A caccia di iterazioni dei neutrini con rilevatori di argon liquido

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Prime tracce di neutrini per un nuovo esperimento al CERN. Successo del prototipo dell’esperimento DUNE, allestito presso il centro di ricerca ginevrino: sono i primi indizi del passaggio di neutrini nei rivelatori costituiti da enormi serbatoi di argon liquido. È l’inizio di un progetto che porterà alla realizzazione di un apparato sperimentale simile ma 20 volte più grande al FermiLab di Chicago.

Flebili lampi che fanno capolino in un mare di atomi di argon liquido, mantenuto a 184 gradi sottozero, e poche particelle cariche che si formano e si propagano lasciando dietro di sé una traccia quasi impercettibile: è tutto in questi eventi – concettualmente semplici, ma incredibilmente complessi da ottenere – il primo successo sperimentale del Deep Underground Neutrino Experiment (DUNE), un ambizioso progetto per lo studio dei neutrini frutto della collaborazione tra il CERN di Ginevra e il Fermi National Accelerator Laboratory (FermiLab) di Chicago.

Il primo passo è stato compiuto al centro di ricerca ginevrino, dove è stato allestito l’enorme rivelatore ProtoDUNE, che ha le dimensioni di una casa a tre piani e la forma di un gigantesco cubo ed è il primo di due prototipi di quello che sarà un rivelatore molto più grande per il progetto DUNE, ospitato dal FermiLab. Quando i primi moduli rilevatori DUNE registreranno i dati, nel 2026, saranno ciascuno 20 volte più grandi di questi prototipi.

Si apre così un nuovo capitolo nella ormai decennale caccia ai neutrini.

Queste sfuggenti particelle vengono prodotte incessantemente nel cosmo e arrivano sul nostro pianeta come un vento, attraversando tutta la materia che incontrano come se fosse trasparente, senza interagire con gli altri atomi se non con una frequenza infinitesimale.

È per questo che per aumentare la probabilità di rilevarli occorrono grandi quantità di argon: 800 tonnellate nel caso di protoDUNE. In sostanza, quando i neutrini entrano nei rivelatori, occasionalmente possono collidere con nuclei di argon, producendo particelle cariche. Queste lasciano una traccia nel liquido, che può essere rilevata da sofisticati sistemi di tracciamento in grado di creare immagini tridimensionali di processi subatomici altrimenti invisibili.

I primi dati dimostrano che i ricercatori sono sulla strada giusta. “Solo due anni fa abbiamo completato il nuovo edificio al CERN per ospitare due prototipi di rilevatori su larga scala che costituiscono gli elementi di base di DUNE”, ha dichiarato Marzio Nessi, responsabile della Piattaforma Neutrino del CERN. “Ora abbiamo un primo rilevatore che acquisisce dati magnifici, mentre un secondo rivelatore che utilizza un approccio diverso, basato sulla tecnologia all’argento liquido, sarà attivo tra pochi mesi.”

Veduta aerea del rivelatore protoDUNE, all'interno del CERN (Cortesia CERN)
Veduta aerea del rivelatore protoDUNE, all’interno del CERN (Cortesia CERN)

Oltre che ai neutrini, DUNE darà la caccia anche alle loro controparti di antimateria, gli antineutrini. Si potranno così ottenere nuovi dati sul diverso comportamento di neutrini e antineutrini e in prospettiva capire qualcosa di più su unno dei più grandi misteri dell’universo visibile è formato per la stragrande maggioranza da materia e non da antimateria.

Una grande sfida scientifica e ingegneristica, dunque, ma anche organizzativa, poiché al progetto DUNE mille scienziati e ingegneri di 32 nazioni di cinque continenti.

“Vedere le prime tracce di particelle è un grande successo per l’intera collaborazione DUNE”, ha sottolineato il coportavoce dell’esperimento, Stefan Soldner-Rembold dell’Università di Manchester. “DUNE è la più grande collaborazione nel mondo tra scienziati che lavorano nella ricerca sui neutrini, con l’obiettivo di creare un esperimento all’avanguardia che potrebbe cambiare il modo in cui vediamo l’universo.”

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