Exomars, atto finale: l’Europa su Marte (e c’è tanta Italia)

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Il lander lascia la sonda. Poi verso il Pianeta rosso. Tutto si deciderà mercoledì, in sei minuti da brivido. «Non l’avrei giammai creduto…» dice Don Giovanni al Commendatore (di pietra) che arriva a cena. Confesso che così pensavo anch’io, quando spingevo duro per Exomars in ESA, nel 2001 e poi ancora nel 2008, fino alla approvazione della missione. Avevo visto i tempi allungarsi pericolosamente. Invece, ora Exomars sta arrivando (a Marte, non a cena), tutto continua ad andare per il meglio e la missione darà alla ricerca spaziale italiana i risultati che ampiamente si merita.
Diciamolo subito, comunque vada il bilancio finale: l’Europa sta atterrando per la prima volta su Marte per merito dell’Italia. Grazie ad ASI, negli anni abbiamo messo nella missione risorse economiche, scientifiche e industriali molto maggiori del nostro normale contributo all’ESA. Secondo me abbiamo fatto bene, investendo dove contava e dove conta: la Thales/Alenia Spazio Italia ha avuto il ruolo molto visibile di coordinamento generale e la strumentazione ha una forte componente dovuta a INAF e a nostre Università.

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E poi, il nome del primo oggetto europeo su Marte è Schiaparelli, un brand molto italiano nello spazio. Per intenderci, Giovanni Schiaparelli fu il primo astronomo al mondo capace di mappare la superficie di Marte, con immagini disegnate al telescopio dell’Osservatorio di Milano, più di un secolo fa.

Partita il 14 marzo scorso sul Proton, il veterano russo dello spazio, la missione Exomars si è fatta quasi mezzo miliardo di km di volo interplanetario come se niente fosse. La sua parte più grossa (TGO) resterà in orbita intorno a Marte, per misurare i gas più rari nella atmosfera, oltre a fare immagini della superficie. Cercherà una conferma, per esempio, della presenza di metano: anche se, ahimè, sappiamo che non ci sono mucche su Marte, il metano potrebbe indicare attività microbiologica in corso, e non sarebbe poco. TGO farà anche da ponte radio dalla superficie di Marte fino a Terra.

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Da TGO si stacca oggi il modulo di discesa Schiaparelli, che deve cavarsela da solo nel momento più delicato della sua vita. Come il Barone di Munchausen, immaginate di essere a cavalcioni del modulo, una grossa palla da cannone da 600 Kg, ma molto, molto più veloce. Per tre giorni siete andati a 6 km al secondo, vedendo il disco di Marte sempre più vicino.

Sotto il sedere, per fortuna, avete sentito un sobbalzo: era l’inserzione sulla traiettoria giusta (se no era lo schianto sui sassi marziani). Siamo alla discesa finale. Vorreste telefonare a casa, ma sarebbe inutile: il segnale ci metterebbe 10 minuti solo ad andare. Bisogna fidarsi del computer di bordo e comunque tra meno di sei minuti tutto sarà finito.

A 120 km dal suolo, la botta dell’ingresso nella atmosfera: state andando a 21.000 km/ora e tutto si scalda, per fortuna che c’è lo scudo termico… in tre minuti siete a 11 km di quota, a “solo” 1600 km/ora. Dita incrociate: è il momento del paracadute, solido, fatto in Italia, ma rimasto ripiegato per tanto tempo. Altra botta, per fortuna si è aperto, tutto bene. Serve solo per due minuti, durante i quali buttar via gli scudi termici, scendere fino a 1200 m. e rallentare fino a 250 km/ora. Ultimo minuto, il più terribile: via il paracadute, ma accensione dei retrorazzi, che vi danno l’ultima botta di decelerazione, fino a due metri (!) dal suolo e a 4 (!) km/ora. A quel punto, dopo 500 milioni di km da casa, potete anche saltare giù. Wow, che cavalcata.

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Dal suolo, con le batterie rimaste, Schiaparelli manderà il segnale che ci farà urlare di gioia, dopo aver tenuto il fiato per tre giorni. TGO intanto si inserisce in orbita marziana e comincia le osservazioni scientifiche. Felicità, ma per breve tempo: adesso che abbiamo imparato, c’è subito da preparare la seconda parte del programma Exomars, un’altra missione che partirà tra qualche anno, ancora in collaborazione con i russi, che la sanno lunga. Avrà un modulo di atterraggio mobile, trivellerà il suolo e se c’è mai stata vita su Marte (o magari sottoterra c’è ancora?), la troverà lui. Stavolta, prometto, ci crederò fin dall’inizio.

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