Anche i fisici sono filosofi: il ruolo della filosofia nella fisica moderna

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Negli ultimi decenni, molti fisici di spicco hanno decretato più volte la fine della filosofia, a causa della sua “irragionevole inefficacia”. Nel suo ultimo scritto, il fisico Victor Stenger afferma invece che quelle critiche sono corrette se rivolte contro la metafisica, ma che la filosofia, e la filosofia della scienza, hanno ancora un posto nel contesto della moderna fisica teoricadi Victor J. Stenger, James A. Lindsay e Peter Boghossian

Nota della redazione: Poco prima della sua morte, avvenuta lo scorso agosto all’età di 79 anni, il fisico e intellettuale Victor Stenger ha scritto con due coautori un articolo per “Scientific American” che affrontava l’ultima fiammata di un contenzioso di lunga data tra fisici e filosofi sulla natura delle loro discipline e i limiti della scienza. Strumenti ed esperimenti (o ragione pura e modelli teorici) possono rivelare la natura ultima della realtà? Il moderno trionfo della fisica rende obsoleta la filosofia? Che cosa potrebbe dire la filosofia ai fisici teorici moderni? In questo articolo Stenger e i suoi coautori introducono e affrontano queste profonde domande e cercano di ricucire il crescente divario fra queste due grandi scuole di pensiero. Quando i fisici fanno affermazioni sull’universo, scrive Stenger, si inseriscono in una grande e millenaria tradizione filosofica. Inevitabilmente, i fisici sono anche filosofi. Ecco l’articolo, l’ultimo scritto da Stenger.

Nell’aprile 2012 il fisico teorico, cosmologo e autore di best seller Lawrence Krauss è stato intervistato da Ross Andersen per un articolo su “The Atlantic” dal titolo “La fisica ha reso obsolete filosofia e religione?” La risposta di Krauss ha lasciato di stucco i filosofi perché, dopo aver osservato che “la filosofia un tempo era un campo che aveva un contenuto”, ha aggiunto:

“La filosofia è un settore che, purtroppo, mi ricorda una vecchia battuta di Woody Allen: ‘quelli che non sanno fare, insegnano, e quelli che non sanno neanche insegnare, insegnano ginnastica’”. E la parte peggiore della filosofia è la filosofia della scienza: per quanto ne so, le uniche persone che hanno letto le opere dei filosofi della
scienza sono altri filosofi della scienza. Sulla fisica non ha nessun tipo di impatto, e dubito che altri filosofi le leggano perché sono abbastanza tecniche. Quindi è davvero difficile capire che cosa la
giustifichi. Direi che questo stato di tensione si verifica perché i filosofi si sentono minacciati, e ne hanno tutte le ragioni, perché la scienza progredisce e la filosofia no.”

Nello stesso anno Krauss ha avuto una discussione amichevole con il filosofo Julian Baggini su “The Observer”, rivista on-line del “Guardian”. Pur mostrando grande rispetto per la scienza e dicendosi d’accordo con Krauss e altri fisici e cosmologi che non “ci sono più cose nell’universo di quante ce ne siano nelle scienze fisiche”, Baggini lamentava che Krauss sembrasse condividere “alcune ambizioni imperialiste della scienza.” Baggini esprimeva la diffusa opinione che “ci sono alcuni problemi dell’esistenza umana che non sono affatto scientifici. Non riesco a vedere come meri fatti potrebbero mai risolvere il problema di ciò che è moralmente giusto o sbagliato, per esempio.”

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© Leemage/Corbis
Krauss non la vede proprio così. Piuttosto, distingue tra “domande a cui si può rispondere e domande a cui non si può rispondere”, e le prime ricadono per lo più nel “dominio della conoscenza empirica, ossia della scienza”. Per quanto riguarda le questioni morali, secondo Kraussa esse si può rispondere solo con “la ragione… sulla base di dati empirici”. Baggini non riesciva a vedere come qualsiasi “scoperta fattuale possa mai risolvere una questione relativa a ciò che è giusto e sbagliato.” Tuttavia, Krauss ha espresso simpatia per la posizione di Baggini: “credo che la discussione filosofica possa informare il processo decisionale in molti importanti modi, permettendo riflessioni su fatti, ma che alla fine l’unica fonte dei dati sia l’esplorazione empirica”.

Filosofi famosi sono rimasti sconvolti dall’intervista, fra cui Daniel Dennett della Tufts University che poi ha scritto a Krauss. Di rimando, Krauss ha scritto una più attenta spiegazione della sua posizione – pubblicata su “Scientific American” con il titolo “La consolazione della filosofia” – mostrandosi più magnanimo nei confronti del contributo della filosofia all’arricchimento del suo pensiero, ma senza modificare più di tanto la sua posizione di fondo:

“Come fisico praticante… io e la maggior parte dei colleghi con cui ho discusso la questione abbiamo convenuto che le speculazioni filosofiche sulla fisica e sulla natura della scienza non sono particolarmente utili, e hanno avuto poco o punto impatto sul progresso del mio campo. Anche in diversi ambiti connessi con ciò che si può a buon diritto chiamare filosofia della scienza ho trovato più utili le riflessioni dei fisici.”

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Stephen Hawking (© IKON LONDON/Splash News/Corbis)
Krauss non è il solo fisico a disdegnare la filosofia. Nel settembre 2010 Stephen Hawking e Leonard Mlodinow spararono una bordata che risuonò in tutto il mondo accademico e non solo. Nella prima pagina del loro libro Il grande disegno hanno scritto: “La filosofia è morta”, perché “i filosofi non hanno tenuto il passo con gli sviluppi moderni della scienza, in particolare della fisica. Gli scienziati sono diventati i portatori della torcia della scoperta nella nostra ricerca della conoscenza.”

Le domande che la filosofia non è più in grado di gestire (se mai lo è stata) sono: Come si comporta l’universo? Qual è la natura della realtà? Da dove proviene tutto? L’universo ha bisogno di un creatore? Secondo Hawking e Mlodinow, solo gli scienziati – e non i filosofi – possono dare le risposte.

Anche il noto astrofisico e divulgatore scientifico Neil deGrasse Tyson ha preso parte al dibattito. In un’intervista su “Nerdist” del maggio 2014 Tyson ha osservato, “Ciò che mi dà da pensare è che i filosofi credono realmente di porsi domande profonde sulla natura. E lo scienziato chiede, ‘Cosa stai facendo? Perché ti arrovelli sul significato del significato?’ ” Il messaggio generale è chiaro: la scienza si muove; la filosofia rimane impantanata, inutile e di fatto morta.

Inutile dire che anche Tyson è stato pesantemente criticato per le sue opinioni. La sua posizione può essere chiarita guardando il video di un dibattito con il biologo Richard Dawkins alla Howard University. L’argomento di Tyson è semplice ed è lo stesso di Krauss: i filosofi dell’epoca di Platone e Aristotele hanno sostenuto che la conoscenza del mondo può essere ottenuta solo attraverso il puro pensiero. Come ha spiegato Tyson, quella conoscenza non può essere ottenuta stando seduti in poltrona, ma solo con l’osservazione e l’esperimento. Richard Feynman una volta espresse un giudizio simile sui “filosofi da poltrona”. Dawkins concordava con Tyson, sottolineando che la selezione naturale è stata scoperta da due naturalisti, Charles Darwin e Alfred Russel Wallace, che lavoravano raccogliendo dati sul campo.

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Sheldon Glashow e Steven Weinberg. (© Bettmann/CORBIS)
Quello che stiamo vedendo non è un fenomeno recente. Nel libro del 1992 Dreams of a Final Theory, il premio Nobel Steven Weinberg intitolò un intero capitolo “Contro la filosofia”. Riferendosi alla famosa osservazione del premio Nobel per la fisica Eugene Wigner sulla “irragionevole efficacia della matematica”, Weinberg si interrogava sulla “irragionevole inefficacia della filosofia.”

Weinberg non respinge tutta la filosofia, ma solo la filosofia della scienza, osservando che le sue discussioni arcane interessano pochi scienziati. Segnala i problemi della filosofia positivista, anche se conviene che abbia avuto un ruolo nell’iniziale sviluppo sia della relatività sia della meccanica quantistica. Ma sostiene che il positivismo ha fatto più male che bene: “La concentrazione positivista su osservabili come posizione e momento delle particelle si è inserito in un’interpretazione ‘realista’ della meccanica quantistica, in cui la funzione d’onda è ciò che rappresenta la realtà fisica.”

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Ernst Mach. (© CORBIS)
Forse il filosofo positivista più influente fu il fisico Ernst Mach, che alla fine del XIX secolo rifiutava di accettare il modello atomico della materia perché non riusciva a vedere gli atomi. Oggi possiamo vedere gli atomi con un microscopio a effetto tunnel, ma i nostri modelli contengono ancora oggetti invisibili, come i quark. Oggi i filosofi, come i fisici, non prendono più sul serio il positivismo, che quindi non ha più alcuna influenza sulla fisica, né buona né cattiva.

Tuttavia, la maggior parte dei fisici sarebbe d’accordo con Krauss e Tyson che l’osservazione è l’unica fonte affidabile di conoscenza del mondo naturale. Alcuni, ma non tutti, propendono per lo strumentalismo, secondo cui le teorie sono soltanto strumenti concettuali utili per classificare, sistematizzare e formulare previsioni osservative. Questi strumenti concettuali possono includere oggetti non osservabili come i quark.

Fino a poco tempo fa, storicamente parlando, non è stata fatta alcuna distinzione tra fisica e filosofia naturale. Talete di Mileto (circa 624-546 a.C.) è generalmente considerato come il primo fisico, così come il primo filosofo della tradizione occidentale. Per i fenomeni cercava spiegazioni naturali senza alcun riferimento alla mitologia. Per esempio, spiegava i terremoti come il risultato del fatto che la Terra riposasse sulle acque, facendosi cullare dalle onde. Lo argomentava sulla base dell’osservazione, non del puro pensiero: la Terra è circondata dalle acque e le barche in acqua oscillano. Anche se la spiegazione di Talete dei terremoti non era corretta, era comunque un miglioramento rispetto alla mitologia, secondo cui erano causati dal dio Poseidone che colpisce il terreno con il suo tridente.

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Talete. (© CORBIS)
Talete è famoso per aver previsto un’eclissi di Sole che secondo i calcoli degli astronomi moderni si verificò in Asia Minore il 28 maggio 585 a.C. La maggior parte degli storici di oggi, però, dubita della verità di questo racconto. Il contributo più significativo di Talete fu proporre che tutte le sostanze materiali fossero composte da un unico costituente elementare, cioè l’acqua. Per quanto sbagliasse nel sostenere che l’acqua è elementare, la proposta di Talete rappresenta il primo tentativo noto, almeno in Occidente, di spiegare la natura della materia senza invocare di spiriti invisibili.

Talete e altri filosofi ionici che lo seguirono sposavano una visione della realtà oggi chiamata materialismo monistico, in cui tutto è materia e nient’altro. E questa continua a essere l’opinione prevalente fra i fisici, che non trovano alcuna necessità di introdurre elementi soprannaturali nei loro modelli, che descrivono con successo tutte le osservazioni fatte fino a oggi.

La frattura a cui si riferiva Tyson si determinò nel XVII secolo, quando la fisica e la filosofia naturale iniziarono a divergere in discipline separate, dopo che Galileo e Newton avevano introdotto i principi che descrivono il moto dei corpi. Da quei principi primi Newton fu in grado di derivare le leggi del moto planetario che erano state in precedenza scoperte da Keplero. Il successo della previsione del ritorno della cometa di Halley nel 1759 mostrò a tutti la grande potenza della nuova scienza.

Il successo della fisica newtoniana aprì la strada a una posizione filosofica che vedeva l’universo come un grande orologio, la macchina del mondo newtoniana. Secondo questa concezione, le leggi della meccanica determinano tutto ciò che accade nel mondo materiale. In particolare, non c’è posto per un dio che abbia un ruolo attivo nell’universo. Come mostrò il matematico, astronomo e fisico francese Pierre-Simon Laplace, le leggi di Newton erano di per sé sufficienti a spiegare il movimento dei pianeti nel corso della storia precedente. Questo lo portò a proporre un concetto radicale che Newton aveva rifiutato: per comprendere l’universo fisico non è necessario nulla al di là della fisica.

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La cometa di Halley durante il passaggio del 1986 (© Corbis)
Benché l’universo-orologio sia stata invalidato dal principio di indeterminazione di Heisenberg della meccanica quantistica, la meccanica quantistica resta diabolicamente difficile da interpretare filosoficamente. Anziché dire che la fisica “capisce” l’universo, è più esatto dire che i modelli della fisica sono sufficienti a descrivere il mondo materiale come lo osserviamo con i nostri occhi e con gli strumenti.

Nella prima parte del XX secolo quasi tutti i famosi fisici dell’epoca – Albert Einstein, Niels Bohr, Erwin Schrödinger, Werner Heisenberg, Max Born, per citarne alcuni – rifletterono sulle conseguenze filosofiche delle loro rivoluzionarie scoperte nel campo della relatività e della meccanica quantistica. Dopo la seconda guerra mondiale, però, la nuova generazione di protagonisti della fisica – Richard Feynman, Murray Gell-Mann, Steven Weinberg, Glashow Sheldon e altri – ha trovato improduttive queste riflessioni, e la maggior parte dei fisici (ci furono eccezioni in entrambe le epoche) li ha seguiti.

Ma la generazione ancora successiva ha adottato dottrine filosofiche, o almeno ha parlato in termini filosofici, senza ammetterlo a se stessa. Per esempio, quando Weinberg sostiene una interpretazione “realista” della meccanica quantistica, in cui “la funzione d’onda è ciò che rappresenta la realtà fisica”, implica che gli artefatti che i teorici includono nei loro modelli, come i campi quantistici, sono gli ingredienti finali della realtà. In un articolo pubblicato su “Scientific American” nel 2012 [pubblicato nel 2013 su “Le Scienze”], il fisico teorico David Tong è andato ancora oltre, sostenendo che le particelle che effettivamente osserviamo negli esperimenti sono illusioni e che i fisici che dicono che sono fondamentali sono in malafede: “I fisici insegnano di routine che i mattoni della natura sono particelle discrete come l’elettrone o i quark. Questa è una bugia. Gli elementi costitutivi delle nostre teorie non sono particelle ma campi: oggetti continui simili a fluidi sparsi in tutto lo spazio”.

Questo punto di vista è esplicitamente filosofico, e accettarlo acriticamente è un cattivo modo di pensare filosoficamente. Weinberg e Tong, infatti, esprimono una visione platonista della realtà comunemente accettata da molti fisici teorici e matematici. Essi considerano le loro equazioni e i loro modelli come se esistesse una corrispondenza uno-a-uno con la natura ultima della realtà.

Nella Stanford Encyclopedia of Philosophy on line, Mark Balaguer definisce così il platonismo: “Il platonismo è la concezione che [nella realtà ultima] esistano cose come oggetti astratti, dove un oggetto astratto è un oggetto che non esiste nello spazio o nel tempo e che è quindi del tutto non-fisico e non-mentale. In questo senso il platonismo è una concezione contemporanea. E’ ovviamente correlata in modo significativo alle idee di Platone, ma non è del tutto chiaro se Platone condividesse questo punto di vista, come qui definito. Per non sbilanciarsi su questa questione, il termine ‘platonismo’ si scrive con la ‘p’ minuscola.”

Qui useremo platonismo con una “p” minuscola per fare riferimento alla convinzione che gli oggetti all’interno dei modelli della fisica teorica costituiscono elementi della realtà, ma questi modelli non si basano sul puro pensiero, come vorrebbe il platonismo con la “P “, ma sono plasmati per descrivere e prevedere le osservazioni.

Molti fisici hanno acriticamente adottato il realismo platonista come loro personale interpretazione del significato della fisica. Questo non è irrilevante perché associa una realtà che sta al di là dei sensi agli strumenti cognitivi che gli esseri umani usano per descrivere le osservazioni.

Per testare i loro modelli tutti fisici assumono che gli elementi di questi modelli corrispondano in qualche modo alla realtà. Ma questi modelli si confrontano con dati che derivano da rivelatori di particelle collocati nei laboratori dotati di acceleratori o nel punto focale dei telescopi (anche i fotoni sono particelle). Sono i dati – non la teoria – a decidere se un particolare modello corrisponde in qualche modo alla realtà. Se il modello non riesce ad adattarsi ai dati, di certo non ha alcun legame con la realtà. Se concorda con i dati, allora probabilmente ha qualche connessione. Ma che cosa è questa connessione? I modelli sono scarabocchi sulla lavagne della parte teorica dell’edificio della fisica. Quegli scarabocchi sono facilmente cancellati; i dati no.

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Lawrence M. Krauss (cortesia Scientific American)
Nel suo articolo su “Scientific American” Krauss svela tracce di pensiero platonista nella sua personale filosofia della fisica quando scrive: “C’è una categoria di filosofi, alcuni dei quali traggono spunto da suggestioni teologiche, che contestano il fatto che gli scienziati possano presumere di poter affrontare qualsiasi versione di questo problema ontologico fondamentale. Recentemente, [in] una recensione al mio libro [L’Universo dal Nulla] un siffatto filosofo…. ha rivendicato con apparente autorevolezza (e sorprendentemente, perché l’autore ha una formazione da fisico) qualcosa che è semplicemente sbagliato: che le leggi della fisica non possono mai determinare dinamicamente quali particelle e campi esistono, né se lo spazio stesso esiste o, più in generale, quale potrebbe essere la natura dell’esistenza. Ma questo è esattamente ciò che è possibile nel contesto della moderna teoria quantistica dei campi nello spazio-tempo curvo.”

La corrispondenza diretta, platonista, fra le teorie fisiche e la natura della realtà, come quella di Weinberg, Tong e forse Krauss, è molto problematica: in primo luogo, com’è ben noto, le teorie sono temporanee. Non potremo mai sapere se la teoria quantistica dei campi non sarà un giorno sostituita da un altro modello più potente che non fa menzione dei campi (o delle particelle, se è per questo). In secondo luogo, come tutte le teorie fisiche, la teoria quantistica dei campi è un modello, un artificio umano. Testiamo i nostri modelli per sapere se funzionano; ma non possiamo mai essere sicuri fino a che punto corrispondano alla “realtà”, neppure per i modelli altamente predittivi come l’elettrodinamica quantistica. Affermarlo è metafisica. Se ci fosse un modo empirico per determinare la realtà ultima, sarebbe fisica, non metafisica; ma sembra che non ci sia.

Nella prospettiva strumentalista non abbiamo modo di sapere che cosa costituisce gli elementi della realtà ultima. In quella prospettiva, la realtà è limitata solo a ciò che osserviamo; Non è necessario che esista una corrispondenza uno-a-uno con i modelli matematici teorici inventati per descrivere le osservazioni. Inoltre, non importa. Tutto ciò che devono fare questi modelli è descrivere le osservazioni, e per farlo non hanno bisogno della metafisica . La rilevanza esplicativa dei nostri modelli può essere il nucleo del racconto della scienza, ma ha un ruolo secondario rispetto alla sua capacità descrittiva e predittiva. La meccanica quantistica ne è un esempio eccellente, considerata la sua indubbia utilità a dispetto dell’assenza di una interpretazione filosofica condivisa.

Così, coloro che sostengono una visione platonista della realtà hanno la coda di paglia quando denigrano la filosofia. Essi stanno adottando la dottrina di uno dei filosofi più influenti di tutti i tempi. Questo li rende anch’essi filosofi.

Ora, non tutti i fisici che criticano i filosofi sono a tutti gli effetti dei platonisti, anche se molti ci si avvicinano quando parlano degli elementi matematici dei loro modelli e delle leggi che inventano come se fossero intrinseci alla struttura dell’universo. In effetti, le obiezioni di Weinberg, Hawking, Mlodinow, Krauss, e Tyson sono più adatte a una critica della metafisica, e non rendono il merito dovuto, a nostro avviso, ai vitali contributi, che ancora oggi vengono dati al pensiero umano in campi come l’etica, l’estetica, la politica e, forse ancora più importante, all’epistemologia. A questi ambiti Krauss rende un piccolo omaggio, ma senza grande entusiasmo.

Naturalmente, Hawking e Mlodinow scrivono avendo in mente per lo più questioni cosmologiche, e dove sono alle prese con i tentativi metafisici di sconfinare nel problema delle origini ultime, sono assolutamente nel giusto. La metafisica e le sue speculazioni proto-cosmologiche, intese come filosofia, in epoca medievale erano considerate le ancelle della teologia. Hawking e Mlodinow stanno dicendo che i metafisici che vogliono occuparsi di questioni cosmologiche non sono scientificamente abbastanza esperti per dare un contributo utile. Ai fini della cosmologia, la metafisica da poltrona è morta, soppiantata dalla più informata filosofia della fisica, e pochi teologi non sarebbero d’accordo.

Krauss ha riservato le sue critiche più sferzanti alla filosofia della scienza, noi suggeriamo che sarebbe stato più costruttivo se avesse preso di mira alcuni aspetti della metafisica. Andersen, per “The Atlantic”, lo ha intervistato sulla questione se la fisica avesse reso obsolete la filosofia e la religione. E se non lo ha fatto per la filosofia, di certo lo ha fatto per la metafisica cosmologica (e per le pretese religiose che ne dipendono, come il defunto argomento cosmologico kalam che invoca la necessità di un creatore). Sicuramente Krauss aveva in mente, almeno in parte, i tentativi metafisici di speculare sull’universo, considerato che l’intervista aveva come spunto il suo libro sulla cosmologia.

Qualunque siano i rami della filosofia che meritano la stima di studiosi e pubblico, la metafisica non è tra questi. Il problema è semplice. La metafisica sostiene di essere in grado di cogliere la realtà – così da poterla descrivere a buon diritto – ma non c’è modo di sapere se lo fa.

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Raffaello: La Scuola di Atene (© Pascal Deloche/Godong/Corbis)
Dunque, anche se gli importanti fisici che abbiamo citato, e gli altri che stanno dalla stessa parte, hanno ragione quando disdegnano la metafisica cosmologica, sono completamente in errore se pensano di aver divorziato del tutto dalla filosofia. In primo luogo, come già sottolineato, chi sostiene la realtà degli oggetti matematici dei propri modelli si sta trastullando con la metafisica platonista, che lo sappia o no. In secondo luogo, chi non ha adottato un punto di vista platonista applica comunque la riflessione epistemologica quando afferma che l’osservazione è la nostra unica fonte di conoscenza.

Hawking e Mlodinow rifiutano chiaramente il platonismo quando dicono che non c’è una realtà indipendente dalla teoria o dall’immagine del mondo. Ma avallano una dottrina filosofica che chiamano realismo dipendente dai modelli, ossia “l’idea che una teoria fisica o l’immagine del mondo è un modello (generalmente di natura matematica) e una serie di regole che collegano gli elementi del modello alle osservazioni.” Ma chiariscono che” è inutile chiedersi se un modello è reale, [ci si può chiedere] solo se è d’accordo con osservazioni “.

Non siamo sicuri di come il realismo dipendente dai modelli differisca dallo strumentalismo. In entrambi i casi i fisici si preoccupano solo delle osservazioni e, anche se non negano che esse sono la conseguenza di una qualche realtà ultima, non insistono sul fatto che i modelli che descrivono le osservazioni corrispondano esattamente a quella realtà. In ogni caso, Hawking e Mlodinow si comportano da filosofi-epistemologi, almeno quando discutono che cosa possiamo sapere sulla realtà ultima, anche se la loro risposta è: “Niente”.

Tutti gli illustri critici della filosofia di cui abbiamo discusso le opinioni riflettono molto profondamente sulla fonte della conoscenza umana. Cioè, sono tutti epistemologi. Ciò che possiamo dire è che ne sanno di scienza più (della maggior parte) dei filosofi di professione e che si basano sulle osservazioni e sugli esperimenti più che sul puro pensiero, ma non che non stanno filosofando. Di sicuro, quindi, la filosofia non è morta. Questa descrizione si attaglia più propriamente alle varianti del puro pensiero, come quelle che comprendono la metafisica cosmologica.

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Gli autori

Victor J. Stenger (1935-2014) è stato professore emerito di fisica all’Università delle Hawaii e professore a contratto di filosofia all’Università del Colorado. E ‘autore del bestseller Dio. Un’ipotesi sbagliata. Perché la scienza non crede in Dio.
James A. Lindsay ha un dottorato di ricerca in matematica ed è autore di God Doesn’t; We Do: Only Humans Can Solve Human Challenges e di Dot, Dot, Dot: Infinity Plus God Equals Folly.
Peter Boghossian è insegna filosofia alla Portland State University ed è un membro della Oregon Health & Science University. E’ autore di A Manual for Creating Atheists.

(La versione originale di questo articolo è apparsa l’8 maggio suscientificamerican.com. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

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