Rigenerare i denti invece di otturare le carie. Una ricerca sperimentale condotta su topi e ratti ha dimostrato che è possibile ripristinare lo smalto dentale stimolando lo sviluppo di cellule staminali con alcuni farmaci. La speranza è di poter applicare la tecnica anche sugli esseri umani.
Per i dentisti, una carie è un paradosso: per salvare il dente è necessario danneggiarlo ulteriormente. Oggi, il modo principale per trattare una carie è scavare la parte erosa e l’area circostante e poi otturare la cavità con un materiale surrogato durevole, come un cemento a matrice metallica, plastica o vetrosa.
Ma che cosa succederebbe se invece di trapanare i denti e rattopparli con sigillanti sintetici, i dentisti potessero convincere la nostra dentatura a ricrescere in modo autonomo?
Paul Sharpe, bioingegnere del King’s College di Londra, e i suoi colleghi hanno scoperto un nuovo modo per fare esattamente questo nei topi. L’anno scorso hanno pubblicato su “Scientific Reports” uno studio che descriveva le loro tecniche innovative. E da allora hanno fatto ancora più progressi, rendendo questa procedura sperimentale più vicina agli studi clinici sugli esseri umani.
Se alla fine il trattamento diventasse parte dell’armamentario standard del dentista, affermano i ricercatori, sarebbe uno dei progressi più importanti degli ultimi 50 anni in questo settore.
I nostri denti si danneggiano costantemente. La maggior parte delle lesioni che subiscono è dovuta all’usura quotidiana e all’attività dei microbi che ricoprono la superficie di ciascun dente e si nutrono di residui di cibo.
Quando scompongono le particelle di cibo, alcuni di questi microbi secernono acidi come sottoprodotto. E questa acidità degrada lo smalto, il duro strato esterno del dente.
Come la pelle, i denti di solito possono riparare autonomamente piccoli danni, ma se non vengono puliti per troppo tempo, l’acido può erodere lo smalto e iniziare a dissolvere gli strati sottostanti di tessuto osseo denso, chiamato dentina.
Quando la dentina è gravemente danneggiata, le cellule staminali che si trovano nello strato più morbido e più interno del dente – la polpa dentale – si trasformano morfologicamente in cellule chiamate odontoblasti, che secernono nuovo tessuto. (Le cellule staminali sono in grado di diventare praticamente qualsiasi tipo di cellula.) Tuttavia, quando il danno è troppo grande o profondo, la dentina fresca non è sufficiente a ripristinare il dente e il risultato spesso è una carie.
Sharpe sospettava di poter aumentare notevolmente la naturale capacità di guarigione dei denti mobilitando le cellule staminali della polpa dentale. Ricerche precedenti avevano dimostrato che la via di segnalazione Wnt – una particolare cascata di molecole coinvolte nella comunicazione cellula-cellula – è essenziale per la riparazione dei tessuti e per lo sviluppo delle cellule staminali in molte parti del corpo come la pelle, l’intestino e il cervello.
Sharpe si è chiesto se quella via di segnalazione potesse essere importante anche per i processi di autoriparazione nei denti. Se così fosse, forse l’esposizione dei denti danneggiati a farmaci che stimolano la segnalazione Wnt incoraggerebbero allo stesso modo l’attività delle cellule staminali nella polpa dentale dando ai denti il tipo di superpoteri rigenerativi che di solito si osservano solo nelle piante, nelle salamandre e nelle stelle marine.
Per testare l’ipotesi, Sharpe e colleghi hanno praticato dei fori nei molari dei topi, riproducendo le carie. Hanno poi imbevuto minuscole spugne di collagene (ricavate dalla stessa proteina che si trova nella dentina) con vari farmaci che stimolano la segnalazione Wnt, tra cui il tideglusib, un composto sperimentato in alcuni studi clinici per la sua potenziale capacità di trattamento della malattia di Alzheimer e di altri disturbi neurologici. Gli scienziati hanno quindi inserito queste spugne imbevute di farmaco nei molari trapanati dei topi, sigillandole e lasciandole agire per quattro-sei settimane.
I denti trattati in questo modo hanno prodotto una quantità significativamente maggiore di dentina rispetto a quelli non trattati e a quelli riempiti con una spugna non imbevuta o con un cemento per otturazioni convenzionale. Nella maggior parte dei casi, la tecnica ha ripristinato la dentatura dei roditori al loro stato originale intatto.
“Era essenzialmente una riparazione completa”, dice Sharpe. “Si riusciva a malapena a vedere la giunzione che separava la vecchia dalla nuova dentina. Questo potrebbe diventare il primo trattamento farmaceutico di routine in odontoiatria”.
Per introdurre formalmente questo trattamento nell’odontoiatria moderna, tuttavia, i ricercatori dovranno condurre studi clinici su pazienti umani. Per questo lavoro mancano ancora diversi anni, dice Sharpe. Ma alcuni dei farmaci che potrebbero essere utilizzati sono già approvati per altri usi negli esseri umani, ed egli spera che ciò possa accelerare il processo dell’eventuale approvazione. “Molte cure dentistiche sono ancora nei tempi bui”, afferma Sharpe. “È ora di andare avanti.”
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su Scientific American il 1° febbraio 2018. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)
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