L’uso di marijuana altera regioni del cervello nei ragazzi

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Basta un po’ di marijuana per cambiare un cervello adolescente. Le scansioni di risonanza magnetica di alcuni soggetti di 14 anni che avevano consumato cannabis solo una volta o due evidenziano alterazioni nel volume di alcune aree cerebrali, come l’amigdala, coinvolta nelle emozioni, e nell’ippocampo, coinvolto nei processi di memoria e nelle abilità spaziali.

Il consumo occasionale di marijuana – anche solo per una o due volte – è in grado di produrre nel cervello dei ragazzi un incremento del volume di diverse regioni nel cervello.

E’ quanto sostiene uno studio pubblicato sul “Journal of Neuroscience” da un gruppo di ricercatori dell’Università del Vermont guidati da Hugh Garavan e colleghi di un’ampia collaborazione internazionale. Nell’ambito di un vasto programma di studio sullo sviluppo cerebrale e la salute mentale dei giovani europei chiamato IMAGEN, gli autori hanno analizzato con tecniche di imaging cerebrale il cervello di 46 quattordicenni di Irlanda, Inghilterra e Francia e Germania che avevano riferito di aver consumato cannabis una volta o due.

Confronto tra le scansioni di risonanza magnetica del un cervello di un adolescente che ha fatto uso limitato di marijuana (riga in alto) con quello di un adolescente che non ne ha fatto uso (riga in basso): sono evidenti le alterazione di volume in specifiche aree cerebrali (Credit: Orr et al., JNeurosci, 2019)
Confronto tra le scansioni di risonanza magnetica del un cervello di un adolescente che ha fatto uso limitato di marijuana (riga in alto) con quello di un adolescente che non ne ha fatto uso (riga in basso): sono evidenti le alterazione di volume in specifiche aree cerebrali (Credit: Orr et al., JNeurosci, 2019)

Le scansioni di risonanza magnetica hanno mostrato in questi consumatori saltuari di cannabis un volume maggiore della materia grigia nelle aree ricche di recettori per i cannabinoidi rispetto ai non consumatori.

Queste aree cerebrali sono quelle a cui si legano non solo gli endocannabinoidi endogeni che hanno la funzione di messaggeri del sistema nervoso centrale, ma anche cannabinoidi di sintesi come il tetraidrocannabinolo (THC), uno dei maggiori principi attivi contenuti nella cannabis.

Tra le aree più interessate dall’alterazione di volume vi erano l’amigdala, coinvolta nei processi di elaborazione della paura e delle altre emozioni, e l’ippocampo, coinvolto nella memoria e nelle abilità spaziali. Queste differenze erano indipendenti da diverse possibili variabili in grado di confondere il risultato, quali sesso, status socioeconomico, consumo di alcool e di nicotina.

Il risultato appare ancora più significativo se si considera che i ricercatori hanno dimostrato una correlazione tra l’alterazione della materia grigia negli utilizzatori di cannabis di basso livello e gli scarsi punteggi nei test di valutazione dell’ansia e delle capacità di ragionamento.

Questi nuovi risultati si vanno ad aggiungere a quelli di vari studi che hanno mostrato la vulnerabilità agli effetti della marijuana nell’adolescenza, un periodo di delicato sviluppo neurobiologico, in cui è evidente che il cervello riorganizza le sue connessioni, eliminando quelle più vecchie e stabilendone di nuove.

Anche se non è chiaro quale sia l’effetto neuroanatomico della cannabis che porta all’aumento di volume di alcune aree, Garavan e colleghi ipotizzano che possa influenzare questo processo di riorganizzazione delle connessioni.

Restano comunque sul tappeto ancora diverse questioni, e saranno dunque necessari altri studi per verificare se i risultati possono essere confermati su popolazioni più ampie e oltre i confini dell’Europa.

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