Nucleare in Italia: costi, tempi e modello della newco Enel-Ansaldo-Leonardo. Il percorso non sarà semplicissimo tantomeno avrà effetti tangibili immediati. Nel paese cresce l’interesse per reintrodurre la generazione nucleare come fonti di produzione di energia elettrica.
Per quanto varie iniziative stiano prendendo forma, inclusa la nomina da parte del governo di un esperto per valutare la percorribilità del processo e l’annuncio di una prossima legge delega per disciplinare il settore, il percorso non sarà semplicissimo tanto meno avrà effetti tangibili immediati.
Da una parte serve convincere l’opinione pubblica rispetto alla possibilità di superare gli ostacoli – soprattutto in termini di sicurezza – che hanno portato per due volte gli italiani a votare no al referendum sul nucleare. Dall’altra, è necessario mettere bene a fuoco il fatto che, in ogni caso, anche la tecnologia che si trova allo stadio più avanzato non potrà entrare in funzione prima del 2030. Dunque significa attendere almeno altri 6 anni.
È per questo motivo che nel frattempo sarà fondamentale portare avanti lo sviluppo delle fonti rinnovabili: soprattutto in Italia dove la dipendenza della formazione del prezzo dell’energia elettrica da quello del gas resta molto elevata e per questo motivo il costo dell’elettricità è molto più alto di quella della media europea.
Una situazione che non è più sostenibile per i cittadini, ma soprattutto per le imprese esposte alla competizione, che in alcuni casi di trovano ad avare la componente energia che pesa per oltre il 30 per cento dei costi di produzione. E sono proprio le imprese l’utente principale al quale verrà indirizzata la produzione nucleare, perché avrà costi più bassi del gas e potrà garantire continuità di produzione senza i problemi di intermittenza che hanno le rinnovabili.
I mini reattori (SMR) disponibili solo a partire dal 2030
È sulla base di queste considerazioni che alcune società partecipate dallo Stato, e comunque operanti nel settore, hanno avviato trattative per costituire una società incaricata di svolgere tutte le valutazioni necessarie per adottare una tecnologia nucleare.
Questa società non produrrà reattori, farà solo valutazioni e dovrà individuare le condizioni necessarie perché sia possibile creare una filiera produttiva in Italia che realizzi questi impianti su scala industriale.
Tra le società coinvolte c’è Enel, il gruppo elettrico italiano che ha un grande know how sul settore perché gestisce e ha realizzato impianti: ne ha avuti in eredità in Spagna e in America Latina attraverso l’acquisizione di Endesa e in Slovacchia dove, attraverso una società partecipata in minoranza, ha completato la costruzione e avviato l’entrata in funzione di una centrale nucleare.
Si tratta di nucleare tradizionale: dunque impianti così grandi da dover essere realizzati in loco con costi nell’ordine di decine di miliardi di euro. Altri partner di Enel sono il gruppo Ansaldo, gruppo operativo nel settore nucleare su vari fronti, e Leonardo.
L’attenzione oggi, in realtà non solo in Italia ma un po’ in tutto il mondo, è per i mini reattori nucleari modulari (SMR) che si avvalgono di tecnologie di terza generazione: sono molto più piccoli degli impianti tradizionali (grandi meno della metà di un campo da calcio) e sono considerati più sicuri, perché hanno sistemi automatici per il raffreddamento del reattore – che continua a produrre calore anche dopo lo spegnimento – con l’utilizzo di acqua e senza bisogno che intervenga un operatore.
Quindi può essere creata una filiera che produca questi modelli a moduli e poi li venda in Italia o li esporti anche all’estero. Prepararsi per tempo a dare vita a una filiera significa assicurarsi, ad esempio, che le materie prime che servono siano disponibili a rendere competitivo il prodotto in termini di prezzo nel momento in cui deve essere venduto. Insomma, evitare che accada quanto successo con i pannelli fotovoltaici, la cui produzione è delocalizzata in Cina e produrre in Europa ormai è troppo costoso.
Le dimensioni più contenute consentono di poter costruire questi moduli all’interno di capannoni industriali per poi essere trasportati e assemblati nei luoghi dove deve essere istallato un impianto.
A investire sulla produzione e costruzione dei mini reattori, una volta che sarà stata scelta la tecnologia da usare (che potrà essere usata su concessione dell’azienda che l’ha sviluppata) saranno soggetti vari: le utility oppure gli stessi distretti di imprese.
A livello globale sono circa 80 i differenti progetti in fase di studio.I francesi stanno sviluppando una propria tecnologia (Nuward) e puntano alla commercializzazione nel 2030. In Inghilterra al lavoro c’è Rolls-Royce. Tra i maggiori sviluppatori della tecnologia SMR ci sono gli Stati Uniti. Sono tre gli operatori che stanno lavorando su progetti diversi: GE Hitachi, NuScale Power e Westinghouse.
La tecnologia realizzata da quest’ultima potrebbe attirare l’interesse italiano, per l’avanzato stadio e per i costi più competitivi; starà però alla nuova società a guida Enel fare tutti gli approfondimenti necessari per stabilire con quale tecnologia realizzare gli impianti che eventualmente saranno realizzati in Italia.
Al lavoro ci sono ovviamente anche i cinesi, con la tecnologia ACP100, ad oggi il progetto più avanzato e in fase di esercizio sperimentale. Nel frattempo si lavora anche allo sviluppo degli AMR, che hanno un sistema di raffreddamento a piombo.
Richiedono circa 15 anni per arrivare alla commercializzazione, ma hanno il vantaggio di utilizzare combustibili diversi da uranio e plutonio e di ridurre drasticamente i volumi e la durata delle scorie, potendo bruciare il combustibile esaurito in altri impianti. L’idea di fondo è quella di partire con la prima tecnologia disponibile e via via adottare poi quelle nuove più efficienti.
In Italia attesi fino a 40 SMR: investimenti per 40 miliardi
L’interesse è legato soprattutto alle grandi quantità di energia elettrica che sarebbe prodotta a costi ritenuti competitivi. Una utenza elettrica deve essere alimentata per 8.760 ore l’anno: gli SMR garantiscono un’alimentazione costante, come il gas d’altro canto. Il fotovoltaico oggi riesce a fornire un’alimentazione per 1.500 ore. Una volta standardizzato il modello di produzione, l’SMR avrà un costo di realizzazione di 3,5 milioni a megawatt (5,5 milioni il costo stimato del prototipo).
Gli impianti fotovoltaici “utility scale” hanno un costo di 1,2 milioni a megawatt, costo che però rapportato al numero di ore più basso che essi possono alimentare, rende due volte più oneroso l’investimento, in rapporto al ritorno, rispetto a quello per gli SMR. I quali possono, quindi, garantire un prezzo di vendita dell’energia elettrica più basso. Un SMR in media ha una potenza di circa 300 megawatt, quindi l’investimento dovrebbe attestarsi attorno a un miliardo di euro ciascuno.
Secondo alcune ipotesi, che non sono però da ricollegare al lavoro della nuova società che peraltro deve ancora essere costituita, in Italia potrebbero servire 30-40 mini reattori nucleari. In base a questi numeri, il nucleare garantirebbe una potenza istallata tra 12 e 16 gigawatt, che rappresenta circa un decimo dell’attuale potenza di generazione in Italia, pari a 130 gigawatt.
Dunque, le dimensioni limitate di questi reattori significano che non sono in grado di coprire il fabbisogno delle grandi città e che devono essere impiegati per attività produttive energivore, come le imprese o come i data center che saranno necessari per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.
Enel: 40 manifestazione di interesse dalle Big Tech per i data center
A proposito di data center, l’Enel negli ultimi tre-quattro mesi Enel ha ricevuto circa 40 lettere di interesse da operatori internazionali di tutto il mondo che vorrebbero realizzare data center in Italia, tanto che la società ha costituito un apposito team per lavorare a questo nuovo ramo di business. Tra questi operatori ci sono le Big Tech, tra le quali Google e Amazon, ma anche società di sviluppo immobiliare come Starcom.
Il gruppo elettrico gestisce la rete alla quale vanno allacciati questi centri, ma dispone anche di siti potenzialmente interessanti perché molto interconnessi alla rete e spesso vicini al mare. Ad esempio, quelli delle centrali a carbone di via di chiusura a Civitavecchia, Brindisi, Venezia e in Sardegna.
E non solo: altri siti possono essere le aree limitrofe alle stazioni ferroviarie. Le Big Tech hanno iniziato a stipulare accordi per forniture di energia nucleare, come ha fatto Google con Westinghouse. È chiaro che puntano a un tipo di alimentazione elettrica costante e consistente, come quella degli SMR, combinata a sistemi di batterie e impianti rinnovabili.
L’interesse, in ogni caso, è soprattutto per il nord Italia. Enel, comunque, ha diversificato il suo presidio su tutte le tecnologie: ha siglato un accordo con Newcleo, che sta lavorando sugli AMR. Ma non c’è solo la fissione: la novità recente è l’accordo per studiare progetti sulla fusione, diversi dal mega progetto Iter in Francia, al quale collaborano le maggiori potenze mondiali, Russia inclusa. Il gruppo elettrico italiano sta collaborando con la start up californiana TAE, che assieme a Google utilizza l’intelligenza artificiale per accelerare l’innovazione dei processi che possono portare a realizzare la fusione.
In base alle conoscenze di oggi la fusione, in grado di generare grandi quantità di energia senza produrre scorie, non sarà disponibile come tecnologia prima del 2050. Chissà che l’intelligenza artificiale e i grandi investimenti privati, che le start up californiane sono in grado di catalizzare, non riescano ad accelerare il processo.
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