Espansione dell’Universo: come viene superata la velocità della luce! La condizione che niente può muoversi più veloce della luce si applica solo al moto di oggetti attraverso lo spazio. La velocità con la quale lo stesso spazio di espande – velocità per unità di distanza – non ha invece dei limiti fisici superiori.
Una delle regole fondamentali della fisica – dimostrata da Einstein più di 100 anni fa – è che nessun oggetto nell’Universo può viaggiare a una velocità superiore a quella della luce.
Questa velocità fondamentale, pari a 299.792.458 m/s, è la velocità alla quale tutte le particelle prive di massa devono viaggiare attraverso il vuoto dello spazio. Un oggetto dotato di massa può solamente avvicinarsi a quella velocità (senza mai raggiungerla); se un oggetto viaggia attraverso un mezzo diverso dal vuoto, la velocità deve essere sempre inferiore a quel limite cosmico.
Fatto questo assunto, ci si chiede quindi come mai siamo in grado di vedere oggetti del nostro Universo, formatisi con il Big Bang circa 13.8 miliardi di anni fa e che distano da noi 46 miliardi di anni luce? Ovvero, perché l’intreccio spazio-tempo si espande più velocemente rispetto alla velocità della luce?
È uno dei concetti più complicati della fisica, ma cerchiamo di darne una spiegazione.
La teoria della Relatività Speciale, proposta da Einstein nel 1905, è stata allo stesso tempo semplice e rivoluzionaria. Tutto è iniziato considerando un fenomeno con il quale ognuno di noi interagisce quotidianamente: un’onda di luce.
Per molti decenni, Einstein e i suoi contemporanei avevano interpretato la luce come un’onda elettromagnetica: un’onda portatrice di energia, con campi elettrici e magnetici oscillanti e in fase. Questa onda, nel vuoto, si spostava sempre alla stessa velocità: la velocità della luce.
Quest’ultima parte ha sempre destato perplessità fra gli scienziati. Se ci troviamo sopra un treno che si muove a 150 Km/h e lanciamo una palla davanti a noi alla velocità di 150 km/h, un osservatore posto all’esterno del treno vedrà la palla muoversi alla velocità di 300 km/h. La luce invece non ha questo comportamento: si muove sempre con la stessa velocità attraverso uno spazio vuoto, qualunque sia la prospettiva di osservazione.
Questo fenomeno è stato dimostrato con elevata precisione intorno al 1880 dallo scienziato Albert Michelson e dal suo assistente Edward Morley. Nel loro esperimento, hanno fatto passare un fascio di luce coerente (ovvero della stessa lunghezza d’onda) attraverso un dispositivo che separa la luce in due componenti fra di loro perpendicolari. La luce quindi svolge due percorsi identici, perpendicolari fra di loro, fino a raggiungere uno specchio; qui viene riflessa e si ricombina creando uno schema di interferenza.
Questo è il punto focale del fenomeno: se uno dei due percorsi è più breve dell’altro, o se la luce viaggia a velocità superiore (o inferiore) in una direzione piuttosto che in un’altra, lo schema di interferenza dovrebbe essere spostato.
Ciò accade, con grande precisione, nei rilevatori di onde gravitazionali LIGO e VIRGO, dove le onde gravitazionali che li percorrono modificano la lunghezza del percorso delle due diverse direzioni. Ma, anche considerando il moto della Terra rispetto al Sole a circa 30 km/s, lo schema di interferenza osservato nell’esperimento di Michelson-Morley non subisce variazioni.
Interferometro di Michelson
Questo è un risultato importante perché ci dice che la velocità della luce è indipendente da ogni moto relativo attraverso lo spazio. Non ha importanza dove ci si trovi, quanto velocemente o in quale direzione si stia andando attraverso l’Universo; si osserveranno sempre onde di luce che viaggiano attraverso lo spazio con la stessa velocità limite: la velocità della luce nel vuoto. Se l’osservatore e la sorgente di luce si allontanano, la lunghezza d’onda della luce si sposterà verso la frequenza del rosso; se invece osservatore e sorgente si avvicinano, la lunghezza d’onda si sposterà verso la frequenza del blu. Ma la velocità della luce non cambierà mai attraverso lo spazio vuoto.
Quando fu proposta da Einstein, l’idea fu certamente rivoluzionaria, e, per decenni, non fu accettata da diversi fisici. Il che, ovviamente, non impedì alla teoria di essere successivamente verificata. Rimaneva comunque ancora un problema: incorporare la gravitazione dentro l’equazione.
Prima dell’avvento di Einstein, la gravitazione era un fenomeno newtoniano. Secondo lo scienziato inglese, lo spazio e il tempo erano delle entità assolute, non relative. La forza di attrazione gravitazionale esercitata tra due corpi dotati di massa doveva propagarsi con velocità infinita, piuttosto che essere limitata dalla velocità della luce.
La più grande rivoluzione apportata da Einstein alla fisica fu proprio sovvertire questa interpretazione della gravità. Ovviamente possiamo utilizzare la gravitazione newtoniana come una buona approssimazione nella gran parte delle condizioni, ma nelle situazioni in cui la materia o l’energia passano molto vicini a una grande massa, l’approssimazione di Newton perde la sua efficacia.
L’orbita di Mercurio, per esempio, ha un periodo di precessione superiore rispetto a quanto previsto da Newton. La luce che transita vicino al Sole durante un’eclissi subisce una curvatura superiore rispetto a quanto riesca a spiegare la teoria newtoniana.
Così come è stato chiaramente dimostrato, la Relatività Generale di Einstein – dove la massa e l’energia curvano lo spazio e lo spazio curvato determina a sua volta il moto della massa e dell’energia – ha superato la gravità newtoniana.
Questa nuova concettualizzazione della gravitazione e della configurazione dello spazio-tempo ha portato con sé un’altra scoperta: il fatto che il tessuto dell’Universo, se fosse pieno di quantità di materia ed energia, in maniera approssimativamente uguale, in ogni suo punto, non potrebbe essere statico e immutevole.
Invece, come le osservazioni già negli anni ‘20 avevano iniziato a dimostrare, vi era una relazione sistematica tra la nostra distanza da un oggetto e la quantità della sua luce rossa osservata. Sicuramente, le galassie hanno un moto relativo attraverso lo spazio, con una velocità che non supera qualche centinaio di km/s. Tuttavia, quando si osservano i reali spostamenti verso il rosso di galassie distanti, essi corrispondono a velocità di recessione di gran lunga superiori a quei valori.
La ragione per cui i valori dello spostamento verso il rosso, a grandi distanze, sono quelli effettivamente osservati, dipende dal fatto che lo stesso tessuto dell’Universo si sta espandendo. Come l’uvetta all’interno di un ammasso di pasta in lievitazione, ogni galassia dell’Universo vede le altre galassie allontanarsi, con una velocità che aumenta all’aumentare della distanza.
Tutto ciò accade perché l’impasto – nel nostro caso il tessuto dello spazio-tempo – si sta espandendo.
Nello stesso tempo però, poiché questi oggetti sono galassie, esse contengono delle stelle che emettono della luce. Le stelle cominciano a emettere luce, con continuità, dal momento della loro formazione; ma noi possiamo osservare questa luce solo quando arriva ai nostri rilevatori, dopo che essa ha viaggiato attraverso l’Universo in espansione.
Questo significa che vi sono galassie la cui luce viene vista per la prima volta sulla Terra anche in questo momento, dopo un viaggio attraverso l’Universo di circa 14 miliardi di anni. La prime stelle e le prime galassie si sono formate qualche centinaio di milioni di anni dopo il Big Bang, e abbiamo scoperto galassie fin da quando l’Universo era al 3% della sua vita attuale. E tuttavia, quella luce ha subito un così forte redshisft dall’Universo in espansione, che quando è stata emessa la luce era ultravioletta, ma quando abbiamo potuto osservarla era già lontana dall’infrarosso.
Se ci domandassimo che connessione ha tutto ciò con la velocità di questa galassia distante che osserviamo solo adesso, potremmo concludere che questa galassia si sta allontanando da noi con una velocità superiore a quella della luce. Ma in realtà, non solo quella galassia non si sta muovendo attraverso l’Universo con una velocità relativisticamente impossibile, ma addirittura essa non si muove affatto! Queste galassie hanno velocità lontane da quella della luce nel vuoto, muovendosi attraverso lo spazio con velocità che raggiungono appena il 2% della velocità della luce.
Però lo spazio stesso si sta espandendo, e ciò è rivelato dall’eccesso di spostamento verso il rosso che noi osserviamo. L’espansione dello spazio non avviene però con una determinata velocità: esso si espande a una velocità per unità di distanza: un tasso di velocità diverso. Quando si vedono numeri come 67 km/s/Mpc o 73 km/s/Mpc (i due valori più comunemente misurati dai cosmologi), queste sono velocità (km/s) per unità di distanza (Mpc, circa 3.3 milioni di anni luce).
La condizione che niente può muoversi più veloce della luce si applica solo al moto di oggetti attraverso lo spazio. La velocità con la quale lo stesso spazio di espande – velocità per unità di distanza – non ha invece dei limiti fisici superiori.
Potrebbe sembrare strano considerare tutto ciò che comporta questa situazione.
A causa dell’esistenza dell’energia oscura, la velocità di espansione non può mai essere uguale a zero; essa avrà sempre un valore finito e positivo. Questo significa che sebbene siano passati “solo” 13.8 miliardi dal Big Bang, possiamo osservare la luce emessa da oggetti che si trovano anche a 46.1 miliardi di anni luce da noi. E inoltre, ciò significa che, al di là di una frazione di quella distanza – circa 18 miliardi di anni luce – nessun oggetto lanciato oggi dalla Terra raggiungerà mai quella distanza.
Ma di fatto nessun oggetto oggi si muove attraverso l’Universo con una velocità superiore a quella della luce. L’universo si sta espandendo, ma l’espansione non ha una sua velocità; abbiamo detto che possiede una velocità per unità di distanza, come dire una frequenza, o l’inverso di un tempo.
Tra i fenomeni più sorprendenti dell’Universo vi è che, operando le dovute conversioni e prendendo l’inverso della velocità di espansione, è possibile calcolare il tempo di uscita. Questo tempo è approssimativamente pari a 13,8 miliardi di anni: proprio l’età dell’Universo.
Non esiste ancora una spiegazione scientifica per questo risultato: gli scienziati la considerano un’affascinante coincidenza cosmica.
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