L’evoluzione dell’uomo, in breve. Domande e risposte per rinfrescarsi la memoria sul nostro albero genealogico dopo la scoperta di Homo naledi. Non è facile orientarsi nell’albero genealogico della specie umana. Ecco alcune domande e risposte per rinfrescarsi la memoria su quello che la scienza ha scoperto riguardo all’evoluzione dei nostri antenati.
Per una nutrita serie di ragioni. Le analisi sulle sequenze genetiche mostrano che il DNA dell’uomo è uguale quasi al 99 per cento a quelli di bonobo e scimpanzé, il che mostra con certezza quasi assoluta che veniamo tutti da un antenato comune. Migliaia di fossili documentano – con accuratezza sempre maggiore – l’esistenza di diverse specie di ominidi che si sono avvicendate sulla nostra linea evolutiva dopo che questa si è separata da quella degli altri primati antropomorfi e, più di recente, da quella di scimpanzé e bonobo.
La teoria dell’evoluzione contraddice la Bibbia?
Sì, ma solo se si interpreta in senso letterale il passo della Genesi in cui Dio crea contemporaneamente tutte le creature nella forma presente. La Chiesa cattolica e numerose altre confessioni cristiane ritengono che la teoria dell’evoluzione non contraddica un’interpretazione non letterale della Bibbia, e sia quindi compatibile con la fede.
Come funziona l’evoluzione?
Il DNA che costituisce i nostri geni – e quelli di tutti gli organismi viventi, tranne qualche virus – è soggetto a mutazioni casuali. Di tanto in tanto, quelle mutazioni modificano un tratto importante, come il colore del pelo di un animale o un determinato comportamento. Gli allevatori scelgono gli animali dotati dei tratti che ritengono preferibili e li fanno accoppiare: questa è la selezione artificiale. In natura, a effettuare la selezione sono l’ambiente e il sesso opposto. Ad esempio, se grazie a una mutazione un animale nasce con un mantello di un colore tale da fornirgli maggiore protezione contro i predatori, potrà vivere più a lungo e generare più figli. Se un elaborato rituale di corteggiamento risulta più gradito ai potenziali partner, anche questo comportamento garantirà un successo maggiore nella riproduzione. Con il tempo, queste mutazioni adattative si diffondono in una popolazione e cambiano le sue caratteristiche morfologiche; in un tempo sufficientemente lungo, possono anche dar vita a nuove specie.
Quali sono le tappe principali dell’evoluzione umana?
La linea evolutiva dell’uomo si è separata da quella delle scimmie antropomorfe almeno sette milioni di anni fa (secondo alcuni forse anche 13 milioni di anni fa). I primi nostri antenati capaci di camminare in posizione eretta furono le australopitecine, di cui la più nota è Australopithecus afarensis, la specie di Lucy, uno dei fossili più celebri del mondo (risalente a 3,2 milioni di anni fa). Il fossile più antico attribuibile a un membro del nostro genere, Homo, ha circa 2,8 milioni di anni e la sua scoperta è stata pubblicizzata solo pochi mesi fa.
Un tempo si riteneva che la capacità di fabbricare utensili fosse la caratteristica distintiva del nostro genere, ma di recente sono stati scoperti strumenti di pietra vecchi di tre milioni di anni: o a fabbricarli furono australopitecine come Lucy, o non abbiamo ancora trovato la specie primitiva di Homo che aveva già questa capacità. Come le australopitecine, le prime specie di Homo – come Homo erectus e Homo habilis – erano bipedi.
Quand’è che i nostri antenati riuscirono a controllare il fuoco?
Su questo non c’è ancora accordo fra gli scienziati: le stime vanno dagli 1,8 milioni agli 800 mila anni fa. Secondo una teoria, l’invenzione della cottura ci avrebbe permesso di ricavare più energia dalla carne, alimentando la prodigiosa crescita del nostro cervello. Le grandi dimensioni del cervello e l’abilità delle mani sarebbero a loro volta stati i prerequisiti dello sviluppo delle altre caratteristiche che distinguono l’essere umano dagli altri animali, come il linguaggio complesso, l’arte e l’agricoltura, tutti tratti emersi negli ultimi 100 mila anni.
Sia la documentazione fossile che l’analisi genetica mostrano che, fino a un periodo relativamente recente, l’evoluzione umana si è svolta tutta in Africa. Resta da accertare se il genere Homo sia comparso prima nell’Africa meridionale o in quella orientale. È importante sapere dove la nostra specie si sia evoluta perché l’ambiente a cui si è adattata ha contribuito a forgiare il corredo genetico che ancora oggi portiamo con noi. Sapere da dove veniamo è scrivere il primo capitolo della storia che ci ha condotto dove siamo oggi.
Circa 60 mila anni fa – anche qui genetica e fossili concordano – gli esseri umani moderni lasciarono l’Africa e cominciarono a colonizzare il mondo intero. Le prove genetiche mostrano che poco dopo aver lasciato l’Africa, si accoppiarono in qualche misura con in Neandertal e con i Denisoviani, una popolazione asiatica ancora misteriosa. Homo sapiens è oggi l’unica specie umana rimasta sulla Terra, ma lo è da meno di 30 mila anni.
Perché gli scienziati non hanno mai trovato l'”anello mancante” tra l’uomo e la scimmia?
Perché non esiste. L’uomo non discende dagli scimpanzé, o da un altro primate antropomorfo. Quello che ancora non sappiamo è quale sia stato l’ultimo antenato in comune, il progenitore da cui discendono esseri umani e scimpanzé.
L’evoluzione è finita, per noi o per gli altri primati?
Sicuramente no. Gli esseri umani continuano a evolvere, anche se oggi l’evoluzione non avviene più soltanto sul piano biologico ma anche su quello culturale e tecnologico. Anche gli altri animali, primati inclusi, continuano a evolvere; soprattutto oggi, per affrontare i cambiamenti radicali che l’uomo ha impresso al loro ambiente.
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