Si è spenta a 88 anni l’astronoma il cui lavoro sulla rotazione delle galassie ha portato a ipotizzare l’esistenza, nell’Universo, di una componente di materia non direttamente osservabile. Solo poche settimane fa si ipotizzava il suo nome tra quelli dei papabili vincitori del Nobel per la Fisica. Invece Vera Cooper Rubin, l’astronoma statunitense a cui dobbiamo la teoria dell’esistenza della materia oscura, è morta domenica notte per cause naturali, nella sua casa di Princeton, New Jersey.
Nata nel 1928 da una famiglia di immigrati ebrei – il padre Philip Cooper, un ingegnere elettronico, l’aveva aiutata a costruire il suo primo telescopio, avvicinandola all’astronomia – è stata la seconda astronoma donna a entrare nella National Academy of Sciences statunitense.
L’INGREDIENTE MANCANTE. A metà degli anni ’60, insieme al collega astronomo Kent Ford, Vera Rubin si accorse che le stelle situate al limite estremo delle galassie si muovevano più velocemente di quanto avrebbero dovuto in base alle leggi fisiche note. La scoperta la portò a teorizzare, nel 1974, l’esistenza di un’entità sconosciuta e non direttamente osservabile, la materia oscura, che occupa da sola il 27% della massa dell’intero Universo.
I dati raccolti da Rubin confermarono, di fatto, le osservazioni dell’astrofisico svizzero Fritz Zwicky, che già nel 1933 aveva osservato che la massa visibile delle galassie non era sufficiente a spiegarne la forza gravitazionale. Il merito di Rubin fu confermare l’esistenza della materia oscura in tutte le altre galassie e non solo in quelle osservate da Zwicky.
UNA RIVOLUZIONE. L’ipotesi portò a ridiscutere l’intero modello cosmologico, che attualmente prevede che meno del 5% del cosmo sia costituito da materia visibile, e che una consistente fetta, oltre il 68%, sia occupato da una forza altrettanto misteriosa, l’energia oscura.
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