I qubit viaggiano su fibre ottiche nanoscopiche

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L’imperfezione che rende affidabili i qubit. Un progresso fondamentale verso i computer quantistici è stato ottenuto usando fibre ottiche nanoscopiche in silicio organizzate in un reticolo in cui l’uniformità dello schema viene alterata da un’imperfezione, che rende più stabile la correlazione tra fotoni che codificano l’informazione binaria quantistica, i qubit.

Fotoni che viaggiano attraverso un reticolo imperfetto di fibre ottiche di dimensioni nanoscopiche possono essere utilizzati per realizzare unità affidabili per la costruzione dei futuri computer quantistici. Lo dimostra un nuovo studio pubblicato su “Science” da ricercatori dell’Università di Sidney, in Australia, guidati da Andrea Blanco-Redondo, in collaborazione con colleghi dell’Università di Haifa, in Israele, e di Oxford, nel Regno Unito.

La transizione dai computer elettronici a quelli quantistici è basata su una trasformazione fondamentale nella modalità di codifica dei bit, le unità d’informazione binaria, che possono assumere due soli valori, indicati convenzionalmente come 0 e 1.

I progressi degli ultimi decenni nella manipolazione di oggetti del mondo microscopico, dominato dalle leggi della meccanica quantistica, hanno aperto la strada a un nuovo modo di gestire l’informazione, in cui a codificarla sono gli stati di un microsistema, per esempio di elettroni o di atomi ionizzati.

La differenza è che non sono possibili solo alcuni stati fondamentali, ma anche una loro sovrapposizione quantistica.

Passare dal bit al qubit, il bit quantistico, consente quindi di avere non solo 0 e 1, ma anche un numero virtualmente infinito di loro combinazioni, ampliando enormemente le capacità di calcolo di una macchina basata su queste unità di base.

Due fotoni accoppiati che si propagano attraverso il reticolo di nanocavi di silicio (Credit: Sebastian Zentilomo/University of Sydney)
Due fotoni accoppiati che si propagano attraverso il reticolo di nanocavi di silicio (Credit: Sebastian Zentilomo/University of Sydney)

Un elettrone, per esempio, può avere due stati di spin, su e giù, ma anche una combinazione di questi stati, e quindi parrebbe uno dei sistemi più naturali per codificare un qubit.

E in effetti non sono mancate le sperimentazioni in questo senso. Fin da subito però si è capito che uno dei problemi fondamentali per arrivare a un sistema di calcolo automatico basato su elettroni o su atomi ionizzati è che vengono facilmente influenzati dall’ambiente circostante, per esempio dalle interferenze elettromagnetiche o dalla temperatura.

Un’opzione valida per aggirare questo ostacolo consiste nell’utilizzare fotoni, i quanti di luce, al posto degli elettroni e degli ioni.

La comunicazione tra diversi fotoni è poi garantita da una peculiare correlazione quantistica nota come entanglement, in cui due particelle stabiliscono  una correlazione quantistica che si mantiene anche quando fra di esse viene frapposta una distanza arbitraria. Quando si esegue una misurazione dello stato di una particella, questo stato “precipita” assumendo un valore ben definito. E questa operazione fa collassare su un valore definito anche la particella trasportata lontano, in modo istantaneo, anche se in effetti non c’è stato un scambio di informazione tra le due.

Anche i qubit fotonici hanno però importanti limitazioni, perché l’entanglement può venire meno per vari fenomeni diffusivi incontrati dai fotoni nel loro tragitto.

Blanco-Redondo e colleghi hanno cercato di risolvere questi limiti con guide d’onda, in cui passano i fotoni, formate da nanocavi si silicio con un diametro di soli 500 nanomentri (miliardesimi di metro) allineati lungo cammini appaiati secondo uno schema a reticolo uniforme a cui però viene aggiunto un difetto.

Rompendo questa uniformità di reticolo, si riesce a imporre ai fotoni modalità di appaiamento particolari, note come modi di bordo (edge modes). Questi modi permettono di trasportare l’informazione con un grado di affidabilità inarrivabile per un reticolo uniforme, e così di proteggere i qubit.

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