Nasa, sulla Stazione spaziale internazionale l’esperimento più freddo dell’Universo. Si chiama Cold Atom Lab e, come suggerisce il nome, è un esperimento scientifico che coinvolge il freddo estremo. La particolarità è che si svolge in orbita, a bordo della Stazione spaziale internazionale.
SE GLI 85 GRADI sottozero dell’Antartide o i -280 del lato oscuro della Luna vi sembrano freddi, non avete ancora visto nulla. La Nasa ha approntato, a bordo della Stazione spaziale internazionale un esperimento che ha si è guadagnato il record di temperatura più fredda nell’intero Universo. Si chiama, poco sorprendentemente, Cold Atom Lab (Cal), ed è il primo tentativo di produrre, in orbita, nuvole di atomi ultrafreddi, appena poche frazioni di grado sopra lo zero assoluto, a circa -273 gradi centigradi. Tentativo riuscito: a sette mesi dall’avvio del progetto (l’equipaggiamento è decollato il 21 maggio scorso dalla Wallops Flight Facility in Virginia alla volta della Stazione spaziale internazionale), Cal produce quotidianamente pacchetti di atomi ultrafreddi, su cui diverse équipe di ricercatori stanno già conducendo tre esperimenti indipendenti e in contemporanea.
• SUPERFREDDI, SUPERLENTI
Perché la comunità scientifica è così affascinata dal freddo estremo? In condizioni normali, a temperatura ambiente, gli atomi sono “iperattivi”, ovvero si muovono a grande velocità e urtano tra loro senza soluzione di continuità; più ci si avvicina allo zero assoluto, più gli atomi tendono a rallentare e “bloccarsi” in posizioni fisse: gli atomi ultrafreddi possono diventare fino a 200mila volte più lenti rispetto a quelli che si trovano a temperatura ambiente, il che li rende più “docili” e permette ai ricercatori di studiarne le dinamiche con più precisione e di utilizzarli per indagare altri fenomeni fisici. “Grazie al Cold Atom Laboratory”, spiega Rob Thomson, fisico del Jet Propulsion Laboratory dell’agenzia spaziale statunitense specializzato nella produzione di atomi freddi, “stiamo iniziando a comprendere in modo approfondito come si comportano gli atomi in condizione di microgravità e come manipolarli, e stiamo studiando quali sono le differenze rispetto a uno scenario simile realizzato sulla Terra. È un pacchetto di conoscenze che costituisce la base fondante di quello che sarà, almeno speriamo, il futuro della scienza dell’ultrafreddo nello Spazio”.
• LASER, CAMPI MAGNETICI E ONDE RADIO
Effettivamente, anche i laboratori sulla Terra possono produrre atomi ultrafreddi. Tuttavia, la gravità terrestre “attira” le nuvole di atomi verso il suolo, lasciando agli scienziati solo poche frazioni di secondo per studiare i composti prima che questi precipitino. Si possono utilizzare dei campi magnetici per intrappolare gli atomi, ma si tratta comunque di una perturbazione esterna che vincola artatamente il loro movimento naturale: per questo, le condizioni di microgravità a bordo della Stazione spaziale internazionale rappresentano un habitat perfetto per condurre esperimenti più accurati. Per abbassare la temperatura fino a (quasi) lo zero assoluto, i ricercatori iniziano intrappolando gli atomi in un campo magnetico, e successivamente li colpiscono con laser che ne rallentano progressivamente il moto; successivamente, delle onde radio “eliminano” gli atomi più veloci, abbassando ulteriormente la temperatura; infine, il campo magnetico viene spento e gli atomi vengono lasciati liberi di espandersi, il che fa diminuire drasticamente la pressione e, di conseguenza, la temperatura (temperatura e pressione sono infatti legate tra loro: è il motivo, per esempio, per cui una bomboletta contenente del gas compresso si raffredda dopo l’uso). Nello Spazio, dove gli effetti della gravità sono molto attenuati, la nuvola di atomi può espandersi per più tempo, il che permette di raggiungere temperature pochi miliardesimi di grado sopra lo zero assoluto.
• A PROVA DI RAZZO
Realizzare – e soprattutto spedire in orbita – il Cold Atom Lab non è stato facile: tutte le attrezzature dovevano essere abbastanza resistenti da sopportare le vibrazioni del decollo e le forze estreme avvertite durante il volo verso la Stazione spaziale. “Abbiamo dovuto riprogettare più volte diverse parti del sistema”, ha spiegato Robert Shotwell, ingegnere capo allo Astronomy, Physics and Space Technology Directorate del Jet Propulsion Laboratory e project manager di Cal. “Alcune componenti si sono danneggiate in modi che non avevamo mai visto né previsto, e l’intera struttura è stata completamente disassemblata e riassemblata per tre volte”. Ma, a quanto pare, ne è valsa la pena: nel 2019 sono già attesi i primi risultati degli esperimenti in corso. Staremo a vedere.
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