Messaggeri dall’universo, le tante facce dei raggi cosmici

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Da quasi mezzo secolo l’Uomo va nello spazio, ma cosa dallo spazio arriva fino a noi sulla Terra? Per ora nessun omino verde, solo qualche meteora e parecchi raggi cosmici.

I raggi cosmici sono particelle che provengono dal Sole o da altri corpi celesti interni ed esterni alla nostra galassia. In base alla loro origine queste particelle hanno energia diversa e, di conseguenza, provocano effetti differenti.

Sono formati per lo più da protoni, particelle alfa, nuclei di altri elementi ed elettroni. Questi ultimi, quando vengono intrappolati dal campo magnetico terrestre, danno vita (tra le altre cose) alle aurore boreali. Oltre a queste particelle, si hanno anche i neutrini, che però quasi non interagiscono con la materia, e fotoni molto energetici quali i raggi X e gamma.

La maggior parte dei raggi cosmici che proviene direttamente dallo spazio non arriva sulla superficie terrestre a causa dell’azione schermante dell’atmosfera. Quando i raggi cosmici interagiscono con gli atomi che compongono l’atmosfera terrestre, formano una “pioggia” di nuove particelle detti raggi cosmici secondari. Circa il 70% di questi ultimi, conosciuti come “componente dura” della radiazione, è formato da una particella nota come mesone μ, oppure muone.

Il muone viene spesso descritto come il “parente grasso” dell’elettrone: ha carica elettrica negativa e spin semi-intero come l’elettrone, ma la sua massa è 200 volte più grande.Infatti quando un muone decade produce un elettrone e un neutrino muonico (e un antineutrino). La quantità di muoni che arrivano alla superficie terrestre è alta, centinaia al metro quadro ogni secondo, costituendo un disturbo per tutti quegli strumenti che devono rivelare particelle più sfuggenti, le quali si perdono nella cascata di muoni che interagiscono con i rilevatori. Per questo esperimenti del genere vengono fatti in posti schermati, dove il flusso di muoni è notevolmente ridotto, come i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, che si trovano sotto la montagna e dove il flusso di muoni è ridotto a un milionesimo di quello che si ha in superficie.

Il muone ha avuto un ruolo importante nella teoria della relatività, in quanto ha permesso di dimostrare l’esattezza della relatività speciale. Come abbiamo visto, i muoni si formano con l’interazione tra l’atmosfera e i raggi cosmici primari. Questo avviene a una quota di circa 15 km. Il decadimento del muone, invece, avviene mediamente dopo un tempo di 2,2 μs (microsecondi, cioè 10-6 secondi), il che significa che dopo 1,5 μs sopravvivono, in media, circa la metà dei muoni che si avevano all’inizio. Poiché questi si muovono a una velocità pari a circa il 99,92% della velocità della luce, ci aspetteremmo, usando la meccanica classica, di avere metà dei muoni a una quota di circa 14,5 km. Invece non è così: circa metà dei muoni prodotti in atmosfera arrivano sulla superficie terrestre. Questo perché viaggiano a una velocità così alta che la meccanica classica non è più adatta per descrivere il loro comportamento, ed è necessario usare la relatività ristretta (per approfondire qui). Con le opportune correzioni, si trova che i muoni “vedono” la strada che li separa dalla superficie come se fosse di soli 600 m, o, dal punto di vista di noi osservatori sulla Terra, la vita media del muone si è allungata a 55 μs, abbastanza da permettergli di arrivare a noi.

In fisica, come in cucina, si cerca di non buttare via nulla. Quindi nel corso degli anni i fisici hanno cercato dei modi di sfruttare questo flusso costante e abbondante di particelle che ci arriva senza bisogno di produrlo artificialmente. Già negli anni ‘50 venne proposto un metodo per compiere radiografie di grosse strutture sfruttando i raggi cosmici. Mettendo un rilevatore al di là di un ostacolo il flusso di muoni viene attenuato in proporzione alla densità e allo spessore del materiale da essi attraversato. Sfruttando questo fatto, Luis Alvarez riuscì a compiere una radiografia della piramide di Chefren a Giza: analizzando l’attenuazione dei muoni che attraversavano la piramide, potè fare una scansione delle parti vuote della piramide, trovando una discordanza tra le mappe disponibili a quel tempo e i dati ricavati. Tempo dopo, gli archeologi trovarono una nuova camera fino ad allora sconosciuta. Un’analisi analoga è prevista sul Vesuvio dall’esperimento MURAVES che ha lo scopo di tracciare un profilo della densità della caldera del vulcano. I muoni, essendo molto veloci, possono emettere luce per effetto Cherenkov. Questa luce è poi  rilevabile da un particolare tipo di telescopi, detti appunto telescopi Cherenkov, che vengono spesso usati in astronomia. Il progetto ASTRI dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) sfrutta questa luce emessa dai muoni per fare una radiografia dell’Etna grazie a un telescopio di piccola taglia.

Un esperimento al CERN denominato Cosmic Leaving OUtdoor Droplets (CLOUD) cerca di scoprire la connessione tra i raggi cosmici e la formazione delle nubi (per l’appunto Cloud in inglese). A tale scopo utilizza una camera a nebbia e un fascio di protoni prodotto da un sincrotrone. In particolare, CLOUD studia le interazioni che causano la formazione dell’aerosol che è la base delle nuvole. Quello che si è scoperto è che l’aerosol prodotto dalla combustione dei combustibili fossili, come l’ossido di zolfo che forma l’acido solforico, una volta in atmosfera si lega alle molecole organiche, prodotte ad esempio dalla vegetazione, per produrre nuove molecole. Queste molecole saranno i centri di nucleazione attorno ai quali si formeranno le gocce alla base delle nuvole. Secondo i dati raccolti da CLOUD, sembra che l’interazione con i raggi cosmici aiuti la formazione di queste nuove molecole. Conoscere i meccanismi alla base della formazione delle nubi può essere utile per capire quelli alla base del cambiamento climatico, poiché le nubi sono uno dei protagonisti del bilanciamento dello scambio di calore tra il Sole e la Terra.

Questo è un esempio di come lo studio della fisica delle particelle, partendo dalla ricerca di base, può avere ripercussioni pratiche che coinvolgono altri campi della scienza e la vita di tutti noi.

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