Strategia sociale dei virus per mantenere l’infezione

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La vita sociale segreta dei virus. Anche i virus, pur essendo così semplici, hanno una vita sociale che influenza la loro forma fisica e la loro evoluzione. I ricercatori stanno iniziando a comprendere i modi in cui collaborano tra loro e a volte si manipolano a vicenda.

Esistono organismi sociali di tutte le forme e dimensioni, da quelli chiaramente gregari come i mammiferi e gli uccelli fino a quelli che hanno una vita sociale più nascosta, come i batteri.

I biologi evoluzionisti spesso si interrogano sui comportamenti altruistici, perché di primo acchito nella selezione naturale gli individui che si sacrificano sembrerebbero trovarsi in grave svantaggio.

William D. Hamilton, uno dei più importanti teorici dell’evoluzione del XX secolo, ha sviluppato una teoria matematica per spiegare l’evoluzione dell’altruismo attraverso la selezione parentale, ossia perché, per esempio, la maggior parte delle singole formiche, api e vespe rinuncia alla capacità di riprodursi per dedicare il massimo impegno nell’allevamento dei fratelli.

I batteriologi hanno sviluppato modelli di teoria dei giochi per spiegare perché i batteri riuniti in gruppi producono metaboliti per i loro vicini, anche se alcuni imbrogliano e approfittano della situazione.

Ma fino a poco tempo fa, nessuno aveva considerato che anche i virus, pur essendo così semplici, hanno una vita sociale che influenza la loro forma fisica e la loro evoluzione. “Da una prospettiva teorica, per i virus c’è chiaramente un enorme potenziale di interazione sociale, che va dalla possibilità di cooperazione al conflitto”, ha scritto in una e-mail a “Quanta” Stuart West, un biologo dell’Università di Oxford che studia l’evoluzione dei comportamenti sociali. “Tuttavia, ci sono stati pochi tentativi di affrontare empiricamente questo aspetto”.

Viruses, illustration. © Science Photo Library / AGF
Viruses, illustration. © Science Photo Library / AGF

In un recente studio pubblicato su “Nature Microbiology”, Rafael Sanjuán, genetista evolutivo all’Università di Valencia, in Spagna, e colleghi, hanno usato una combinazione di teoria ed esperimenti per esplorare la cooperazione e il conflitto tra i virus.

Hanno scoperto che la struttura spaziale di un’infezione virale – il modo in cui diversi gruppi di virus possono essere isolati in comparti separati dell’organismo infetto – ha un peso enorme. In un sistema uniformemente mescolato, i virus altruisti sono vittima di “imbroglioni” che approfittano dei loro sacrifici, ma se vi sono distretti del corpo in cui gli altruisti possono isolarsi e ripararsi, hanno una possibilità di sopravvivenza.

Prendiamo il virus della stomatite vescicolare (VSV), un membro meno pericoloso della stessa famiglia virale della rabbia.

Le infezioni virali di solito stimolano le cellule dei loro ospiti mammiferi a produrre interferoni, proteine di segnalazione che aumentano le difese antivirali delle cellule vicine e interferiscono con la replicazione virale. Il ceppo selvatico di VSV ha sviluppato dei modi per sopprimere il sistema immunitario innato del suo ospite, ma a costo di riprodursi più lentamente. Questo permette alla popolazione di quei virus di prosperare, a meno che non si presenti una variante “imbrogliona”.

L’imbroglione non ha la capacità di sopprimere le difese del suo ospite; e infatti, la sua presenza stimola il rilascio di interferoni. Ma può comunque approfittare di una risposta immunitaria ridotta a causa dei vicini VSV che sopprimono il rilascio di interferone.

Poiché gli imbroglioni non pagano il costo riproduttivo della soppressione dell’interferone, nel breve termine possono superare il virus di ceppo selvatico. Da un punto di vista del comportamento sociale, come hanno sottolineato Sanjuán e colleghi nel loro articolo, la soppressione dell’interferone da parte del VSV selvatico si qualifica come atto altruistico perché in effetti il ceppo selvatico si sacrifica per l’imbroglione.

Alla fine, però l’interferone prodotto dall’ospite come risposta travolge entrambi i tipi di virus e li uccide. Si potrebbe quindi pensare che la selezione naturale debba eliminare sempre la capacità di sopprimere l’interferone perché l’altruismo dei virus che ce l’hanno li farebbe rimanere sempre in svantaggio.

Lo studio di modellazione di Sanjuán dimostra, però, che non è necessariamente così: il virus altruistico che sopprime l’interferone può ancora evolvere e prosperare se è fisicamente segregato. Le strutture e le barriere presenti nel corpo possono creare dei paradisi dove i virus che sopprimono l’interferone possono sopravvivere, al riparo dai danni che gli imbroglioni altrimenti causerebbero loro.

Per modellare le condizioni specifiche in cui può verificarsi la soppressione dell’immunità innata, i ricercatori hanno usato il quadro teorico sviluppato da Hamilton. Secondo la regola di Hamilton, l’altruismo si evolve quando r × B > C, dove B è il beneficio per il ricevente, r è la relazione del ricevente con chi dona, e C è il costo per chi dona.

I ricercatori hanno anche usato un parametro per indicare che il beneficio, B, dipende dal fatto che un virus sia circondato da vicini di casa di ceppo selvatico o di ceppo imbroglione. Applicando la regola di Hamilton a combinazioni ben miscelate e spazialmente separate delle due varianti di VSV, hanno potuto stimare empiricamente i parametri dell’equazione di Hamilton.

“Perché si evolva la soppressione dell’immunità innata, è necessaria una struttura spaziale”, ha detto Sanjuán. Poiché sia il virus che la risposta dell’ospite si diffondono da cellula a cellula, è di fatto abbastanza difficile che durante l’infezione non emergano di strutture spaziali. Le limitazioni alla velocità di diffusione delle particelle virali e delle molecole di interferone, così come le barriere fisiche nei tessuti del corpo, creano facilmente un’eterogeneità spaziale, permettendo così alla soppressione dell’immunità innata di evolversi.

Negli animali con comportamenti complessi e nei batteri con sistemi di comunicazione relativamente complessi, gli esiti degli scenari evolutivi sono influenzati da molti fattori. Nel caso dei virus, “è molto più semplice”, ha detto Sanjuán. “Tutto è dettato dalla struttura spaziale. Non c’è nessun altro processo noto che possa influenzare il risultato del sistema. Se i virus sono misti, allora questo altruismo non può evolvere, mentre se sono segregati, l’altruismo può evolvere”.

Un altro aspetto dell’evoluzione sociale dei virus che Sanjuán sta indagando è il motivo per cui a volte particelle virali multiple si riuniscono e infettano insieme una cellula. Il problema è che, se le particelle virali si assemblano, ci sono meno unità a infettare cellule diverse. Quindi “in linea di principio, questo è costoso perché limita la capacità di diffusione”, ha detto Sanjuán.

Ma il suo team ha scoperto con sorpresa che i virus aggregati crescono più velocemente e producono più progenie. Questo dipendeva dal tipo di cellula: nelle cellule tumorali che non hanno immunità innata, essere aggregati era costoso. Ma nelle cellule normali, che stimolano una risposta immunitaria innata, essere aggregati era vantaggioso per i virus perché permetteva loro di sopraffare la risposta immunitaria innata, ha suggerito Sanjuán.

Anche se la strategia di aggregazione per l’infezione sembra vantaggiosa per il virus, anch’essa può portare all’evoluzione di imbroglioni.

Per esempio, se nell’aggregato un virus perde alcuni geni, può replicarsi più rapidamente, e grazie a questo vantaggio può superare gli altri. Questi virus con meno geni sono noti come particelle difettive interferenti (DIP): a molti di essi manca il 90 per cento circa del genoma virale e sopravvivono sotto forma di un piccolo pezzo di RNA che può replicarsi molto rapidamente all’interno di un ospite (di solito, a causa della loro incompletezza non possono infettare un nuovo ospite). In colture cellulari con un’alta densità di infezioni virali, le DIP prendono il sopravvento e presto rappresentano più del 99 per cento della popolazione virale, ha detto Sanjuán.

L’esistenza delle DIP può riguardare anche un altro enigma: i virus modulano le loro interazioni reciproche in base alle esigenze del loro ciclo di vita?

Raul Andino, virologo all’Università della California a San Francisco, sottolinea che all’inizio dell’invasione di un ospite, un virus potrebbe volere un sacco di compagnia perché infezioni multiple simultanee possono aumentare le sue probabilità di successo “Ma in una fase successiva possono volere una riduzione della molteplicità di infezioni, per ridurre la possibilità di produzione di queste particelle difettive”, ha detto. “E’ una cosa che non comprendiamo appieno, ma è un problema davvero interessante.

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato il 15 aprile 2019 da QuantaMagazine.org, una pubblicazione editoriale indipendente online promossa dalla Fondazione Simons per migliorare la comprensione pubblica della scienza. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze.Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

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