell’ammasso di galassie che lo circonda il buco nero (gas rarefatto a milioni di gradi kelvin) è di circa quattro milioni di chilometri all’ora. La velocità di questo buco nero la supera di una volta e mezza, tanto che i ricercatori hanno individuato davanti a lui quello che sembra una specie di ‘boom’ sonico, proprio come quello prodotto dagli aerei.

“Questo studio segna la prima pubblicazione di un risultato scientifico per Srt”, precisa Ettore Carretti, responsabile in carica di Srt e co-autore del lavoro.  “Dimostra che è pronto per produrre immagini di alta qualità del cielo visto attraverso le onde radio. Si tratta di una chiara indicazione della maturità raggiunta dalle prestazioni del radiotelescopio che ora è pronto a produrre la scienza di punta per cui è stato costruito”.

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