È UNA microscopica fibra ottica di forma conica, con un diametro che raggiunge appena i 500 nanometri: circa 20 volte meno di quello di una cellula neuronale. E non a caso, perché non serve a navigare sulla rete ma a “leggere” il cervello, accendendo e spegnendo con estrema precisione i neuroni delle zone più profonde del sistema nervoso, per studiarne l’attività e individuarne le funzioni. A realizzarla sono stati i ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Lecce, insieme ai colleghi dell’Harvard Medical School di Boston. E come spiegano sulle pagine di Nature Neuroscience, si tratta di un primo passo verso dispositivi mini invasivi con cui diagnosticare, e potenzialmente curare, patologie neurodegenerative, disturbi psichiatrici e neurologici.
Per ora però le applicazioni del dispositivo sono più limitate, anche se non meno ambiziose. Si tratta infatti di una tecnologia che va ad inserirsi nel campo dell’optogenetica, un filone di ricerche che studia il cervello sfruttando la possibilità di “accendere e spegnere” l’attività dei neuroni attraverso la luce. Per riuscirci si utilizza l’ingegneria genetica, modificando gli animali, ad esempio dei topi, per esprimere particolari proteine nella membrana dei neuroni, grazie alle quali in seguito è possibile innescare un potenziale d’azione illuminando le cellule con una sonda.
Una tecnica rivoluzionaria, con un grosso limite. “Il cervello è un organo opaco, e questo rende difficile illuminarne le regioni profonde”, spiega Ferruccio Pisanello, giovane ricercatore dell’Iit di Lecce che coordina il progetto Modem (Multipoint Optical DEvices for Minimally invasive neural circuits interface) al cui interno è stato sviluppato il nuovo dispositivo. “La fibra ottica che abbiamo sviluppato in collaborazione con i colleghi di Boston nasce proprio per superare questo limite: permette infatti di illuminare intere aree o punti precisi delle regioni profonde del cervello, senza bisogno di spostamenti meccanici”.
In pratica la sonda può essere inserita nel cervello attraverso un piccolo connettore meccanico, e per la prima volta garantisce la possibilità di agire sul tessuto cerebrale profondo in maniera mini-invasiva e con una estrema flessibilità. Merito della forma conica sviluppata dai ricercatori dell’Iit, e dalle dimensioni nanometriche della punta che permettono di agire su aree di dimensioni variabili, che possono arriva anche a qualche centinaio di micron.
Lo studio pubblicato su Nature ha dimostrato per ora che la sonda funziona, e che può avere effetto sul comportamento degli animali su cui viene utilizzata. Ma si tratta solamente di un punto di partenza, che apre le porte a una nuova stagione di studi che cercheranno di comprendere le funzioni delle regioni più profonde del cervello. “Dal nostro punto di vista, il prossimo passo nello sviluppo di questa tecnologia sarà quello di riuscire non solo a controllare, ma anche a monitorare in tempo reale l’attivazione dei neuroni – sottolinea Pisanello – per arrivare a modularne e comprenderne ancor più a fondo il funzionamento”.
Per raggiungere questo obbiettivo Pisanello prevede ancora un paio d’anni di lavoro. Ma andando più avanti – assicura il ricercatore – le possibilità offerte dalla nuova tecnologia potrebbero avere una portata ancora maggiore. L’optogenetica infatti non può essere utilizzata sugli esseri umani, ma diverse nuove tecniche in fase di sviluppo sembrano promettere la possibilità di controllare l’attività dei neuroni attraverso la luce, senza danneggiare il cervello e senza bisogno di modifiche genetiche. Potrebbero volerci ancora cinque o 10 anni, ipotizza Pisanello, e tutto dipenderà dalla velocità con cui arriveranno i risultati delle ricerche in corso.
Ma se e quando queste tecnologie daranno i frutti sperati la sonda ideata all’Iit potrebbe rivelarsi la base di partenza per una nuova generazione di dispositivi terapeutici e protesici, che rivoluzionerebbero la diagnosi e la terapia di disordini neurologici e patologie neurodegenerative.
Lascia un commento