Tupac Yupanqui, l’Inca navigatore

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L’Impero Inca fu, insieme a quello azteco del Messico, la più grande entità statale mai costituita  in America prima dell’arrivo degli Europei.

Gli Inca veri e propri costituivano l’élite degli abitanti di lingua quechua della valle di Cuzco; pare che essi parlassero tra di loro in un altro idioma tenuto segreto, il puquina, che dagli studi più recenti sembrerebbe essere originario della zona del lago Titicaca. A partire dalla metà del XIII secolo essi diedero inizio ad una inarrestabile politica espansionistica portata avanti da una serie di monarchi abili e fortunati, che in poco più di due secoli giunsero a creare uno stato altamente civilizzato, che all’inizio del Cinquecento si estendeva dal fiume Ancasmayo, nell’attuale Colombia, a nord, al Rio Maule, nel Cile centrale, giungendo ad est sino alle propaggini della foresta amazzonica.

Uno dei più grandi tra di essi, se non il più grande in assoluto, fu Tupac Yupanqui, il sovrano che resse l’impero dal 1471 al 1493 e che già dal 1463 deteneva, in qualità di coreggente, il comando dell’esercito. Le sue campagne militari permisero agli Inca di sottomettere il regno di Chimù, a nord, varie tribù amazzoniche ad est ed anche i ferocissimi e bellicosissimi Araucani a sud, portando l’impero alla sua massima estensione.

Tra le sue tante imprese, tuttavia, ce n’è una particolarmente audace e stupefacente, narrata dal cronista spagnolo Pedro Sarmiento de Gamboa nel 1572 e ripresa poi dal connazionale Miguel Cabello de Balboa, e che lascerebbe intendere che sotto la sua guida sarebbe stata compiuta una spedizione oceanica che avrebbe condotto i sudamericani a raggiungere alcune isole al largo del Pacifico.

Secondo i due scrittori iberici, Tupac Yupanqui si imbattè a Tumbes in due mercanti che dicevano di essere giunti, dopo aver attaversato il Pacifico, da due isole, chiamate Nina Chumpi (Cintura di fuoco) ed Hawa Chumpi (Cintura esterna), dove c’era molta gente e molto oro. L’allora coreggente fu molto interessato da quelle notizie ed allestì una grande flotta di navi in legno di balsa sulle     quali fece salire ben 20.000 guerrieri, partendo subito dopo verso occidente. Per nove mesi di lui e dei suoi uomini non si seppe più nulla, e la gente iniziò a temere che fossero tutti morti nel corso di quell’impresa estremamente temeraria, ma alla fine la grande flotta ricomparve all’orizzonte. Tupac Yupanqui affermò di aver raggiunto le due isole e da esse portò indietro diversi schiavi di pelle nera, una certa quantità d’oro, una sella di ottone e una pelle e le ossa di una mascella di un animale che furono portate nella fortezza cerimoniale di Sacsayhuaman, a Cuzco, e che in seguito gli Spagnoli ritennero appartenessero ad un cavallo. Avendo evidentemente appagato la sua curiosità e sete di avventura, e non ritenendo probabilmente utile proseguire in spedizioni marittime che comunque erano del tutto inappropriate per un popolo montanaro come gli Inca, il coreggente  tornò a portare avanti le sue campagne militare e non diede più alcun seguito ad ulteriori esplorazioni dell’Oceano Pacifico.

Questa clamorosa notizia è stata ovviamente contestata dalla maggior parte degli studiosi come una pura e semplice leggenda senza alcun fondamento storico. Per lungo tempo venne sostenuto che le zattere in balsa degli indigeni sudamericani non avrebbero mai potuto compiere la traversata di un oceano, ma nel 1947 il famoso antropologo ed avventuriero norvegese Thor Heyerdal partì da Callao a bordo di una ricostruzione di queste imbarcazioni, il Kon-Tiki, e nel giro di tre mesi raggiunse l’isola di Puka Puka, nell’arcipelago delle Tuamotu, dimostrando se non altro la fattibilità di una tale impresa.

Le obiezioni degli scettici, tuttavia, riguardano anche ciò che Tupac Yupanqui avrebbe portato con sé come bottino:  in Polinesia non ci sono grossi giacimenti di oro, i popoli di pelle nere abitano solo le isole della Melanesia, troppo ad ovest per poter ipotizzare che potessero essere raggiunti dalla spedizione degli Inca, e soprattutto in tutta l’Oceania non esistevano cavalli prima dell’arrivo degli Europei. Si è quindi pensato che Sarmiento de Gamboa si fosse inventata tutta la storia allo scopo di invogliare gli Spagnoli a compiere viaggi esplorativi lungo il Pacifico, prospettando loro la possibilità di ottenere un cospicuo bottino in oro e schiavi.

Si tratta senza dubbio di obiezioni molto valide, che potenzialmente potrebbero screditare del tutto l’ipotesi di questo viaggio transoceanico, tuttavia esistono indizi che viceversa sembrano in grado di rafforzare il grado di veridicità del racconto di Gamboa.

Intanto, sull’isola di Rapa Nui, meglio nota come isola di Pasqua, una delle piattaforme cerimoniali (ahu), chiamata Vinapù, denota una struttura architettonica molto complessa, del tutto differente dalle altre e molto simile invece alle costruzioni di Sacsayhuaman. Per di più, nella stessa isola esisterebbe la leggenda di una fanciulla di nome Uho che sarebbe stata presa in moglie da un principe giunto dal mare di nome Mahuna Tera à, che nella lingua locale significa “Figlio del Sole”; come è noto, questo era uno degli appellativi degli imperatori inca.

Inoltre, tanto a Mangareva, che fa parte dell’arcipelago delle Gambier, quanto a Nuku Ivu, una delle isole Marchesi, esistono tradizioni sull’arrivo da est di un misterioso re Tupa; sulla prima si svolge ancora periodicamente una danza in suo onore.

Anche il nome di cintura (chumpi) assegnato alle isole raggiunte non può non richiamare alla mente la particolare conformazione degli atolli polinesiani e Nina Chumpi parrebbe indicare una località contrassegnata da fenomeni vulcanici, molto frequenti in diverse zone dell’Oceania.

Per quel che riguarda l’incongruenza delle persone e degli oggetti che sarebbero stati portati indietro da Tupac Yupanqui, per diversi di essi è possibile trovare una spiegazione.

La mascella e la pelle attribuite dagli Spagnoli ad un cavallo potrebbero essere appartenute invece ad un pinnipede, probabilmente un leone marino maschio.

Quanto agli individui di pelle scura, è vero che se ne trovano soprattutto in Melanesia, ma sono presenti anche presso altre popolazioni dell’Oceania; va ricordato che nel 1722 lo scopritore di Rapa Nui, l’olandese Jacob Roggeveen, descrisse gli indigeni come in parte di pelle bianca, in parte rossa ed in parte scura, osservazione confermata da membri della spedizione spagnola che raggiunse l’isola nel 1770.

La sella di ottone potrebbe esser stata un trono in tumbaga (una lega tra oro e rame) razziato non nel corso del viaggio, ma al termine di esso, nel territorio dei Chimù, e forse anche per l’oro vale lo stesso discorso, per quanto in quest’ultimo caso non vada esclusa la possibilità che Sarmiento de Gamboa si sia effettivamente inventato questo particolare allo scopo di incoraggiare i suoi connazionali ad espandersi anche nel Pacifico.

In conclusione, tenendo anche conto che recentemente è stato ipotizzato che le Americhe possano essere state colonizzate dall’uomo attraverso viaggi transoceanici e non solo passando dallo stretto di Bering ricoperto dai ghiacci, come teorizzato dalla scienza ufficiale, nulla vieta di poter credere che gli Inca, certamente in possesso di una tecnologia ben più evoluta degli uomini del Paleolitico, possano effettivamente aver portato a termine una navigazione  che li condusse a scoprire alcune isole polinesiane.

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Informazioni su Roberto Conte 23 articoli
Nato a Taranto il 30/10/1966, laureato in Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Lecce, membro dell'Associazione Culturale ACSI/Prometeo Video Lab, autore del saggio storico-biografico "Giovanni delli Ponti, un d'Artagnan tarantino", edito nel 2012 da Scorpione Editrice. Appassionato di Criptozoologia, Archeologia e di tutto ciò che ha a che vedere con il mistero.

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