Campo Imperatore: un osservatorio tra le aquile, in viaggio fra i telescopi al tempo del coronavirus. Nel cuore del Parco nazionale del Gran Sasso, sull’altopiano di Campo Imperatore, sorge la stazione astronomica dell’Osservatorio d’Abruzzo, con un telescopio ottico e uno infrarosso. Mauro Dolci, ricercatore dell’Istituto nazionale di astrofisica, ci accompagna nel silenzio e nella meraviglia di questo luogo, descrivendocene la struttura e intrattenendoci con aneddoti storici e di vita quotidiana
C’è un luogo, nel centro Italia, in cui sembra di entrare in un’altra dimensione, per la sua vastità, il silenzio e l’aspra immutabilità. Un luogo dove domina la natura selvaggia e si respira la libertà. Un luogo dove non vi stupireste di vedere un uomo a cavallo accompagnato da un bellissimo falco o di sentire, nel silenzio del vento, un gruppo di cowboy prepararsi i fagioli attorno a un fuoco. È il Parco Nazionale del Gran Sasso, nel cui cuore si trova un vasto altopiano di settantacinque chilometri quadrati, a un’altitudine media di 1700 metri: Campo Imperatore. Siamo in provincia dell’Aquila, in Abruzzo.
E lassù, al cospetto della aquile, si ergono tra i monti due cupole, che vengono aperte verso il cielo dagli astronomi dell’Inaf. Ed è proprio lì che vi porterà oggi lo “Speciale telescopi” di Media Inaf, in una bella giornata di sole, quando i crochi stanno per tingere le montagne, con il loro caratteristico colore viola, al primo sciogliersi delle nevi. Ci andremo insieme a Mauro Dolci, ricercatore dell’Osservatorio astronomico d’Abruzzo dell’Inaf, responsabile dello strumento Swircam montato sul telescopio infrarosso, che andremo a scoprire insieme in questa intervista. Mauro si occupa principalmente di tecnologie astronomiche, in particolare di ottica adattiva, e ha ruoli di management nel progetto Ska. Si è occupato anche di osservazioni nell’ottico e nell’infrarosso, è stato responsabile della didattica e divulgazione a Teramo e ha fatto parte del comitato per le Olimpiadi di astronomia.
Come si vive questo periodo di emergenza in Abruzzo?
«Qui la situazione è di attesa e un po’ di ansia. Seguiamo molto da vicino quello che succede al nord e viviamo nella paura che possano aumentare i contagi anche al centro sud. Per il momento la situazione sembra sotto controllo ma bisogna stare in allerta. Sicuramente stiamo tutti dentro casa perché questo è il contributo che ciascuno di noi può dare all’emergenza».
Riuscite a osservare, in questi giorni, da Campo Imperatore?
«Abbiamo limitato l’attività per garantire la sicurezza degli operatori e i vincoli di mobilità richiesti dai decreti del governo, quindi abbiamo preferito fermare le osservazioni, uniformandoci alle misure di molti altri telescopi internazionali».
Anche se è tutto chiuso, si possono fare osservazioni da remoto?
«Purtroppo no. Ultimamente abbiamo iniziato a fare osservazioni da remoto, ovvero l’osservatore lavora da remoto con la presenza in loco di personale tecnico, per gestire eventuali emergenze logistiche. Ad esempio, se si blocca il meccanismo di chiusura della cupola, bisogna andare lì a chiuderla manualmente per evitare che ci nevichi dentro. Tra l’altro sono tre giorni che nevica sull’altopiano ma noi sappiamo che all’osservatorio è tutto a posto, anche se fisicamente non c’è nessuno, perché sono attivi tutti i sensori interni di monitoraggio delle temperature delle apparecchiature».
Quando avete fatto le ultime osservazioni?
«Alla fine di febbraio, quando abbiamo osservato delle regioni di cielo dove era stata segnalata una possibile sorgente di onde gravitazionali rilevate dagli esperimenti Virgo e Ligo, alla ricerca di controparti ottiche. Abbiamo scansionato parte di una regione di cielo molto grande, dell’ordine di più di cento gradi quadrati, di cui siamo riusciti a osservare circa il 12 per cento. Questi dati sono stati elaborati dal team italiano Grawita (Gravitational Wave Inaf Team), che li unirà a quelli corrispondenti ad altre porzioni di quella regione di cielo. L’analisi di queste immagini è tuttora in corso».
Immagino abbiate subito forti restrizioni anche quando ci sono stati i terremoti…
«Sì, l’osservatorio ha sofferto i terremoti del 2009 e del 2016. In particolare, in occasione del terremoto dell’Aquila, è rimasto chiuso per moltissimo tempo. All’epoca la stazione osservativa faceva parte dell’Osservatorio di Roma (nel 2017 è passato in gestione a Teramo in seguito alla costituzione dell’Osservatorio d’Abruzzo, che ha raccolto le realtà Inaf a livello regionale) e, in virtù di una collaborazione per le osservazioni nell’infrarosso, io ero il responsabile e, dunque, la persona preposta a salire. A causa del sisma non ho potuto farlo per un anno esatto: il terremoto c’è stato il 6 aprile del 2009, io sono ritornato lassù il 7 aprile del 2010».
A Campo Imperatore ci sono due telescopi. Che tipo di telescopi sono?
«Un telescopio ottico e un telescopio infrarosso. Ma andiamo in ordine cronologico. Il telescopio ottico è un telescopio Schmidt con uno specchio da 90 centimetri di diametro e un’imboccatura di 60 centimetri di diametro. Parlo di “imboccatura” perché, per questo tipo di telescopio, è molto importante in quanto sull’imboccatura si trova una lastra di vetro sagomato in modo particolare, con lo spessore variabile, in modo tale da conferire la massima nitidezza all’immagine. Le immagini che può fornire sono immagini a grande campo: in una singola esposizione presa con le fotocamere che sono montate, è possibile osservare una zona di cielo molto grande, a livello astronomico. Nel caso del telescopio di Campo Imperatore parliamo di più di un grado quadrato, quindi una zona equivalente allo spazio occupato da quattro lune piene. Per confronto, i normali telescopi hanno una copertura di cielo sulla singola immagine che è dell’ordine di pochi arco-minuti quadrati (dove un arco-minuto è un sessantesimo di grado). In pratica, un’area equivalente a quella di un piccolo cratere lunare».
È unico nel suo genere o ce ne sono altri così, in Italia?
«Ce n’è un altro, che è praticamente un gemello: il telescopio Schmidt che si trova all’Osservatorio di Asiago, utilizzato dall’Inaf di Padova».
Poi c’è un secondo telescopio, che osserva nell’infrarosso. È più recente, dicevi…
«Esatto. Mentre il telescopio Schmidt risale agli anni 60, quello infrarosso è arrivato a metà degli anni 90. È un telescopio russo; il suo nome è Azt-24 ed è stato portato in Italia a seguito di una collaborazione tra l’Osservatorio di Roma, l’Osservatorio d’Abruzzo e l’Osservatorio di Pulkovo, a San Pietroburgo».
Come mai i russi ci hanno regalato un telescopio?
«Dietro c’è una storia molto lunga, che risale alla Seconda Guerra Mondiale. In quell’epoca c’era l’alleanza tra Italia e Germania e il telescopio venne donato dalla Germania all’Italia, direttamente all’Osservatorio di Roma. Si chiamava “Mussolini Telescope” e, dietro alla donazione, c’erano naturalmente motivi politici. Questo telescopio sarebbe dovuto andare all’osservatorio astronomico ma in realtà rimase in Germania fino alla caduta del Terzo Reich e all’invasione dell’Armata Rossa che, come bottino di guerra, lo portò a San Pietroburgo, proprio all’osservatorio di Pulkovo. Da qui facciamo un salto di 50 anni, fino ai primi anni ‘90. Gli allora direttori dell’Osservatorio di Roma, Roberto Buonanno, e di Teramo, Vittorio Castellani, “suggeriscono”, nell’ambito di una collaborazione con l’osservatorio di Pulkovo, la restituzione del Mussolini Telescope all’Italia. È una storia abbastanza divertente, ma non c’è nulla di inventato… è tutto vero anche se si presenta un po’ come aneddoto».
Com’è questo telescopio, dal punto di vista tecnologico?
«L’Azt-24 è un telescopio con uno specchio da 1.1 metri di diametro, che viene usato per osservazioni alle lunghezze d’onda dove l’occhio umano non è sensibile. L’occhio umano è sensibile a lunghezze d’onda tra 400 e 700 miliardesimi di metro, questo telescopio invece osserva a lunghezze d’onda tra 1000 e 2500 miliardesimi di metro, nella zona cosiddetta del vicino infrarosso. Nel fuoco di questo telescopio è montata una fotocamera infrarossa, un oggetto molto complesso che ha bisogno di un sistema criogenico per funzionare, poiché deve necessariamente essere raffreddata a temperature intorno ai 200 gradi centigradi sotto lo zero. Per fare questo è inoltre necessario che sia all’interno di un contenitore dentro il quale è mantenuto un regime di alto vuoto, ossia una pressione che è dell’ordine di un miliardesimo della pressione atmosferica».
Già che parliamo di freddo, che temperature ci sono lassù, in inverno?
«Le condizioni meteorologiche invernali sono molto severe… basti considerare che è normale che la prima neve possa comparire già alla fine di agosto, anche se poi il periodo più freddo dell’anno è naturalmente nella stagione invernale, tra dicembre e febbraio, con la neve che si protrae anche fino ad aprile, maggio. Ci sono stati degli inverni, nell’ultimo ventennio del secolo appena trascorso, dove si sono raggiunti picchi al di sotto dei 25 gradi sotto lo zero.
A parte le temperature, le tempeste di vento sono particolarmente impressionanti. In una occasione si registrò un picco di 295 km orari: finita la tempesta, non si riuscì a trovare un pesante carrello metallico per il trasporto delle merci, che era stato posto fuori dal locale adibito a ostello. Venne ritrovato un paio di giorni dopo in fondo a una vallata, sollevato e portato via dal vento. Pesava circa 300 kg… praticamente come un’automobile! Nonostante questo, lassù c’è sempre qualche astrofisico, interessato a effettuare osservazioni a Campo Imperatore, perché di fatto si tratta di un sito astronomico dove ci sono delle condizioni osservative molto buone e il cielo è molto trasparente. In particolare, il freddo dell’atmosfera aiuta moltissimo le osservazioni nell’infrarosso».
Cosa osservate?
«La ricerca di controparti ottiche di sorgenti di onde gravitazionali, di cui vi ho già parlato, è il progetto di punta a cui dedichiamo la maggior parte del tempo osservativo. Dalla prima rilevazione di onde gravitazionali, avvenuta nel 2015, questo tipo di studio ha una enorme rilevanza scientifica. Nel nostro Paese sono coinvolti il team italiano Grawita (guidato dal nostro direttore Enzo Brocato) e ricercatori del Gssi, il Gran Sasso Science Institute, come la dottoressa Marica Branchesi. Oltre a questa ricerca, abbiamo osservato sorgenti stellari peculiari (in particolare le esplosioni di supernova) e sistemi stellari, come ammassi o galassie.
Ma anche oggetti del Sistema solare. Questi ultimi, in particolare, li osserviamo soprattutto con il telescopio Schmidt e sono un oggetto importante di osservazione perché con questo telescopio è possibile fare la ricerca di asteroidi che vagano nello spazio interplanetario e che potrebbero costituire una minaccia per la Terra. E da duemila metri, vi garantisco che il cielo è veramente splendido. Per farvelo intuire, vi racconto questo aneddoto: una sera di tanti anni fa, su con me c’era un giovane tecnico che era stato appena assunto. Io ero di turno per l’osservazione con il telescopio infrarosso. La predispongo e, siccome durava 20 minuti, ne approfitto per uscire 5 minuti. Era una serata molto piacevole di fine luglio. Il collega mi raggiunge fuori, si accende una sigaretta e ci mettiamo a parlare. Gli dico: “Guarda che notte fantastica, che cielo limpido… si vedono tutte le stelle”. Lui allora guarda in alto, allo zenit e mi dice: “Sì, peccato per questa nuvola che sta in mezzo”. E io gli dico: “Ma quale nuvola… è la Via Lattea!”».
Chi può andare lassù a osservare? Solo astronomi dell’Inaf oppure fate delle call esterne per permettere l’accesso anche ad altri astronomi?
«Abbiamo prodotto raramente delle call per osservare, perché l’osservatorio è sempre stato visto come qualcosa di diverso da una facility, però le osservazioni possono anche essere condotte da personale non Inaf, purché sia personale di istituzioni scientifiche o accademiche, con le quali si apre una collaborazione. Non è escluso che in un prossimo futuro, proprio perché stiamo lavorando per una completa remotizzazione di ambedue i telescopi, l’osservatorio possa diventare una facility utilizzabile con il meccanismo delle call annuali o semestrali».
Può accedere anche il pubblico, all’osservatorio di Campo Imperatore?
«Il pubblico può certamente venire. Le visite sono gestite di concerto con il Centro Turistico Gran Sasso, che si occupa di raccogliere le prenotazioni delle comitive che salgono. Alle comitive vengono offerte, durante l’estate, anche delle sessioni osservative, però non con i grandi telescopi, bensì con dei telescopi di supporto che abbiamo all’esterno della stazione. Questo perché i grandi telescopi hanno gli strumenti montati e non delle postazioni oculari. D’inverno è un po’ più complicato, perché si sale soltanto con la funivia e si deve scendere necessariamente entro le 17, massimo 17:30. La collaborazione con il Centro Turistico Gran Sasso è fondamentale anche per questo motivo: non è soltanto una visita all’osservatorio ma coinvolge la salita con la funivia e un momento di ristoro nel locale dell’ostello e questi aspetti logistici non li curiamo noi».
Quindi a voi non arrivano telefonate “dal pubblico”, passa tutto attraverso il Centro Turistico Gran Sasso?
«Arrivano, arrivano. In tutti gli osservatori capitano telefonate di persone che affermano di aver visto Ufo o per altri motivi. Vi racconto cosa successe una mattina… stavo terminando un’osservazione. Erano le 5:30 del mattino. L’ostello apriva alle 6:30. Ed era un classico, soprattutto d’estate, quando alle 6:30 era già stato tutto chiuso e sistemato, che prima di andare a dormire si scendesse all’ostello a prendere un cappuccino caldo e un cornetto. Alle 5:30 squilla il telefono in osservatorio. Vado a rispondere e dall’altra parte c’era un signore che ha cominciato a chiedermi come stava andando, se avevamo osservato, com’era il cielo… allora, siccome era già capitata altre volte una cosa simile, gli chiedo: “Mi scusi, ma lei cosa vuole sapere esattamente?”. E il signore: “Io volevo sapere se il tempo è buono”. “Quindi lei vuole sapere se il tempo è buono perché deve venire a sciare?”, chiedo io. E lui: “Ebbene sì, perché mi trovo a Roma e se il tempo è buono parto adesso!“. Ecco, lassù succede anche questo… diciamo, sorridendo, che anche quella è stata una forma di servizio che si è data alla collettività».
Immagino che, soprattutto in estate, ci sia tantissima gente che viene a visitare l’altopiano di Campo Imperatore. È un posto bellissimo… È vero che ci hanno girato Ladyhawke?
«Sì, hanno girato Ladyhawke… non proprio dove si trova l’Osservatorio bensì dall’altra parte dell’altopiano di Campo Imperatore, che ricordiamo essere una zona a un’altitudine media di circa 1700 metri di quota, pianeggiante, che si estende per più di 10 km. In particolare, all’estremità opposta rispetto a quella dove si trova l’Osservatorio, si trovano le bellissime rovine di un castello medioevale che si chiama Rocca Calascio. È lì che sono state girate alcune delle scene di Ladyhawke, oltre che sulla zona pianeggiante di Campo Imperatore. Ma anche numerosi altri film e numerose pubblicità. Tra i film, si potrebbero anche ricordare svariati western all’italiana, oltre che molte scene del secondo film di Aldo, Giovanni e Giacomo, Così è la vita».
C’è poi un fantastico posto in quota dove mangiare arrosticini all’aperto…
«È vero. Oltre alle bellezze paesaggistiche, a una decina di minuti d’auto dall’Osservatorio c’è un posto chiamato Fonte Vetica. È un posto famoso, in tutto l’Abruzzo e anche fuori, perché vi è una baita all’interno della quale trova posto una macelleria e un banco di alimentari. Al di fuori, in una zona messa completamente in sicurezza con il fondo in ghiaia, quindi non incendiabile, ci sono delle canaline di forma allungata sopra alle quali si possono cuocere gli arrosticini. Quindi uno arriva lì, compra gli arrosticini, li cuoce immediatamente fuori dal locale e li mangia, con tutto il gusto che può avere una cosa “cotta e mangiata” – come direbbe Benedetta Parodi – ma con in più l’aria di un luogo che sta a 1700 metri d’altezza».
Quante cose ci hai raccontato, grazie veramente tanto. È stato un po’ come essere lassù, in un momento in cui in realtà siamo chiusi in casa.
«Sì, ci sono aneddoti più divertenti, altri che richiamano situazioni più difficili… Però le si superano, come adesso: supereremo anche questa. Permettimi di chiudere con una considerazione, che mi è stata fatta da un collega dell’osservatorio di Edimburgo. Noi italiani siamo capaci di abbinare le nostre bellezze tecnologiche e scientifiche degli osservatori alle bellezze naturali, paesaggistiche, o anche storiche e architettoniche, e questa è una cosa non da poco. Poco più di un anno fa, durante un meeting a Teramo dove sono venuti colleghi da tutta Europa, questo collega dell’osservatorio di Edimburgo mi disse: “Italians know where to build an observatory” – gli italiani sanno dove costruire un osservatorio. E direi che è proprio così».
Guarda su MediaInaf Tv il servizio del 2017 sull’Osservatorio d’Abruzzo:
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