Spazio: l’ultima illusione. L’idea intuitiva che gli oggetti si influenzano a vicenda perché sono fisicamente vicini sta per diventare un’altra di quelle convinzioni che si rivelano sbagliate quando si guarda più in profondità.
Molti dei grandi progressi della scienza sono segnati dalla scoperta che un aspetto della natura che ritenevamo fondamentale è in realtà un’illusione, dovuta alla grossolanità delle nostre percezioni sensoriali. Così, l’aria e l’acqua ci sembrano fluidi continui, ma a un esame più profondo scopriamo che sono fatti di atomi. La Terra ci appare immobile, ma una comprensione più profonda ci insegna che si muove rispetto al Sole e alla galassia.
Un’illusione persistente è che gli oggetti fisici interagiscano solo con altri oggetti vicini, il cosiddetto principio di località. Possiamo esprimerlo più precisamente con la legge che l’intensità delle forze tra due oggetti diminuisce rapidamente, in funzione di una certa potenza della distanza tra di essi.
Ciò può essere spiegato ipotizzando che i corpi non interagiscano direttamente, ma solo attraverso la mediazione di un campo, come un campo elettromagnetico, che si propaga da un corpo all’altro. A mano a mano che i campi si propagano, si allargano e con le linee di campo coprono un’area sempre maggiore, fornendo una spiegazione naturale per le leggi che dicono che le forze tra le cariche e le masse diminuiscono come il quadrato della distanza tra esse.
La località è un aspetto di un’illusione ancora più avvincente: l’illusione che esistiamo all’interno di uno spazio assoluto, rispetto al quale marchiamo le nostre posizioni mentre ci muoviamo “attraverso” di esso. Così, Newton riteneva che il movimento in sostanza fosse definito come un cambiamento di posizione rispetto allo spazio assoluto.
Se questo sembra oscuro – perché nessuna misura può stabilire la relazione di un oggetto fisico con questo spazio assoluto immaginato – Newton ci ha assicurato che lo spazio assoluto è visto da Dio, rendendo quindi la vostra posizione relativamente a esso un aspetto della natura divina del mondo. Noi umani dobbiamo accontentarci di posizioni e movimenti relativi, che sono definiti in relazione agli oggetti fisici che possiamo vedere.
Leibniz spezzò la confusione dichiarando che tutto ciò che esiste sono posizioni e movimenti relativi, affermando che, per principio, ogni scienza del movimento accettabile deve essere formulata solo in termini di movimenti relativi. E questo, dopo due secoli di attesa, è ciò che ci ha dato Einstein con la sua teoria generale della relatività. In questa gloriosa costruzione, lo spazio è inserito nello spazio-tempo, che è spiegabile come una rete di relazioni in evoluzione dinamica.
E che cosa definisce queste relazioni? Nient’altro che la causalità. Gli elementi dello spazio-tempo sono eventi – l’ultima espressione della località – e ognuno di essi è causato da eventi del loro passato. Ogni evento diventerà anche causa di eventi nel futuro. Nella geometria dello spazio-tempo la maggior parte delle informazioni è in realtà una codifica delle relazioni di causalità che mettono in relazione gli eventi.
Vediamo quindi che l’idea che le forze fisiche debbano agire localmente è una conseguenza di un principio più profondo, quello secondo cui gli effetti fisici sono dovuti a processi causali. E i principi di base della teoria della relatività insistono sul fatto che le cause possono propagarsi solo attraverso lo spazio a una velocità finita, che non può superare quella della luce. E’ quello che chiamiamo principio di causalità relativistica.
Questo principio sembra così naturale che deve essere vero. Ma fermiamoci un momento. Di tutti gli aspetti strani della fisica quantistica finora scoperti, il più strano di tutti è forse la scioccante scoperta che il principio di causalità relativistica è violato dai fenomeni quantistici.
In linea di massima, se due particelle interagiscono e poi si separano, allontanandosi l’una dall’altra, possono tuttavia continuare a condividere proprietà di uno strano genere, che possono essere attribuite alla coppia senza che alcuno dei singoli elementi abbia di per sé proprietà definite. Diciamo che le due particelle sono entangled.
Quando due particelle si trovano in uno stato entangled, uno sperimentatore può, a quanto pare, influenzare le proprietà di una delle particelle, in modo diretto e immediato, scegliendo di misurare alcune particolari proprietà corrispondenti dell’altra. Non importa affatto che sarebbe necessario un segnale molto più veloce della luce per esercitare direttamente quell’influenza.
Tutto questo è stato dimostrato in molti esperimenti condotti a partire dagli anni settanta, che testano una nozione di località formulata nel 1964 da John Bell: tutti i risultati mostrano che le coppie entangled violano quel concetto di località.
Nella sua forma attuale, la meccanica quantistica prevede solo medie statistiche per i risultati di molti tipi di esperimenti, compresi questi. Di conseguenza, non è possibile usare la non località presente in coppie entangled per inviare un segnale più velocemente della luce. Ma molti fisici, condividendo un’ambizione che risale a Einstein, de Brgolie, Schrödinger e ad altri inventori della meccanica quantistica, aspirano a scoprire una versione migliorata della teoria quantistica.
Questa versione dovrebbe approfondire e sostituire l’attuale teoria statistica con una teoria più completa, in grado di fornire una descrizione completa ed esatta di ciò che accade in ogni singolo processo quantistico. Affinché una simile teoria possa funzionare, però, dovrebbe basarsi su influenze che viaggiano a velocità arbitrariamente più elevate della luce, distruggendo così il principio di causalità relativistica e le nostre nozioni intuitive di influenza locale.
È possibile una comprensione più completa della fisica quantistica? E come dobbiamo cercarla? Credo che non solo sia possibile, ma che sia il prossimo inevitabile passo avanti nel progresso della fisica. Credo che il completamento della meccanica quantistica sarà una parte importante della risoluzione di un altro problema profondo: quello di unificare le nostre concezioni della gravità, dello spazio-tempo e dei quanti, per produrre una teoria quantistica della gravità.
La ragione è che ci sono buone prove che la stessa teoria quantistica della gravità genererà grandi violazioni della località. E, come abbiamo proposto per la prima volta nel 2003 Fotini Markopoulou ed io, le violazioni della località imposteci dalla gravità quantistica sono esattamente ciò che serve per spiegare la non località causata dall’entanglement quantistico.
Se vogliamo avere una fisica completa, dobbiamo unificare il quadro geometrico dello spazio-tempo dato dalla relatività generale con la fisica quantistica. Ci sono alcune prove teoriche che questo progetto di creare una teoria quantistica della gravità richieda che lo spazio e lo spazio-tempo diventino qualcosa di discreto e costruito da atomi finiti della geometria.
Allo stesso modo in cui un liquido è solo una descrizione dei moti collettivi di miriadi di atomi, lo spazio e lo spazio-tempo si riveleranno solo un modo per parlare delle proprietà collettive di un gran numero di eventi atomici. Le loro costanti entrate e uscite dall’essere, che causano gli eventi successivi via via che si allontanano nel passato, determinano la costruzione continua del mondo che noi chiamiamo flusso del tempo.
Lo scopo di una teoria quantistica della gravità è quindi anzitutto quello di ipotizzare le leggi che governano gli eventi elementari, in virtù delle quali essi nascono continuamente e poi si allontanano nel passato. Poi dobbiamo mostrare come emerga un quadro su larga scala, in cui questi eventi discreti vengono inseriti in una descrizione emergente di uno spazio-tempo omogeneo e continuo, come è descritto dalla teoria generale della relatività di Einstein del 1915.
Inizialmente non c’è lo spazio, ma solo una rete di singoli eventi elementari, insieme alle relazioni che esprimono quali di essi sono stati le cause dirette di quali altri eventi. Deve emergere la nozione di flusso di eventi considerati collettivamente che dà luogo a una descrizione fluida in termini di geometria di uno spazio-tempo, e l’aspetto più importante di questo è la località. Deve emergere la nozione di distanza, e in modo tale che gli eventi vicini siano, in media, più facilmente influenzati l’uno dall’altro. Capire bene tutto questo è il Santo Graal dei teorici della gravità quantistica.
Si noti che se questo è corretto, ci sono due nozioni di località: una località fondamentale, che si basa sui fatti reali di cui gli eventi fondamentali sono stati causa, e una nozione approssimativa, collettiva, emergente, degli eventi vicini l’uno all’altro nello spazio e nello spazio-tempo.
La familiare nozione macroscopica di distanza si basa su una media collettiva di tutta la miriade di processi causali fondamentali. Per avere un’idea di quanto sia pervasiva questa media, ci aspettiamo che durante ogni secondo ci siano circa 10120 eventi elementari che avvengono all’interno di ogni centimetro cubo di spazio.
Infatti, un modo per avvicinarsi alla gravità quantistica è mirare a derivare le equazioni di Einstein, che sono le leggi della relatività generale che si applicano allo spaziotempo, dalle leggi della termodinamica, applicate a miriadi di eventi elementari. Questa strategia fu introdotta da Ted Jacobson nel 1995 in una dei pochi articoli tenuti in considerazione dai teorici della gravità quantistica di qualsiasi orientamento.
Ma qui abbiamo una sorpresa e, molto probabilmente, un’opportunità. La nozione di prossimità collettiva e su larga scala serve solo a dar conto della nozione fondamentale di causalità quando è calcolata come media di un gran numero di eventi. Questo dà ai singoli eventi fondamentali e alle loro relazioni causali una grande libertà di discostarsi dalle medie.
Per esempio, scegliamo solo due eventi elementari, uno nella tazza di caffè che state bevendo e l’altro in una tazza di quello che bevono su uno dei pianeti di Proxima Centauri. Questi eventi possono essere separati da quattro anni luce, ma nulla impedisce a uno di essere una causa elementare dell’altro.
Possiamo scegliere questi due eventi in modo che siano quasi simultanei mentre noi (o quelli di Proxima) misuriamo il tempo. Quindi, violare i principi delle teorie della relatività di Einstein significa far sì che uno di questi eventi sia la causa dell’altro. Ma non si tratta di una contraddizione se consideriamo le leggi della relatività come regolarità emergenti che governano la media collettiva su larga scala. E questo è il modo in cui consideriamo le leggi della termodinamica come derivanti da medie su grandi collezioni di atomi, i cui individui seguono leggi diverse.
Quando una legge emerge da una media statistica, ci sono sempre eventi relativamente rari, in cui i singoli atomi violano la regola che vale per la media. Noi le chiamiamo fluttuazioni. Un buon esempio è la tendenza delle collezioni di atomi a formare modelli di cristalli regolari quando vengono raffreddati. Ma di tanto in tanto un atomo finisce nel posto sbagliato, interrompendo la bella simmetria della disposizione dei cristalli. Diciamo che il motivo diventa disordinato.
Posso quindi riassumere la storia che ho raccontato dicendo che quando la località, e lo spazio stesso, emergono dalla media dei processi fondamentali che coinvolgono una miriade di eventi individuali, è inevitabile che la località sia disordinata.
Per lo più, le influenze saranno locali, perché la maggior parte del tempo, gli eventi causalmente correlati finiranno vicini l’uno all’altro nella descrizione approssimativa emergente che chiamiamo spazio. Ma ci saranno molte coppie di eventi che sono causalmente correlati, che finiranno lontani l’uno dall’altro, disordinando così lo spazio e la località.
Questo disordine della località potrebbe servire a spiegare la non-località quantistica insita nelle particelle entangled? Credo che la risposta sia sì, e infatti abbiamo dimostrato che questo è il caso in due diversi modelli di completamenti fondamentali della meccanica quantistica.
I dettagli non sono importanti, specialmente in questa fase iniziale. Ma la lezione da trarre è che l’idea intuitiva che gli oggetti si influenzano a vicenda perché sono vicini nello spazio sta per diventare un’altra di quelle facili credenze che si rivelano sbagliate quando si guarda più in profondità. Lo spazio continuo e liscio diventerà presto un’illusione che nasconde un piccolo e complesso mondo di interazioni causali, che non vivono nello spazio, ma che definiscono e creano lo spazio mentre creano il futuro dal presente.
L’autore Lee Smolin, fondatore della facoltà presso il Perimeter Institute for Theoretical Physics a Waterloo, in Ontario, insegna di fisica all’Università di Waterloo. Oltre al suo lavoro sulla gravità quantistica, si interessa di fisica delle particelle elementari, cosmologia e fondamenti della teoria quantistica. È autore di quattro libri che approfondiscono questioni filosofiche sollevate dalla ricerca in fisica e cosmologia, tra cui La rinascita del tempo (Einaudi, 2014).
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 4 aprile 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)
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