L’Autorità garante delle comunicazioni ha diffuso la
prima indagine conoscitiva su come permettere l’evoluzione delle reti wireless e mobili verso il 5G, anche utilizzando nuove frequenze (spettro radio sopra i 6 GHz). Le frequenze ‘madrè per il 5G saranno però, in Europa, i 700 MHz ora utilizzati dalle tivù (il
documento in
.pdf). A tal proposito, sempre nei giorni scorsi anche l’Antitrust ha avviato una indagine conoscitiva, con cui dichiaratamente chiede che l’Italia parta subito con un piano di transizione verso il 5G. Per farlo presto e bene: questo include anche ridurre i disagi per gli utenti televisivi.
A questo riguardo è arrivato pochi giorni fa un accordo fondamentale, in sede di Unione europea (negoziati del trilogo: Consiglio, Parlamento e Commissione Ue), sui principi per liberare i 700 MHz. Le parti, anche su indicazioni dell’Italia, si sono accordate per concedere tempo agli Stati fino al 2022, invece che al 2020, per liberare le frequenze nei Paesi dove ci sono alcune circostanze particolari. E sono circostanze tipiche della situazione italiana, per via del complesso quadro di assegnazione delle frequenze alle tv e alla grande abbondanza di reti locali. Sia agli operatori tv sia a quelli telefonici fa comodo avere più tempo per la transizione e gli investimenti necessari.
Non è finita: anche le frequenze 3.6-3.8 GHz potrebbero andare per le reti 5G. Una ipotesi (avanzata qualche settimana fa in sede europea) che- a quanto risulta a Repubblica- ha messo in stand by il bando da tempo atteso previsto per assegnare subito quelle frequenze agli operatori mobili e di reti fixed wireless access. Il ministero dello Sviluppo economico starebbe infatti valutando di riformulare le condizioni del bando alla luce della possibilità di usare quelle frequenze per il 5G.
Con il 5G è in gioco la possibilità dell’Italia di restare al passo con l’evoluzione tecnologica, dato che le reti mobili saranno sempre più essenziali negli scenari futuri.
Per esempio, a quanto emerso da diverse
sperimentazioni, le reti mobili di quinta generazione potranno farci assistere a un concerto o a una partita a distanza, con effetto presenza, grazie a visori di realtà virtuale. Connetteranno robot a una intelligenza centralizzata, per spostare oggetti in un magazzino per esempio. Creeranno una nuvola di dati per gestire numerosi oggetti connessi, dagli automobili ai termostati casalinghi ai sensori delle città intelligenti per regolare il traffico, i consumi elettrici, monitorare il territorio. I principali operatori e vendor tecnologici stanno già sperimentando il 5G, anche in Italia. Quello che manca- appunto- è un piano di dettaglio per assicurare la transizione, condiviso tra tutti i portatori di interesse.
L’Antitrust per esempio dice che “la transizione deve essere pianificata con ampio anticipo al fine di permettere a tutti gli stakeholder (operatori di rete, fornitori di servizi media, produttori di dispositivi di ricezione, utenti) di conoscere con certezza le modalità e le tempistiche del processo di modifica dello spettro frequenziale”.
L’Autorità “auspica” che, nel caso siano selezionate procedure di rilascio volontario simili a quelle utilizzate per le frequenze interferenti degli operatori di rete locali, “siano prescelti meccanismi che incentivino il rilascio volontario dei multiplex utilizzati meno intensivamente a favore di soggetti che non siano verticalmente integrati e che assicurino una migliore allocazione frequenziale a favore degli utilizzatori della capacità trasmissiva”. Soggetti nuovi entranti nel mercato mobile potrebbero avere maggiore interesse a sviluppare subito il 5G, anche accordandosi con operatori di rete locale per anticipare il traguardo del 2022. Le regole di transizione potrebbero favorire questo scenario. Al contrario, al momento sia gli operatori televisivi sia quelli telefonici “incumbent” possono avere meno interesse ad accelerare.
Un ruolo rilevante lo giocheranno anche le nuove tecnologie tv, come ha rilevato l’Antitrust: “il nuovo standard trasmissivo DVB-T2 (ossia il nuovo digitale terrestre) può garantire un uso più efficiente dello spettro radio, limitando l’effetto dovuto alla riduzione dei multiplex televisivi”.
Il nuovo standard può ottimizzare l’uso tv delle frequenze e quindi facilitarne la liberalizzazione per la banda ultra larga mobile. “Tuttavia- scrive ancora l’Antitrust-, vale sottolineare che, poiché non sembra ancora chiaro quale codifica video verrà associata a tale standard (MPEG-4 H.264 o HEVC H.265), si è creata un’elevata incertezza sui dispositivi che potrebbero essere compatibili con le future specifiche tecniche del digitale terrestre”.
“Inoltre, l’eventuale scelta di utilizzare lo standard DVB-T2 dovrebbe prevedere adeguati correttivi volti a ridurre gli inconvenienti per gli utenti, pianificando una transizione tecnologica con tempistiche che tengano in considerazione l’obsolescenza dei dispositivi riceventi e il naturale ricambio degli stessi, nonché prevedendo l’eventuale trasmissione di alcuni programmi lineari in simulcast in tecnologia DVB-T e DVB-T2”, conclude l’Antitrust.
In questo complesso quadro di accordi e di interessi incrociati, sono proprio gli utenti quelli che rischiano di più. Da una parte, di avere un 5G in grave ritardo. Dall’altro, di dover anticipare la spesa per nuove tv compatibili con il DVB-T2.
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