Un’équipe di ricercatori portoghesi ha scoperto, in un esperimento condotto su topi da laboratorio, come influire sull’area cerebrale che percepisce il passare del tempo.
Alcune volte le ore ci sembrano non passare mai. Altre volte ci paiono volare. Perché lo scorrere del tempo è percepito in modo così soggettivo e variabile? Una domanda cui ha appena risposto, almeno parzialmente, un’équipe di scienziati del Champalimaud Centre for the Unknown di Lisbona: come raccontano sulle pagine di Science, i ricercatori hanno infatti identificato, per la prima volta al mondo, i circuiti neurali che modulano la percezione dello scorrere del tempo, nel cervello dei topi. Ma c’è dell’altro: il team, coordinato da Joe Paton, è addirittura riuscito a manipolare l’attività dei neuroni in modo tale che gli animali sovrastimassero o sottostimassero la durata di un intervallo di tempo prefissato.
L’attività del gruppo di ricerca in questo campo era iniziata già diversi anni fa. E lo stesso Paton è stato personalmente coinvolto: “Due miei amici”, spiega, “erano rimasti feriti in un gravissimo incidente stradale. Le poche ore intercorse tra il momento in cui ho appreso la notizia e quello in cui ho saputo che se la sarebbero cavata mi sono sembrate lunghe come settimane. Oggi, a distanza di anni, mi chiedo quale sia stato, in questa circostanza, il ruolo dei neuroni che abbiamo studiato”. Dal punto di vista neurobiologico, il problema della percezione del tempo è molto difficile da studiare, dal momento che, a differenza di altri stimoli come quelli visivi o uditivi, non può essere direttamente ricondotto ad alcun organo. Cionondimeno, si tratta di un’abilità fondamentale per la sopravvivenza. Basti pensare, per esempio, a una preda che si trova in campo aperto: se sottostima lo scorrere del tempo, aumenta la probabilità di essere individuata da un predatore. “La percezione del passare del tempo”, dice ancora Paton, “è fondamentale per estrarre correttamente informazioni dall’ambiente circostante e valutare di conseguenza le azioni da intraprendere”.
Per studiare il meccanismo, gli scienziati si sono concentrati su un tipo particolare di neuroni, i cosiddetti neuroni dopaminergici, responsabili del rilascio di dopamina, uno dei principali “messaggeri” chimici del cervello, cercandoli nella parte compatta della sostanza nera, l’area cerebrale responsabile dell’elaborazione temporale. “È già noto da tempo”, scrivono i ricercatori, “che i neuroni dopaminergici abbiano un legame con i fattori psicologici associati ai cambiamenti nella percezione dello scorrere del tempo”, come per esempio motivazione, attenzione, paura, felicità. All’inizio, gli scienziati hanno “insegnato” ai topi a stimare un intervallo di tempo: “Gli animali hanno imparato a valutare se la distanza temporale tra due suoni fosse maggiore o minore di un secondo e mezzo”, spiega Paton. “Dopo pochi mesi di allenamento, i topi sono diventati estremamente abili nel farlo”. In particolare, gli animali indicavano la propria scelta spostando il muso verso sinistra o verso destra: quando davano la risposta esatta, venivano premiati con una ricompensa.
Nella seconda parte dell’esperimento, gli scienziati hanno misurato, utilizzando una tecnica chiamata fotometria, l’attività dei neuroni dopaminergici nella parte compatta della sostanza nera, notando per l’appunto che questi si attivavano nell’intervallo di tempo tra il primo e il secondo suono. “Abbiamo osservato”, dice Paton, “che maggiore era l’aumento di attività neurale tra i due suoni, maggiore era la probabilità che l’animale sottostimasse la durata dell’intervallo, e viceversa”. I ricercatori, inoltre, sono riusciti a manipolare dall’esterno l’attività di tali neuroni, inducendo nei topi una diversa percezione dello scorrere del tempo: “Abbiamo scoperto che ‘silenziando’ i neuroni dopaminergici con una tecnica detta optogenetica, gli animali tendono a sovrastimare la durata del tempo, mentre stimolandoli questi tendono a sottostimarla. Un risultato che dimostra l’esistenza di un nesso causale tra l’attività neurale e la percezione dello scorrere del tempo”. I prossimi esperimenti, continua Paton, avranno l’obiettivo di comprendere se lo stesso meccanismo avvenga anche negli esseri umani, e soprattutto se abbia conseguenze “soggettive” sulla percezione dello scorrere del tempo, per esempio amplificando il senso di noia o di calo dell’attenzione.
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