Negli ultimi 25 anni, il livello medio degli oceani è salito. In alcune regioni del mondo, l’innalzamento è stato doppio rispetto alla media della crescita. Questo fenomeno è stato causato almeno in parte dal cambiamento climatico generato dalle attività antropiche, e quindi ci dobbiamo aspettare che si riproduca anche nei prossimi decenni. È il risultato di uno studio pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” da John Fasullo del National Center for Atmospheric Research (NCAR) e Steve Nerem dell’Università del Colorado a Boulder, entrambi negli Stati Uniti.
L’innalzamento del livello degli oceani è un fenomeno complesso, a cui concorrono diversi fattori. Il calore immagazzinato nelle masse d’acqua, innanzitutto, cambia la densità dell’acqua stessa, ed è disperso su tutto il globo per effetto delle correnti e dei venti. Notevole è anche il contributo delle calotte polari, che perdono massa via via che il ghiaccio fonde.
Ci sono poi i cicli naturali di variabilità climatica degli oceani come El Niño, un intenso aumento della temperatura della porzione centro-meridionale dell’Oceano Pacifico nei mesi di dicembre e gennaio, che si verifica in media ogni cinque anni, e l’Oscillazione pacifica decadale (PDO), che si manifesta con fasi di raffreddamento e riscaldamento del Pacifico settentrionale ogni 20-30 anni.
Tenuto conto di tutti questi fattori, non è quindi sorprendente che il sollevamento degli oceani non sia uniforme. Resta però da capire quanta parte abbia la componente naturale e quanta il riscaldamento globale dovuto alle attività antropiche.
I due autori, entrambi membri del NASA Sea Level Change Team, hanno analizzato i dati da satellite relativi al livello dei mari a partire dal 1993. In questo modo hanno ricostruito non solo l’incremento medio globale, ma anche le deviazioni delle diverse regioni del mondo rispetto alla media. Per esempio, negli oceani che circondano il continente antartico e lungo le coste occidentali degli Stati Uniti si è verificato un incremento inferiore alla media, mentre le costa orientale degli Stati Uniti, così come il Sudest Asiatico, le Filippine e l’Indonesia, hanno sperimentato un fenomeno opposto.
Fasullo e Nerem hanno poi usato due diversi modelli climatologici, il Community Earth System Model dell’NCAR e l’Earth System Model della National Oceanic and Atmospheric Administration, per separare la componente naturale da quella artificiale della variabilità climatica nell’incremento del livello degli oceani. La conclusione è che, nelle regioni che si sono discostate dall’incremento medio del livello oceanico, circa metà della variazione può essere attribuita al cambiamento climatico. Inoltre, spesso i fattori artificiali sembrano riprodurre quelli naturali.
“Abbiamo scoperto che il livello dell’oceano risponde al cambiamento climatico in modo simile a quanto avviene con l’Oscillazione pacifica decadale”, ha spiegato Fasullo. “Questo spiega anche perché è sempre stato così difficile determinare quanto della variazione fosse dovuto alla componente naturale e quanto no”.
“Ora che sappiamo che il cambiamento climatico sta giocando un ruolo nella creazione di questi schemi di variabilità regionali, possiamo prevedere che questi stessi schemi possano persistere o addirittura intensificarsi in futuro se i cambiamenti climatici continueranno senza sosta”, ha concluso il ricercatore. “Con i livelli del mare che saliranno di 60-70 centimetri entro la fine del secolo, in media, le informazioni sulle differenze regionali previste potrebbero essere cruciali per preservare le comunità costiere”.
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