Gravitoni e gravità quantistica. Correnti di pensiero diverse affrontano il problema dell’esistenza dei gravitoni, speciali particelle alla base della teoria quantistica della gravitazione. Molti fisici ammettono l’esistenza dei gravitoni, ma pochi pensano che saremo mai in grado di vederli. Queste ipotetiche particelle elementari rappresentano una pietra angolare della gravità quantistica, che cerca di unificare la teoria generale della relatività di Einstein con la meccanica quantistica. Ma, allo stesso tempo, è molto difficile, se non addirittura impossibile, osservarle in natura.
Sarebbe possibile osservare i gravitoni solo se si ingrandisse il tessuto dello spazio-tempo alle minime dimensioni possibili, il che richiederebbe un dispositivo in grado di accumulare enormi quantità di energia. Sfortunatamente, qualunque dispositivo di misurazione in grado di sondare direttamente fino a questa lunghezza di Planck, dovrebbe essere così grande da collassare in un buco nero. Freeman Dyson, in un discorso del 2013, nel quale presentava un calcolo relativo a questo limite, ha affermato che è come se la Natura stesse cospirando per evitare qualunque misurazione della distanza con un errore più piccolo della lunghezza di Planck.
E quindi, secondo il pensiero più comune, questi gravitoni si potrebbero rivelare solo nei luoghi più estremi dell’universo: all’incirca intorno al Big Bang, o all’interno di un buco nero. Ma i buchi neri, sono appunto neri, e da essi nulla viene fuori. E sembra che le argomentazioni sulla gravità quantistica si riferiscano a queste dimensioni.
Alcuni lavori pubblicati recentemente sembrano invece contraddire questa visione della questione, ipotizzando che i gravitoni potrebbero creare un rumore osservabile nei rilevatori di onde gravitazionali come il LIGO – Laser Interferometer Gravitational Wave Observatory -. Uno degli autori di questi lavori, Maulik Parikh, riferisce di aver scoperto che la sfocatura quantistica dello spazio-tempo è impressa sulla materia sotto forma di vibrazione.
Ora, sebbene non sia ancora chiaro se i rilevatori di onde gravitazionali attuali, o quelli futuri, avranno la sensibilità necessaria per misurare questo rumore, i calcoli hanno almeno reso plausibile ciò che prima era considerato impossibile. Considerando il modo in cui i gravitoni interagiscono con un rilevatore in massa, è stata fornita una solida base teorica all’idea del rumore di gravitone – ed è stato quindi permesso ai fisici di fare un passo avanti verso la prova sperimentale che, in fondo, la gravità segue le stesse regole della meccanica quantistica.
La vibrazione dell’onda
I calcoli eseguiti da Dyson nel 2013, hanno convinto molte persone che le onde gravitazionali rappresentavano degli strumenti di test poco praticabili per acquisire informazioni sulla gravità quantistica.
Secondo Frank Wilczek, fisico del Massachusetts Institute of Technology, già insignito del Premio Nobel, tra i fisici vi è la convinzione che sia una perdita di tempo focalizzare l’attenzione sugli effetti quantistici e sulla radiazione gravitazionale. Ma questo approccio così scettico nei confronti della questione, fu rivisto dopo la scoperta, da parte di LIGO, delle onde gravitazionali nel 2015.
Concettualmente, i gravitoni sono considerati come i portatori della forza di gravità, allo stesso modo in cui i fotoni lo sono della forza elettromagnetica. Così come i raggi di luce sono raffigurati come una disposizione ordinata di fotoni, le onde gravitazionali, le increspature nello spazio-tempo create da violenti processi cosmici, si ritiene che siano formate da gravitoni. Prendendo spunto da questa raffigurazione, gli autori della ricerca si sono chiesti se i rilevatori di onde gravitazionali siano, in principio, abbastanza sensibili per osservare i gravitoni.
A differenza di Dyson, i cui calcoli si riferivano su un singolo gravitone, Parikh, Wilczek e Zahariade hanno preso in considerazione gli effetti dovuti a più gravitoni e si sono ispirati al moto Browniano, ovvero al moto casuale delle particelle all’interno di un fluido. Lo stesso Einstein aveva utilizzato il moto Browniano per dedurre l’esistenza degli atomi, che bombardano le particelle microscopiche. Allo stesso modo, il comportamento collettivo di molti gravitoni potrebbe modellare un’onda gravitazionale.
I rilevatori di onde gravitazionali, nella loro forma più semplice, possono essere pensati come due masse separate da una certa distanza. Quando passa un’onda gravitazionale, questa distanza crescerà o diminuirà man mano che l’onda allunga e schiaccia lo spazio tra le due masse. Tuttavia, aggiungendo dei gravitoni nel sistema, si andrà ad aggiungere un nuovo moto sulla sommità delle increspature nello spazio-tempo. Quando il rilevatore assorbe ed emette gravitoni, le masse oscillano in modo casuale. Questo è il rumore di gravitone. L’intensità dell’oscillazione, e ovviamente la possibilità di essere rilevata, dipende dal tipo di onda gravitazionale che colpisce il rilevatore.
I campi gravitazionali esistono in differenti stati quantistici, a seconda di come sono stati creati. Il più delle volte, un’onda gravitazionale è prodotta in uno stato coerente, come le increspature in uno stagno. I rilevatori come LIGO sono tarati per cercare queste onde gravitazionali convenzionali, che sono emesse da buchi neri e da stelle di neutroni, che spiraleggiano una attorno all’altra fino a collidere.
Anche le onde gravitazionali coerenti producono un rumore di gravitone, che però è risultato essere troppo piccolo per poter essere misurato. Ciò perché l’oscillazione che si crea quando il rilevatore assorbe gravitoni è perfettamente bilanciata dall’oscillazione creata quando il rilevatore emette gravitoni. Un risultato, questo, che, in un primo momento, ha un pò sconfortato i ricercatori.
Gli scienziati, però, hanno continuato nel loro lavoro, esaminando diversi altri tipi di onde gravitazionali, che Dyson non aveva considerato. Hanno così trovato che un particolare stato quantistico, chiamato lo stato di compressione, produce un rumore di gravitone molto più pronunciato. Infatti, Parikh, Wilczek e Zahariade hanno scoperto che questo rumore cresce esponenzialmente all’aumentare della compressione dei gravitoni.
A dispetto quindi dell’approccio prevalente, la scoperta teorica dei tre scienziati suggerisce che il rumore di gravitone è, in linea di principio, misurabile. Inoltre, rilevare questo rumore potrebbe fornire ai fisici delle informazioni sulle sorgenti che potrebbero generare le onde gravitazionali schiacciate.
I tre scienziati avevano sempre immaginato uno scenario in cui i gravitoni bombardano in qualche modo i rilevatori, causando quindi le piccole oscillazioni. Ma, ovviamente, il risultato più entusiasmante è stato quando hanno compreso il modo in cui questo rumore scaturiva dai procedimenti matematici.
I calcoli sono stati sviluppati nel corso di un triennio e si trovano raccolti in questo documento.
Eppure, sebbene in laboratorio si è in grado di produrre, facilmente, luce compressa, non si hanno ancora delle certezze sull’esistenza di onde gravitazionali compresse. Secondo Wilczek, questo effetto di schiacciamento si potrebbe produrre nello stato finale della fusione di buchi neri, dove si formano dei campi magnetici elevati e fortemente variabili. Un’altra causa di questo schiacciamento potrebbe derivare dall’inflazione, il periodo dell’universo primordiale in cui lo spazio-tempo ha subito una rapida espansione. Comunque, gli scienziati stanno cercando di costruire dei modelli precisi di questi eventi cosmologici e delle onde gravitazionali che emettono.
Ancora Wilczek afferma che questa modellizzazione richiede dei calcoli molto lunghi e complessi, ma nello stesso tempo il tutto rappresenta una bella sfida scientifica.
Vibrazione da ologramma
Piuttosto che guardare alle sorgenti quantistiche nel cosmo, altri fisici sperano di trovare il rumore di gravitone direttamente nel vuoto dello spazio-tempo, dove le particelle si appalesano velocemente e poi spariscono. Quando appaiono, queste particelle virtuali determinano una leggera flessione dello spazio-tempo attorno a loro, creando delle fluttuazioni casuali conosciute come schiuma spazio-temporale.
Questo scenario quantistico risulterebbe inaccessibile in termini sperimentali. Ma, se l’universo seguisse il principio olografico, in cui il tessuto spazio-tempo emerge come un ologramma tridimensionale scaturisce da un modello a due dimensioni, allora ci sarebbero possibilità sperimentali. Se il principio olografico fosse vero, le particelle quantistiche come il gravitone si troverebbero sulla superficie con dimensione inferiore e codificherebbero la forza di gravità nello spazio-tempo a dimensione superiore.
In un tale scenario, gli effetti della gravità quantistica potrebbero essere riportati nella realtà degli esperimenti, come il LIGO. In un lavoro recente, Erik Verlinde, un fisico teorico della University of Amsterdam e di Katthryn Zurek, del California Institute of Technology, propongono di utilizzare il LIGO, o altri interferometri simili, per osservare il vuoto che circonda lo strumento.
In un universo olografico, l’interferometro è collocato in uno spazio-tempo a dimensione superiore, che è strettamente avvolto in una superficie quantistica di dimensioni inferiori. Sommando le leggere fluttuazioni sulla superficie, si crea un rumore abbastanza ampio da poter essere rilevato dall’interferometro. E’ stato dimostrato che gli effetti dovuti alla gravità quantistica non sono determinati solo dalla scala di Planck, ma anche dalla scala dell’interferometro.
Se queste ipotesi sul principio olografico venissero dimostrate, allora il rumore di gravitone diventerebbe un obiettivo sperimentale per LIGO, o anche per un esperimento da laboratorio. Già nel 2015, presso il Fermi National Accelerator Laboratory (FERMILAB – Chicago), è stato implementato un esperimento da tavolo, chiamato Holometer, con il quale si intendeva dimostrare che l’universo fosse olografico; ma i risultati furono scarsi. Tali risultati derivavano però dal fatto che le idee teoriche erano solo agli esordi. I calcoli sviluppati da Verlinde e Zurek si basano invece su metodi olografici più approfonditi che si sono sviluppati sin da allora.
L’approccio di Verlinde e Zurek avrà un senso solo se l’universo è veramente olografico, una congettura questa che è tutt’altro che definita. Si tratta certamente di una prova ad alto rischio, ma ritenuta necessaria per cercare di capire meglio la gravità quantistica.
Territorio da mappare
I calcoli di Parikh, Wilczek e Zahariade si basano invece su una fisica con la quale tutti sono d’accordo. Il loro è un calcolo molto prudente, che quasi certamente è corretto. In poche parole, si assume che esista un qualcosa chiamato gravitone e che la gravità possa essere quantizzata.
I tre fisici sono consapevoli che ancora c’è tanto lavoro da fare per sapere se gli attuali rilevatori di onde gravitazionali, o quelli che saranno utilizzati nel futuro, siano in grado di scoprire il rumore da gravitoni. Non solo nell’universo devono esistere delle sorgenti che creano delle onde gravitazionali schiacciate, ma il rumore da gravitoni deve essere distinguibile da molte altre sorgenti di rumore a cui può essere soggetto LIGO, così come altri rilevatori.
Finora, LIGO non ha mostrato evidenze di una fisica che andasse a contrastare con le previsioni della relatività generale di Einstein. Il punto di partenza è che la relatività generale è sorprendente. Tra l’altro, i rilevatori di onde gravitazionali rappresentano la migliore speranza per poter effettuare delle scoperte fondamentali sull’universo, in quanto il terreno è ancora inesplorato.
Wilczek ritiene che se i ricercatori riuscissero a fornire un maggiore chiarimento su cosa possa essere il rumore di gravitone, allora i rilevatori di onde gravitazionali potrebbero essere sistemati in modo da accrescere le possibilità di scoprire questo rumore. In genere, ci si focalizza di più sull’estrazione del segnale, piuttosto che comprendere le proprietà interessanti del rumore. Ma, se la preparazione della ricerca cambia, allora si può ottenere qualcosa di differente. Egli si ritiene molto ottimista sul buon esito della loro ricerca. In ogni caso, pensa che il loro lavoro possa servire da stimolo per tutti i teorici del rumore da gravitoni.
Fonte: quantamagazine.org
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