Il modo in cui è stato orchestrato lo studio è una prima assoluta per la fisica e per l’astronomia, e il tutto è stato annunciato oggi, dopo settimane di inevitabile “segretezza”, necessaria a verificare i dati, e giorni di impazienti preparativi dalle maggiori istituzioni scientifiche coinvolte in tutto il mondo, per l’Italia l’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN), l’Istituto nazionale di astrofisica (INAF) e l’Agenzia spaziale italiana.
GLI OCCHI DELLA TERRA. I primi a cogliere i segni della collisione stellare avvenuta a milioni di anni luce da noi sono stati i rilevatori della collaborazione LIGO-VIRGO: onde gravitazionali (alla cui scoperta è stato assegnato il premio Nobel per la fisica 2017), come fosse l’effetto di un’onda d’urto, ma su scala cosmica e definita come “perturbazione” del tessuto dello spazio-tempo. Circa due secondi dopo, i rilevatori di raggi gamma della NASA e dell’ESA registravano l’esplosione gamma nella stessa regione del cielo.
A quel punto i fisici hanno allertato gli astronomi su dove puntare i loro telescopi nella speranza di osservare non solo i segnali indiretti, ma anche la luce visibile di quell’esplosione primordiale. E così è stato, a partire dai telescopi dell’European Southern Observatory (ESO, in Cile) e via via i molti altri che hanno assistito quasi in diretta alla nascita di una nuova stella.
LA STELLA EFFIMERA. «Fino a un mese fa pensavamo che queste osservazioni, così spettacolari e concordi da strumenti del tutto diversi, le avremmo fatte tra un decennio. Poi improvvisamente è successo tutto», racconta Enrico Calloni, fisico dell’INFN e membro del comitato che ha svolto la valutazione dei segnali di onde gravitazionali raccolti dalle collaborazioni LIGO-VIRGO. «Ci sono rare occasioni in cui uno scienziato ha l’opportunità di essere testimone dell’inizio di una nuova era, come in questa occasione», aggiunge Elena Pian, astronoma dell’INAF (Istituto nazionale di astrofisica).
Nelle settimane seguenti alla prima osservazione, il nuovo oggetto celeste è stato osservato da una settantina di telescopi sparsi nel mondo, oltre che dall’Hubble Space Telescope. Le analisi hanno confermato che il nuovo oggetto a 130 milioni di anni luce dalla Terra è una kilonova, una stella che si crea quando due oggetti densissimi come le stelle di neutroni si fondono tra loro, con una luminosità mille volte superiore a quella di una nova, che però cambia colore e poi svanisce nel giro di pochi giorni. Finora l’esistenza di queste esplosioni stellari era stata ipotizzata ma mai osservata direttamente.
TUTTO TORNA. «Si è aperto un nuovo mondo», osserva Calloni: «queste osservazioni congiunte permettono di chiarire una serie di questioni, fenomeni osservati in astronomia, ma che ricadevano nell’incerto campo delle ipotesi.» Diversi spettrometri hanno rivelato che durante l’esplosione getti di cesio e tellurio sono stati lanciati nello spazio a velocità pari a un quinto di quella della luce. Proprio il decadimento di questi elementi sarebbe una delle fonti principali di elementi chimici come l’oro e il platino, e le osservazioni sembrano in straordinario accordo con la teoria.
Anche un altro fenomeno troverebbe ora una più solida spiegazione, proprio quello dei lampi di raggi gamma: queste potentissime emissioni che rilasciano in pochi secondi tanta energia quanta il Sole nell’arco della sua vita, e che rileviamo “ogni tanto” nell’universo, sarebbero, come ipotizzato, proprio il guizzo finale della fusione di stelle.
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