Un nuovo universo. Nuovi esperimenti di fisica subnucleare mettono in crisi il Modello Standard che spiega la materia. È la vigilia di una rivoluzione scientifica?
“Nella scienza non c’è niente di nuovo da scoprire: rimane solo da fare misure sempre più precise”. Lo disse nel 1900 Lord Kelvin, uno dei fisici più eminenti della sua epoca, quando sembrava che la meccanica di Newton e l’elettromagnetismo potessero spiegare tutta la realtà fisica. Pochi anni dopo, però, la meccanica quantistica e la relatività rivoluzionarono le vecchie idee di spazio, tempo e materia.
Oggi siamo in una situazione simile: tutti gli innumerevoli dati generati dagli esperimenti di fisica subnucleare, infatti, si possono spiegare con un unico schema teorico, il Modello Standard. Tanto che il giornalista scientifico Usa John Horgan ha affermato, come fece Kelvin un secolo fa, che l’epoca delle grandi rivoluzioni scientifiche è ormai tramontata. Negli ultimi mesi, tuttavia, le certezze del Modello Standard hanno cominciato a vacillare di fronte ai risultati di alcuni esperimenti, che lasciano intravedere spiragli verso nuove teorie più profonde, potenzialmente capaci di rivoluzionare ancora una volta la nostra visione del mondo; e spiegare, tra l’altro, perché l’universo è pieno di stelle e di pianeti invece di… nulla.
Punti chiave
Per ogni particella di materia esiste un “negativo” di antimateria che dovrebbe essere esattamente speculare.
Un esperimento negli Usa ha osservato una violazione netta della simmetria tra materia e antimateria.
Una nuova “supersimmetria”, in cui esistono 5 bosoni di Higgs (“particelle di Dio”), potrebbe spiegare l’anomalia.
Annichilita. Tanto per cominciare, stando al Modello Standard, noi stessi non dovremmo esistere: secondo questa teoria, infatti, il Big Bang produsse uguali quantità di materia e antimateria, che avrebbero dovuto “annichilirsi”, cioè annullarsi a vicenda generando un lampo di pura energia. Se questo fosse vero, l’universo oggi sarebbe un mare di radiazione privo di atomi e quindi senza stelle, né pianeti. E invece non è andata così: una frazione di secondo dopo il Big Bang, materia e antimateria si annichilirono sì, generando un lampo di radiazione che ancora oggi permea l’universo; ma la materia era più abbondante, e ne avanzò quel tanto che è bastato a costituire il mondo che conosciamo.
Nuova scoperta. Il fatto stesso che noi esistiamo, dunque, è di per sé incompatibile con il Modello Standard, e di questo gli scienziati erano consapevoli già da tempo. Però la validità del Modello Standard è comprovata oltre ogni dubbio da innumerevoli esperimenti. Come fare, allora, a spiegare la prevalenza di materia nell’universo?
Una possibile risposta è stata annunciata recentemente da un’équipe del Fermilab (Fermi National Accelerator Laboratory) di Chicago, che ha osservato una maggior produzione di materia nel corso di alcuni processi subnucleari nei quali, stando al Modello Standard, materia e antimateria avrebbero dovuto equivalersi o quasi. La scoperta è il risultato di un esperimento chiamato D0, al quale lavorano da molti anni oltre 500 scienziati provenienti da 18 Paesi, con l’obiettivo principale di scoprire il bosone di Higgs, la “particella di Dio”, responsabile della comparsa della massa delle particelle (vedi la parte “La genesi del Cosmo” nell’articolo “La nuova mappa dell’universo”).
Secondo la teoria “ufficiale” dei fisici, il mondo non dovrebbe esistere.
Nell’esperimento, che raccoglie dati dal 2002, si studiano gli scontri tra fasci di protoni e antiprotoni (il loro “negativo”) generati artificialmente e lanciati gli uni contro gli altri nell’acceleratore di particelle Tevatron. Questi urti microscopici generano particelle di varia natura, tra cui alcune dette “mesoni B”, e le corrispettive antiparticelle, gli “antimesoni B”. Questi corpuscoli sono instabili per natura: “oscillano” in continuazione trasformandosi da mesoni in antimesoni e viceversa, per poi disintegrarsi generando altre particelle. In particolare, il mesone B si può disintegrare producendo un “muone”, cioè una particella simile all’elettrone ma con massa maggiore, mentre l’antimesone B produce un antimuone. Alla fine, se la simmetria tra materia e antimateria fosse perfetta, negli scontri si produrrebbe un’uguale quantità di mesoni e antimesoni, che in media resterebbe invariata nel tempo. Negli scontri del Tevatron, dunque, si dovrebbe osservare anche una uguale produzione di muoni e antimuoni. E invece non è così: «Osserviamo l’1% in più di muoni, cioè di materia» spiega Gregorio Bernardi, coordinatore scientifico dell’esperimento.
L’1% sembra una quantità piccola, ma non lo è: è 50 volte più del massimo compatibile con il Modello Standard. Il margine di incertezza sul risultato (del 30%), però, è ancora troppo elevato per trarre conclusioni definitive e dovrà essere confermato con un maggior numero di osservazioni per migliorare la statistica dei dati.
Potrebbe bastare questo esperimento a spiegare la “vittoria” della materia sull’antimateria nelle primissime fasi di vita del cosmo? «Forse, ma ancora non lo sappiamo» risponde Bernardi. «I teorici stanno effettuando i calcoli per determinarlo».
Il lavoro, per i teorici, non finisce qui. Anzi, è qui che comincia. Se il risultato sarà confermato, infatti, e visto che il Modello Standard non può spiegarlo, bisognerà trovare una nuova teoria capace di farlo.
«L’ipotesi più accreditata è la supersimmetria» spiega Bernardi. Cioè una proprietà che associa, a ogni particella del Modello Standard un partner “supersimmetrico” di natura diversa.
Per capire meglio la supersimmetria, bisogna tenere conto che tutte le particelle note sono suddivise in due grandi famiglie: “fermioni” e “bosoni”. Le prime costituiscono i mattoni fondamentali della materia, come elettroni e quark, e sono caratterizzate dalla proprietà dell’“impenetrabilità dei corpi materiali”, cioè dal fatto che due fermioni non si possono sovrapporre nello stesso stato proprio come è impossibile comprimere due sassi l’uno all’interno dell’altro.
I bosoni, al contrario, sono particelle che si possono “condensare” finché si vuole. I fotoni, per esempio, cioè i grani minimi di luce, si possono sovrapporre creando una specie di “superfotone”: il laser.
Invisibili. La supersimmetria sostiene che per ogni fermione del Modello Standard esiste un corrispondente bosone supersimmetrico a lui “gemellato”, e per ogni bosone un corrispondente fermione supersimmetrico. Così, per esempio, all’elettrone (fermione) corrisponde una particella detta “selettrone” (bosone), mentre a un fotone (bosone) corrisponde un “fotino” (fermione) e così via (vedi schema qui sopra).
Se la teoria è giusta, tutte queste superparticelle esistevano in abbondanza nei primissimi istanti dopo il Big Bang ed erano mischiate a tutte le altre. Poi, però, via via che l’universo si raffreddava e cambiavano le sue proprietà, si sono disintegrate e sono sparite dalla circolazione. Non tutte, però. Molti pensano che la superparticella più leggera, il “neutralino” (uno strano mix quantistico di superparticelle dotato di una sua identità indipendente), sia forse sopravvissuto fino ai giorni nostri.
Questa ipotetica particella avrebbe un’esistenza a sé e interagirebbe molto poco con la materia ordinaria, per cui alla fine sarebbe come un fantasma che risulta praticamente invisibile ai nostri strumenti, se non per via della forza di gravità con cui attira a sé altra materia… proprio per questo motivo, molti scienziati pensano che la supersimmetria possa spiegare la natura della “materia oscura” nell’universo, cioè di quella massa invisibile che gli astronomi ritengono necessaria per spiegare i dati astronomici.
La supersimmetria è una teoria nata per superare i limiti del Modello Standard. A grandi linee, funziona così: a ogni particella del Modello Standard (cioè quelle che compongono gli atomi, la luce ecc…) è associato un “gemello” supersimmetrico. Le particelle supersimmetriche sono instabili: si disintegrano creando altre particelle (per un esempio, vedi sotto). L’unica stabile potrebbe essere il “neutralino”, la più leggera: sarebbe invisibile e potrebbe spiegare il mistero della massa.
La supersimmetria, dunque, potrebbe spiegare l’enigma irrisolto della materia oscura. Forse potrebbe anche spiegare perché un esperimento recente ha trovato che i protoni, cioè alcuni dei costituenti fondamentali dei nuclei atomici, hanno un raggio del 4% più piccolo di quanto stimato in precedenza sulla base del Modello Standard. Potrebbe, infine, render conto dell’asimmetria tra materia e antimateria osservata nell’esperimento D0 del Fermilab: nei processi che coinvolgono i mesoni B, infatti, potrebbero entrare in gioco le particelle supersimmetriche e alterare i risultati rispetto a quanto previsto dal Modello Standard.
Ci sono anche altri motivi, puramente teorici, per cui molti fisici ritengono che la supersimmetria sia una proprietà reale, anche se nascosta molto in profondità, della natura: semplificando al massimo, si può dire che questa teoria renderebbe più elegante e coerente tutta l’impostazione teorica su cui si regge lo stesso Modello Standard.
Per avere certezze, tuttavia, è necessario osservare sperimentalmente le particelle supersimmetriche. Si pensa che l’acceleratore Lhc entrato in funzione al Cern di Ginevra potrà farlo nei prossimi anni: gli urti tra protoni che avvengono al suo interno, infatti, dovrebbero avere energia sufficiente a creare le superparticelle, e a studiarne le proprietà (v. disegno).
Pentadivina. La scoperta delle particelle supersimmetriche rivoluzionerebbe la nostra concezione dell’universo e anche la ricerca del bosone di Higgs, che resta l’obiettivo principale dell’Lhc. Se la supersimmetria esistesse davvero, infatti, di bosoni di Higgs potrebbero essercene ben 5 tipi diversi: un’occasione ghiotta per i ricercatori, che, finora, in mezzo secolo di ricerche, non ne hanno visto nemmeno uno.
Un’introduzione – in 10 minuti – agli esperimenti dell’acceleratore Lhc e alla teoria della supersimmetria.
Il video risale al 2008, poco prima della partenza degli esperimenti, e raccoglie le interviste ai principali fisici impegnati nella ricerca del bosone di Higgs.
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