È partito Prisma, il laboratorio chimico orbitante dell’Agenzia spaziale italiana. Il nuovo, rivoluzionario satellite dell’Asi (Agenzia spaziale italiana) è entrato in orbita a 615 km dalla Terra. Siamo andati a seguire da vicino il suo lancio, dalla base in Guyana francese. Ecco perché è così importante.
“Trois, deux, un… Top!”. La voce risuona nell’altoparlante di una terrazza affollata da decine di persone armate di telefonini. Uno squarcio di luce bianca e arancione squarcia il buio della notte, sollevando un’enorme nuvola di polvere. Insieme al lungo e gorgogliante boato di un’esplosione.
Una base nella giungla. L’insolito conto alla rovescia, in francese (“top” equivale all’inglese “Go!”) ha una ragione: la voce è quella di Raymond Boyce, direttore delle operazioni alla base spaziale di Kourou. Siamo infatti nel Centro spaziale europeo, nella Guyana Francese, in America meridionale. Essendo vicino all’equatore, sfrutta l’energia associata alla rotazione della Terra, che imprime una velocità aggiuntiva al lancio, consentendo di risparmiare il 20% di propellente (e di peso da mettere in orbita). Una base immensa, ampia 700 chilometri quadrati (quasi 4 volte la superficie del comune di Milano) che si estende fra la giungla lussureggiante e la costa dell’Oceano Atlantico.
Siamo qui per assistere al lancio di un nuovo, rivoluzionario satellite dell’Asi (Agenzia spaziale italiana) che da ieri notte è entrato in orbita a 615 km dalla Terra. Si chiama Prisma, proprio come la rubrica delle news di Focus, ed è un gioiello tecnologico italiano. È stato realizzato da un consorzio di imprese guidato da OHB Italia, responsabile della missione, e da Leonardo che ha realizzato la preziosa strumentazione di bordo.
Ecco il momento del lancio:
Le misure di Prisma. Grande quanto una vecchia cabina telefonica (3 metri di larghezza per 1 m di lunghezza e altezza), pesante come una berlina (830 kg) ma velocissimo (sfreccia a 27mila km orari), è un vero laboratorio orbitante: riesce a determinare la composizione chimico-fisica degli oggetti ripresi dai suoi sensori ottici. Altri satelliti in orbita riescono a rilevare una decina di bande spettrali; Prisma, invece, entra direttamente nella storia rompendo ogni record nell’osservazione della Terra: riesce a vedere 240 bande, coprendo praticamente tutte le lunghezze d’onda dello spettro del visibile. Potrà controllare lo stato di salute del nostro pianeta.
Per garantire la riuscita di questo lancio, avvenuto giovedì notte alle 22:50 (le 2:50 in Italia), sono mobilitate centinaia di persone. Il tratto di mare di fronte al Centro, fino a 50 km dalla costa, è off limits, presidiato dalle motovedette della Marina francese. Mentre militari della Legione straniera sono appostati a ogni incrocio, aggiungendosi ai controlli di sicurezza ossessivi che precedono ogni accesso agli edifici o ai bus navetta del Centro.
Il razzo Vega con il satellite Prisma
Ben custodito. Il satellite Prisma è arrivato qui a gennaio in aereo, e questi mesi sono serviti ad assemblare e testare il lanciatore Vega, altro gioiello italiano, alto 30 metri. Abbiamo avuto il raro privilegio di vederlo da vicino, salendo in cima a una torre grigia, alta come un palazzo di 10 piani, che lo custodisce da pioggia e umidità. Eccolo in questo video di “fortuna” che siamo riusciti a girare… dall’ascensore!
Un dettaglio salta subito all’occhio, guardando l’ogiva in cima al razzo, quella che racchiude il satellite: intorno al logo della missione, uno sfondo blu con un arcobaleno al centro, campeggiano decine di scarabocchi. Sono le firme degli ingegneri che hanno seguito Prisma fino a qui in Guyana.
Nonostante le dimensioni ragguardevoli, l’edificio che protegge il lanciatore è semovente: 3 ore prima del lancio si allontana dal razzo in 45 minuti, scorrendo su binari. Ai vertici resteranno 4 piloni di metallo: sono parafulmini che isolano il Vega come una gabbia di Faraday.
Lanciare un carico nello spazio non è un’impresa semplice. Tanto che la sala di controllo non è una ma due: uno è il Centro di lancio CDL3, a pochi km dal lanciatore. Segue tutti i parametri del razzo, ed è situato in un bunker che 30 minuti prima del lancio si chiude ermeticamente.
L’altro è la Sala di Controllo Jupiter, dove siamo noi, a 12 km di distanza: ha un grande monitor centrale e 4 file di tecnici davanti ai monitor. Proprio come nei film. E proprio come nei film, c’è sempre qualcosa che potrebbe andare storto.
Rinviato. Il primo contrattempo si era registrato la scorsa settimana: il lancio era previsto il 14 marzo, ma è stato annullato solo due giorni prima. I tecnici hanno sollevato dubbi sulla traiettoria dei primi 20 secondi di lancio, e hanno preferito rifare tutti i calcoli per non mandare in fumo l’operazione, che è costata 126 milioni di euro (di cui 80 solo per il lancio).
L’ultimo colpo di scena è arrivato durante la cena alla vigilia del lancio: le porte dell’edificio S5 si erano bloccate, e la procedura di evacuazione della zona è iniziata in grande ritardo. Si è rischiato di rimandare il lancio alla notte successiva: per mandarlo nell’orbita desiderata, bisogna lanciarlo a una data ora della notte. Ecco perché ogni lancio è preceduto da un rito scaramantico la sera precedente: una partita di calcio fra i tecnici. Ed ecco perché il tradizionale applauso in sala di controllo, con abbracci e pacche sulle spalle, è avvenuto solo dopo 55 minuti dal lancio: quando l’ogiva di Vega si è aperta, lasciando Prisma nell’orbita desiderata.
Prisma è un acronimo: sta per “Precursore iperspettrale della missione applicativa”. In pratica, sarà un laboratorio chimico orbitante, capace di individuare le sostanze presenti sul suolo o nelle acque scomponendo nei vari colori la luce che essi riflettono.
Ma è davvero come un prisma: «Ogni sostanza ha una propria firma nello spettro luminoso», spiega Enrico Suetta, responsabile dei sistemi elettronici spaziali di Leonardo. «In pratica, ogni molecola riflette solo alcune porzioni dello spettro luminoso: quindi, analizzando la luce riflessa riusciamo a dedurre la composizione chimica di quanto osserviamo».
Sarà in grado di scattare fino a 223 immagini al giorno. Il satellite farà ogni giorno 16 volte il giro del mondo, ma si concentrerà sull’Europa e sull’Italia, che sorvolerà in 4 minuti, fotografando una striscia di territorio (in gergo, una “spazzolata”) larga 30 km. Fornirà immagini finali della risoluzione di 5 metri.
Made in Italy. «La prima idea di questo progetto risale a 12 anni fa», dice Roberto Formaro, responsabile unità tecnologie di Asi. «L’abbiamo realizzato negli ultimi anni col lavoro di 200 ingegneri». E ora, aggiunge Alessandro Profumo, amministratore delegato di Leonardo, «potremo garantire alla comunità scientifica l’accesso a dati preziosi per lo sviluppo sostenibile». Il satellite, infatti, che sarà controllato dal centro spaziale di Leonardo-Telespazio al Fucino, in Abruzzo, mentre l’elaborazione dei dati sarà fatta a Matera, avrà numerosi campi d’applicazione. Potrà segnalare se una foresta è secca e a rischio di incendi, Potrà verificare se un campo agricolo è povero di sostanze nutritive. Potrà rilevare inquinanti o crescita di alghe in mare. E molto altro ancora. Ma per farlo bisogna aspettare il prossimo 22 giugno, quando si concluderà la fase di test e Prisma enterà in servizio.
I suoi rilevamenti saranno visibili sul sito dedicato: www.prisma-i.it.
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